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Un Breve Studio della Dottrina del Patto di Opere nella Tradizione Riformata e Presbiteriana

Storia Pre-confessionale, Interpretazioni Varianti, e Critica

Rev. Dennis Lee

PARTE PRIMA: Storia del Dogma
PARTE SECONDA: Definizione e Descrizione del Patto di Opere
PARTE TERZA: La Nostra Critica della Dottrina del Patto di Opere

PARTE PRIMA: Storia del Dogma

Primi Inizi della Dottrina del Patto di Opere

Per cominciare la nostra discussione, adotteremo la definizione larga della dottrina del patto di opere come la relazione pattale di Adamo prima della caduta con Dio che portava con essa una promessa di vita eterna in connessione all’ubbidienza di Adamo a Dio. Questa dottrina è stata strettamente connessa alla teologia del patto nella gran parte della tradizione Presbiteriana e Riformata. Per iniziare, è stato ampiamente riconosciuto che la teologia del patto trova le sue radici e concezione in Svizzera (e non tanto con Calvino), e poi più tardi nei teologi Riformati tedeschi Oleviano ed Ursino. Dell’idea del patto nei primi teologi svizzeri e Calvino, Geerhardus Vos ci dice:

In Svizzera, i Riformatori erano giunti a contatto diretto con li Anabattisti … Nella loro difesa del battesimo degli infanti, essi raggiunsero l’Antico Testamento ed applicarono la comprensione federale dei sacramenti alla nuova dispensazione. Zwingli fece questo nel 1525. Nei vari catechismi che furono pubblicati da Leo Judae dal 1534 in poi, il materiale è fortemente penetrato dall’idea del patto. “Le Decadi,” una serie di sermoni di Bullinger, videro la luce del giorno tra il 1549 ed il 1551, e nel 1558 essi apparirono nella traduzione tedesca sotto il titolo modificato “L’Housebook.” Quest’opera è strutturata interamente dall’idea del patto. In Calvino, anche, è fatta frequentemente menzione dei patti. Tuttavia, la sua teologia era costruita sulla base della Trinità, e quindi il concetto del patto non poteva sorgere come un principio dominante nel suo caso. Egli è il precursore di quei teologi Riformati che gli assegnano un posto subordinato come un locus separato. Anche il suo Catechismo di Ginevra, dove uno si aspetterebbe di più che questa idea fosse elaborata, lo bypassa. I teologi di Zurigo, d’altro canto, devono essere considerati i precursori della teologia federale nel senso più stretto poiché per loro il patto diviene l’idea dominante per la pratica della vita Cristiana [Enfasi mie].1

 Di Oleviano ed Ursino, Geerhardus Vos scrive:

… i ben noti teologi di Heidelberg, si trovavano nella più stretta connessione ai teologi di Zurigo. Oleviano aveva trascorso del tempo a Zurigo, ed Ursino anche vi era stato due volte. E’ ovvio, quindi, che l’influenza che il concetto di patto ebbe su di loro deve essere attribuito a questo. Ursino la applicò nel suo “Catechismo Maggiore.” Noi abbiamo due opere di Oleviano in cui si tratta del patto, ovvero, l’”Interpretazione del Simbolo Apostolico” e “La Sostanza del Patto di Grazia tra Dio e gli Eletti,” che videro la luce del giorno nel 1576 e nel 1585, rispettivamente.2

Sviluppando il contributo di Oleviano ed Ursino, Vos mostra che l’idea del patto di opere fa con loro la sua prima apparizione in forma germinale chiara.

… chiunque abbia il senso storico di essere in grado di separare lo sviluppo maturo di un pensiero dal suo spuntare originario e non insiste che una dottrina debba essere matura alla nascita, non avrà difficoltà nel riconoscere il patto di opere come un’antica dottrina Riformata. Già con Ursino nel Catechismo Maggiore, alla domanda: “Cosa ti insegna la legge divina?” si risponde: “In che tipo di patto Dio entrò con l’uomo alla creazione e in che modo l’uomo si comportava nell’osservanza di quel patto,” etc. Similmente, Oleviano parla del patto di legge, il patto di natura, il patto di creazione, in distinzione dal patto di grazia.3

Secondo Vos (e non verificabile da me stesso) la dottrina del patto di opere di Ursino si trova in forma germinale nella nona domanda del suo Catechismo Maggiore (lasciata non tradotta da Vos nel suo studio).4

Sviluppo nella Tradizione Riformata Continentale

Vedremo ora in che modo la dottrina del patto di opera, dalla sua forma germinale, si è sviluppata nei circoli Riformati Continentali, al punto dove ha ricevuto status confessionale. Continuando a tracciare la storia della teologia del patto, Vos scrive:

Da quel momento in poi il federalismo non ha receduto dal sistema Riformato. Esso appare in Svizzera con Musculus (1599, Loci Communes), Polanus (Syntagma, 1609), e Wollebius (Compendium, 1625); in Ungheria con Szegedin (1585); in Germania con Pierius (1595), Sohnius (Methodus Theologiae), Eglin (1609), e Martinus. In Olanda troviamo ancora le idee principali del federalismo in Junius, Gomarus, sia il Tricatiuses che Nerdenus, fino a che con Cloppenburg emerge un sistema elaborato in cui l’idea del patto è sposata ad uno stretto Calvinismo. Egli è seguito da Cocceius.5

Degno di nota, è che nel suo Compendium del 1625, il teologo Riformato svizzero Wollebius identifica in modo chiaro il patto di opera come un patto prelapsario, e nel fare così, mi sembrerebbe, suggerisce le seguenti idee: uno, l’idea della “prova” (Beardslee la traduce così); due, che “l’eterna felicità” per l’ubbidienza è quella del “bene più alto” (dal momento che egli parla della “perdita del bene più alto” con la disubbidienza) e così indirettamente suggerendo che Adamo, dopo essere stato provato da Dio, se aveva successo nell’ubbidienza, avrebbe guadagnato per lui e la sua posterità la vita celeste ed eterna (e non continuato nell’esistenza terrestre in Paradiso, perché quale “bene più alto” vi può essere se non la vita celeste?):

(1) Il patto di Dio con l’uomo è duplice, un patto di opere ed uno di grazia; il primo prima della Caduta, ed il secondo dopo di essa.

(2) Il patto di opere fu confermato da un duplice sacramento: l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male, entrambi i quali erano locati nel mezzo del paradiso.

(3) Il loro proposito era duplice: [1] Che l’ubbidienza dell’Uomo potesse essere messa alla prova, col suo mangiare o astenersi; [2] che il primo potesse significare l’eterna felicità per coloro che ubbidivano, ed il secondo, la perdita del bene più alto e la venuta del più grande male per coloro che disubbidivano [enfasi mia].6

Più tardi, e dopo che gli Standard di Westminster erano stati redatti nel 1648, il suo compatriota e collega, Heidegger, avrebbe definito il patto di opere come segue:

Il patto di opere è il patto di Dio con Adamo nella sua integrità, quale capo dell’intera razza umana, col quale Dio, richiedendo all’uomo la perfetta ubbidienza della legge di opere, gli promise, se ubbidiente, la vita eterna in cielo, ma lo minacciò se egli trasgrediva con la morte eterna; e da parte sua l’uomo promise perfetta ubbidienza” (Heidegger IX, 15).7

Una tale concezione sarebbe anche in accordo con i teologi Riformati Olandesi, in modo notevole Cocceius ed Herman Witsius, che scrivono:

Il patto di opere è l’accordo tra Dio ed Adamo creato ad immagine di Dio per essere il capo ed il principe dell’intera razza umana, col quale Dio gli stava promettendo la vita e la felicità eterna, avesse egli ubbidito a tutti i Suoi precetti in modo perfettissimo, aggiungendo la minaccia della morte, avesse egli peccato se non che nel minimo dettaglio; mentre Adamo stava accettando questa condizione (Witsius, I:II:1).8

I teologi Riformati olandesi avrebbero seguito questi prominenti teologi, e sostenuto questa dottrina in contrasto ai Sociniani e agli Arminiani, che negavano l’imputazione del peccato di Adamo, e quindi la rigettavano. Questa è l’osservazione di Louis Berkhof:

Cocceius ed i suoi seguaci non erano i soli ad abbracciare la dottrina del patto di opere. Ciò fu fatto da altri anche, come Voetius, Mastricht, a Marck, e De Moor. Ypeij e Dermout fecero notare che in quei giorni un diniego del patto di opere era considerato eresia. I Sociniani rigettavano del tutto questa dottrina, poiché essi non credevano nell’imputazione del peccato di Adamo ai suoi discendenti; ed alcuni degli Arminiani, come Episcopius, Limborgh, Venema, e J. Alting, che la chiamavano una dottrina umana, fecero similmente.9

Dunque, per la teologia Riformata olandese, il patto di opere divenne una parte dell’ortodossia, e rigettarlo sarebbe stato considerato eretico. In verità, nel suo essere usato per rigettare l’errore Arminiano e Sociniano, l’idea dello status federale di Adamo era divenuto intimamente ma fin troppo ristrettamente10 eguagliato al sottoscrivere la dottrina del patto di opere nella teologia Riformata olandese—Ypeij e Dermount allora, e al presente anche implicitamente nel pensiero di Berkhof (come è evidente dalla citazione sopra), e perfino nel trattamento di Kersten nella sua Reformed Dogmatics (Dogmatica Riformata).11 Tuttavia, per la provvidenza di Dio, il patto di opere non è menzionato nelle Tre Formule di Unità, nè esplicitamente nè implicitamente.12

Infine, nell’Europa continentale, grazie ad Heidegger, il patto di opere fu elevato a status confessionale per come fu formulato nella Formula del Consenso Elvetico del 1675, scritta per confutare la scuola teologica di Saumur. Essa adottò la medesima formulazione del patto di opere di Heidegger e Witsius, e, per quanto riguarda la promessa della vita eterna, inequivocabilmente e molto fortemente asserì che essa era una promessa di una vita più elevata, celeste, e non una vita continuata nell’esistenza nel Paradiso terrestre:

(8) Inoltre quella promessa annessa al Patto di Opere non era una continuazione solo della vita e della felicità terrena, ma la possessione specialmente della vita eterna e celestiale, una vita, cioè, di corpo ed anima in cielo, se l’uomo avesse seguito il corso di una perfetta ubbidienza, con indicibile gioia in comunione con Dio sia in corpo che anima.

(9) Quindi non possiamo assentire all’opinione di coloro che negano che una redarguizione di beatitudine celeste era profferta ad Adamo a condizione di ubbidienza a Dio, e non ammettiamo che la promessa del Patto di Opere era qualsiasi altra cosa che una promessa di vita eterna che abbondava di ogni tipo di bene che può essere adatto per il corpo e l’anima in uno stato di perfetta natura, e il suo godimento in un Paradiso terrestre.13

Sviluppo nella Tradizione Presbiteriana Britannica precedente agli Standard di Westminster

D’altro canto, quale fu lo sviluppo della Teologia del patto, e più specificamente del patto di opere, nelle Isole Britanniche prima che ricevesse formulazione confessionale negli Standard di Westminster? E’ vero che i britannici meramente importarono la teologia del patto interamente dagli olandesi? Geerhardus Vos pensa altrimenti:

Si usava pensare piuttosto generalmente che i teologi britannici avevano seguito gli olandesi su questo punto. Una ricerca più accurata ha mostrato rapidamente che non si tratta di imitazione ma di sviluppo indipendente. Mitchell, nella sua opera, “L’Assemblea di Westminster” (Baird Lecture 1882), dice a pagina 377: ‘Per quanto riguarda la dottrina del Patti, che alcuni asseriscono essere stata derivata dall’Olanda, io stesso ora mi ritengo, dopo un’attenta investigazione, intitolato a sostenere che non vi è niente insegnato nella Confessione che non era stato insegnato molto prima nella sostanza da Rollock ed Howie in Scozia, e da Cartwright, Preston, Perkins, Ames e Ball nei suoi due catechismi in Inghilterra.’14

Tra questi teologi britannici citati da Mitchell, Robert Rollock, il principale dell’Università di Edimburgo dal 1583 al 1599, sarebbe il primo e più chiaro esponente di una dottrina del patto di opere molto sviluppata. Mentre i suoi altri colleghi britannici avrebbero fatto osservazioni interessanti ed a volte anche fatto menzione della relazione di patto che Dio aveva con Adamo, tra di loro Rollock fu quello che più significativamente dedicò il suo tempo ad elaborarlo. Nel 1597 le letture teologiche di Rollock furono pubblicate in parte sotto il titolo “Trattato sulla Chiamata Efficace” e in appendice a questa vi era un “Breve Catechismo concernente la Via in cui Dio dal Principio rivelò Entrambi i Patti alla Razza Umana.” Una traduzione Inglese comparve nel 1603. Secondo Vos, Rollock procede dall’idea che Dio non dice niente all’uomo se non mediante il patto, e la sua dottrina del patto è affermata come segue:

Dopo che Dio aveva creato l’uomo a Sua immagine, puro e santo, ed ebbe scritto la Sua legge nel cuore dell’uomo, Egli fece un patto con lui nel quale Egli gli promise la vita eterna a condizione di sante e buone opere che avrebbero corrisposto alla santità e bontà della creazione, e si conformassero alla legge di Dio [enfasi mia].15

Chiaramente, Rollock vedeva che il patto non era parte dell’essenza della creazione di Adamo da parte di Dio, ma soltanto qualcosa che Dio aggiunse dopo il Suo atto di creazione. Esso è un mezzo per un fine, e non è parte dell’essenza. Inoltre, la prossimità di “condizione” e “buone opere” suggerisce che Rollock quanto meno insegnò un aspetto di merito da parte di Adamo, cioè, che Adamo avrebbe guadagnato la vita eterna per se stesso e la sua posterità attraverso la sua perfetta ubbidienza. A quest’ultimo pensiero Geerhardus Vos dà supporto col suo commento esattamente su questa osservazione nell’affermazione di Rollock:

La legge è rimasta per come esisteva a prescindere dal patto di opere; essa è stata abolita in quanto una regola pattale. Le buone opere nel primo patto non erano strettamente meritorie, ma erano riccamente redarguite per libero favore. Si può facilmente vedere in che modo le principali caratteristiche sono state già delineate qui in modo molto chiaro [enfasi mia].16

Non strettamente meritorio, ma tuttavia, bisogna ammetterlo, vi è indubbiamente un’idea di merito! Infine, noi noteremmo dall’osservazione in italiche che Rollock ha anche dato il la per una pericolosa distinzione, priva di basi, tra legge e vangelo, mediante la sua descrizione del patto di opere. Questo è confermato dal suo insegnamento su Cristo e la dottrina del patto di grazia: per lui, l’opera del Mediatore per quanto riguarda il patto di grazia non era niente che un adempiere, attraverso di Lui, il patto di opere rotto in Adamo:

Cristo, quindi, il nostro Mediatore, assoggettò Se Stesso al patto di opere, e alla legge a motivo nostro, e adempì la condizione del patto di opere nella Sua vita buona e santa … ed anche Si sottopose alla maledizione con la quale l’uomo fu minacciato in quel patto di opere, se quella condizione di opere buone e sante non era osservata.17

Più tardi, gli Articoli Irlandesi della Religione (1615), scritti dall’Arcivescovo James Ussher ed adottati nella Chiesa Episcopale Irlandese, dicono qualcosa di simile effetto all’insegnamento di Rollock, anche se non col nome “patto di opere” nell’Articolo 21:

L’uomo … aveva il patto della legge inciso nel suo cuore, col quale Dio gli promise vita eterna a condizione che egli prestasse intera e perfetta ubbidienza ai Suoi Comandamenti, secondo la misura di forza con la quale fu dotato alla sua creazione, e lo minacciò con la morte se non avesse prestato la stessa.

Così, prima che i teologi di Westminster si riunissero nel 1643, abbiamo evidenza da Rollock e gli Articoli Irlandesi del clima teologico a riguardo del patto di Dio con Adamo. Specialmente Rollock, essendo il Principale dell’Università di Edimburgo per oltre 15 anni, aveva dato un importante colore alla dottrina del patto di opere, ed indubbiamente influenzò almeno alcuni dei teologi Scozzesi che furono delegati all’Assemblea di Westminster. Inoltre, la sua dottrina del patto di opere è anche più marcatamente sviluppata del trattamento di Wollebius nel suo Compendium del 1625. E l’opera di Cocceius, The Summa Doctrinae de foedere et testamento, non comparve fino al 1648, ed in quell’anno la Confessione di Westminster era stata già completata.

D questo trattamento storico è evidente che la dottrina del patto di opere era divenuta una parte della Teologia Riformata Continentale e Presbiteriana Britannica, e dunque una parte del consenso Riformato, anche prima che gli Standard di Westminster gli conferissero status confessionale.

PARTE SECONDA: Definizione e Descrizione del Patto di Opere

Definizione e Diretta Inferenza da CFW 7.1 e 7.2

E’ stato ampiamente riconosciuto che la prima precisa, focalizzata e significativa descrizione confessionale del patto di opere appare nella Confessione di Fede di Westminster (CFW). La descrizione del patto di opere si trova al Capitolo 7, intitolato “Del Patto di Dio con l’Uomo,” e specificamente nelle prime due sezioni, che trattano della relazione di Dio all’uomo prima della Caduta. CFW 7.1 afferma inequivocabilmente che la relazione di Dio ai nostri primi genitori era una relazione di patto:

I. La distanza tra Dio e la creatura è così ampia, che sebbene le creature razionali Gli debbano obbedienza come loro Creatore, tuttavia esse non avrebbero mai potuto avere alcun godimento di Lui come loro benedizione e ricompensa, se non per una volontaria condiscendenza da parte di Dio, la quale Egli si è compiaciuto di esprimere nella forma di un patto [1].

[1] Isaia 40:13-17; Giobbe 9:32; I Samuele 2:25; Salmo 113:5-6; 100:2-3; Giobbe 22:2-3; Giobbe 35:7-8; Luca 17:10; Atti 17:24-25

Poi, abbiamo la definizione del patto di opere, che noi assumiamo per il resto di questo documento. Nel descrivere la relazione con Adamo, CFW 7.2 la chiama un “patto di opere,” e fornisce due chiari elementi che appartengono ad essa:

II. Il primo patto stipulato con l’uomo fu un patto d’opere,[1] nel quale la vita fu promessa ad Adamo; e in lui alla sua discendenza,[2] a condizione della perfetta e personale obbedienza.[3]

[1] Galati 3:12
[2] Romani 10:5; Romani 5:12-20
[3] Genesi 2:17; Galati 3:10

Le seguenti osservazioni devono essere fatte a riguardo di queste due affermazioni:

1. Preliminarmente, ma conducente al patto di opere, dal titolo del capitolo, i teologi di Westminster riconobbero chiaramente che vi è soltanto un patto nella Scrittura. Noi diciamo questo nonostante la loro terminologia apparentemente conflittuale nella successiva descrizione di due patti, il primo essendo un patto di opere (CFW 7.2) ed il secondo essendo un patto di grazia (CFW 7.3 e a seguire). Forse essi usano questo linguaggio perché la Scrittura parla di molti patti: il patto di Noè, il patto davidico, etc. Tuttavia, per quanto sia di poco aiuto, il titolo del capitolo mostra chiaramente che i teologi riconoscevano che vi era un solo patto e non più patti, e che esso fu rivelato e dispiegato in vie differenti e man mano più ricche attraverso la Bibbia. Dunque, se dovessimo considerarli nella luce migliore, essi starebbero intendendo che il solo patto di Dio con l’Uomo aveva due aspetti che essi avrebbero definito il patto di opere ed il patto di grazia.

2. La nostra seconda osservazione introduttoria correlata al patto di opere è che anche se i teologi di Westminster non usarono il termine “grazia” (cosa che avrebbero potuto fare senza alcun problema dal momento che la grazia è “favore immeritato”) essi comprendevano che qualsiasi cosa Adamo aveva da Dio era immeritato, perché CFW 7.1 parla di “volontaria condiscendenza da parte di Dio” a motivo del fatto che “la distanza tra Dio e la creatura è così grande.” Tuttavia l’assenza della parola “grazia” a questo punto rende il patto prelapsario aperto all’idea di merito ed opere (in distinzione da “grazia,” come nel secondo), un’inclinazione che è stata tristemente ripresa da molti teologi Presbiteriani e Riformati continentali successivi, sia volontariamente che non, come vedremo.

3. In più, la CFW esplicitamente insegna che il patto di opere aveva due elementi:

a. Primo, esso conteneva una promessa di vita ad Adamo e alla sua posterità.

b. Secondo, questa promessa era condizionata dalla perfettà e personale ubbidienza.

4. Infine, noi notiamo soltanto che i teologi scelsero di usare il termine “patto di vita”18 nel Catechismo Minore e Maggiore di Westminster in modo intercambiabile al termine “patto di opere.”

Così i teologi di Westminster sostenevano correttamente e significativamente che vi era una relazione di patto tra Dio e l’Uomo prelapsario, cioè, in Adamo, che si trovava come capo federale di tutta la sua posterità umana. Inoltre, essi fecero questa importante deduzione (che ha ripercussioni sulla dottrina del peccato originale e la dottrina della totale depravazione) basandola sulla sezione significativa di Romani 5:12-21.

Ma ci sono tre domande importanti che necessitano di una risposta, e non è immediatamente chiaro, anzi è piuttosto vago, cosa CFW 7.1 e 7.2 insegnino a questo riguardo.

Primo: la relazione pattale di Dio con Adamo avvenne dopo che Adamo fu creato (i.e., era incidentale) o in virtù della creazione di Adamo (i.e., essenziale)?

Secondo: cosa intendevano i teologi di Westminster con una promessa di “vita” ad Adamo e alla sua posterità?

Terzo ed ultimo: in che modo trattare la parola “condizionata?”

Anche se le risposte a queste domande non possono essere tratte dai teologi di Westminster nel loro insieme (poiché non conosciamo alcun documento ancora esistente che riporti la loro discussione a riguardo), tuttavia, abbiamo qualche risposta.

L’Interpretazione di Thomas Goodwin, un Teologo di Westminster

Presa a sè, la formulazione della Confessione di Westminster nel capitolo 7.1 e 7.2 non insegna esplicitamente la dottrina di Rollock. Infatti, Thomas Goodwin (1600-1680), un teologo molto rispettabile di Westminster, ci fornisce una interpretazione molto differente della formulazione della CFW del patto di opere.

In relazione all’idea di “infinita distanza tra Dio ed uomo” e allo stato originale dell’Uomo, Goodwin scrive:

Il primo stato io lo denominerei, per molti aspetti, lo stato di pura natura per legge di creazione, e quanto correttamente i nostri teologi chiamano il patto noi per natura siamo portati in un foedus naturae, il patto di natura, che è fondato su un equo rapporto stabilito tra Dio il Creatore e le sue creature intelligenti non cadute, in virtù della legge del suo crearle, e per come mediante la loro creazione esse vennero fuori dalle Sue mani; Dio trattando con la creatura singolarmente e semplicemente in base ai suoi termini, e la creatura essendo vincolata a trattare con Dio secondo quel vincolo ed obbligazione che, Dio avendola creata a Sua immagine, con sufficiente potenza di rimanere in piedi, ed avendolo elevato ad esso dal puro nulla, Egli pone su di lui … il primo patto di opere sotto cui Adamo fu creato è chiamato dai teologi foedus naturae, il patto di natura, cioè, della condizione dell’uomo, che da e mediante la sua creazione era a lui naturale …19

Dunque, questo atto condiscendente di Dio Che si relaziona ad Adamo per via di un patto non accadde come un pensiero successivo alla sua creazione, perchè Goodwin parla di esso come esistente “in virtù della legge di” Dio che lo crea. Per Goodwin, un teologo di Westminster, il patto è quindi una relazione che è essenziale alla creazione di Adamo. Questo ha un esito significativo: il patto di Dio con l’uomo non è un patto inteso in senso comune come un accordo, ma è un vincolo che è essenziale ed è intimamente connesso al suo essere creato da Dio.

Secondo, ed in risposta alla questione concernente la “promessa della vita,” Goodwin rende chiaro che egli non aveva in vista la vita celeste, ma un’esistenza continuata nel Paradiso terrestre:

Conformemente a ciò, la redarguizione, la vita e felicità promessa che egli avrebbe avuto se avesse operato ed ubbidito, non era che la continuazione della stessa vita felice di cui egli godeva in paradiso, insieme al favore di Dio verso di lui. La quale continuazione nella felicità era a lui naturale, proprio come i nostri teologi dicono che l’immortalità era, infatti, in questo senso, un diritto naturale a lui mentre egli si tratteneva dal peccato, perché Dio lo preservasse in quello stato nel quale al principio si trovava; … le ragioni sono 1) Perché Cristo in I Corinzi 15:47-48 è chiamato “l’uomo celeste,” e “il Signore dal cielo,” e questo in opposizione ad Adamo, quando al meglio l’apostolo non lo chiama che un uomo terrestre. E questa differenza nella loro condizione egli la menziona evidentemente per mostrare che Cristo era il primo e solo autore di quella vita celeste che i santi in cielo godono, ed Egli Stesso giungendo dal cielo ci porta ivi. Ma al contrario, Adamo, siccome era dalla terra, così egli non era che un uomo terrestre (così il v. 47), e la sua felicità non sarebbe giunta più in alto.20

Terzo ed ultimo, per Goodwin, la “condizione” di ubbidienza non è merito ma semplicemente un mezzo di continuazione nel Paradiso terrestre, ciò essendo argomentato lucidamente, con sicurezza, e su basi bibliche, ed in stretta connessione alla sua interpretazione della “promessa della vita” come segue:

Io penso che il patto di Adamo, e l’ubbidienza ad esso, non era in grado di fare niente più che confermarlo ed assicurarlo in quella condizione in cui egli fu creato, così lontano esso era dall’essere in grado di averlo trapiantato in cielo. Perché (1) Io non conosco di alcuna promessa di questo, che dopo un tale periodo di tempo, ed una tale lunga ubbidienza compiuta egli sarebbe rimasto perpetuamente. E senza una tale promessa noi non abbiamo giustificazione per pensare o giudicare in tal modo di esso. E (2) di sicuro una creatura, essendo defettibile, il patto di natura con quella creatura, che procede secondo il suo diritto, e l’ubbidienza di quella creatura, non avrebbe mai potuto procurare indefettibilità, perché questo deve essere dalla grazia, e fu più che una creatura che fece questo per angeli ed uomini eletti, cioè Cristo, Dio-uomo.21 [enfasi mia]

Un’Altra Interpretazione nella “Somma della Conoscenza Salvifica”

Tuttavia, noi abbiamo evidenza di un’interpretazione molto differente al tempo di Westminster. Anche se la CFW 7.1 e 7.2 non insegnano necessariamente la concezione di Rollock della dottrina del patto di opere, e anche se un teologo rispettabile di Westminster come Thomas Goodwin insegna altrimenti, “La Somma della Conoscenza Salvifica,” che compare quale parte degli Standard di Westminster, e che sarebbe stata formulata da David Dickson e James Durham, afferma:

… Adamo ed Eva, la radice dell’umanità, retti ed in grado di osservare la legge scritta nel loro cuore. La quale legge essi erano naturalmente vincolati ad ubbidire sotto pena di morte; ma Dio non era vincolato a redarguire il loro servizio, fino a che egli entrò in un patto o contratto con loro, e la loro posterità in loro, per dare loro vita eterna, a condizione di perfetta ubbidienza personale, allo stesso tempo minacciando la morte in caso essi avessero fallito. Questo è il patto di opere.22

L’Interpretazione Generalmente Accettata per come Rappresentata da Charles Hodge

Triste a dirsi, ma è un fatto ampiamente riconosciuto che l’interpretazione di Goodwin non è l’interpretazione favorita oggi nei circoli Presbiteriani scozzesi ed americani.23 Al contrario, la formulazione nella Somma della Conoscenza Salvifica, è divenuta l’interpretazione prevalente. Da quanto possiamo vedere, questa posizione aveva quasi conquistato il Presbiterianesimo scozzese con l’inizio del diciottesimo secolo.24

Inoltre, questa posizione ha ottenuto una vasta accettazione e prominenza nel Nord America attraverso lo sviluppo a tutto tondo da parte dell’influente teologo Presbiteriano di Princeton Charles Hodge. A motivo della vasta accettazione del trattamento di Hodge,25 noi lo useremo come la voce rappresentativa di ciò che è divenuta la dottrina del patto di opere negli Standard di Westminster. Nella sua Teologia Sistematica, Hodge scrive:

Dio dopo aver creato l’uomo secondo la sua immagine di conoscenza, giustizia e santità, entrò in un patto con lui, a condizione della perfetta obbedienza, proibendogli di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, pena la morte.26

Riprendendo CFW 7.2, Hodge riprende l’idea di “opere” e ve ne aggiunge ora naturalmente un terzo elemento non esplicitamente presente in CFW 7.2, l’elemento della punizione. E’ significativo che Hodge stesso non poteva trovare la base di questa affermazione nelle Scritture, ma tuttavia in qualche modo è in grado di giustificarlo:

Questa affermazione non poggia su alcuna dichiarazione esplicita della Scrittura. Tuttavia, è un modo conciso e corretto di affermare un chiaro fatto Scritturale, ossia, che Dio fece ad Adamo una promessa sospesa ad una condizione, e applicò alla disobbedienza una certa pena … è chiaro che la Bibbia rappresenta la stipulazione con Adamo come un vero accordo federale. Le Scritture non conoscono che due modi per ottenere la vita eterna: uno che richiede perfetta obbedienza, e l’altro che richiede fede. Se il secondo è chiamato un patto, il primo è detto essere della stessa natura.27

In acuta contraddizione a Thomas Goodwin, per Hodge la vita che era promessa ad Adamo e alla sua posterità era “la felice, santa ed immortale esistenza di anima e corpo.” Ancor più, Hodge è audace da portare la sua “ragionevole” ipotesi un passo più in là: egli postula e sviluppa chiaramente l’idea di un periodo probatorio in Paradiso, nel quale, a condizione di perfetta (ma non perpetua) ubbidienza (egli non dice mai quanto lungo sia questo periodo!), Adamo avrebbe potuto ottenere per se stesso e la sua posterità la vita eterna e celeste:

La domanda se un’obbedienza perpetua, oltre che perfetta, fosse la condizione del patto stipulato con Adamo, deve probabilmente essere risposta in negativo. Sembra ragionevole da sé e chiaramente dedotto dalla Scrittura che tutte le creature razionali hanno un definito periodo di prova. Se sono fedeli durante quel periodo, esse sono confermate nella loro integrità, e non più esposte al pericolo dell’apostasia. Così leggiamo degli angeli che non mantennero il loro primo stato, e di quelli che invece lo fecero. Quelli che rimasero fedeli hanno continuato nella santità e nel favore di Dio. Si deve quindi concludere che se Adamo avesse continuato nell’obbedienza durante il periodo riservato alla sua prova, né lui né alcuno della sua posterità sarebbe mai stato esposto al pericolo del peccato.

In essenza, la dottrina di Hodge sul patto di opere, che oggi è divenuti l’interpretazione prevalente della dottrina di Westminster del patto di opere, contiene i seguenti tre punti in distinzione e conflitto con l’interpretazione di Goodwin:

1. Primo, il patto (di opere) tra Dio ed Adamo (e la sua posterità) fu una transazione tra di loro, un accordo in cui tutte le stipulazioni furono date ad Adamo da Dio dopo la sua creazione, che Adamo era in grado di adempiere (mediante la sua rettitudine originale) e non in essenza alla sua creazione.

2. Secondo, il patto è una promessa di vita eterna, celeste (dunque questo patto sarebbe soltanto un mezzo per un fine) per tutta l’umanità, e non semplicemente di continuazione nel Paradiso terrestre.

3. Terzo, a questa promessa è annessa una condizione di perfettà ubbidienza durante un periodo di prova, nel fallire nel quale risulterebbe nella punizione di eterna morte per tutta l’umanità.

PARTE TERZA: La Nostra Critica della Dottrina del Patto di Opere

Obiezioni alla Dottrina del Patto di Opere

Per cominciare, noi registriamo il fatto che ci irrita obiettare agli standard di Westminster e alla tradizione Presbiteriana e Riformata generale di questa dottrina. In verità, in generale noi dovremmo prendere qualsiasi deviazione dalla tradizione Presbiteriana e Riformata di maggioranza con grande gravità, riluttanza, e disagio. Ma noi siamo convinti, tuttavia, che questa dottrina è in serio errore.

Nonostante questo, possiamo cominciare felicemente questa sezione con una nota positiva. Positivamente, la dottrina del patto di opere insegna chiaramente l’indisputata verità che Dio aveva una relazione di patto con Adamo, e che Adamo si trovava come capo federale in relazione alla sua posterità. Nell’affermare l’idea scritturale di Adamo come capo di patto, l’importante proposito era quello di confutare l’eresia Arminiana e Sociniana, specialmente ma non esclusivamente nei circoli Riformati olandesi. Ciò perché gli Arminiani e i Sociniani, che insegnarono che l’Uomo aveva ancora un libero arbitrio, era basilarmente buono ed non fu influenzato dalla Caduta di Adamo per come sostenuto dai teologi Riformati ortodossi, dovevano negare una tale relazione di patto per sostenere il loro insegnamento. Avendo detto questo, però, questa dottrina ha problemi molto, molto seri dall’inizio alla fine.

Possiamo iniziare sollevando quattro obiezioni ampie e generali alla dottrina in generale.

Primo, la dottrina non ha giustificazione scritturale. Abbiamo notato in precedenza che Charles Hodge stesso riconosceva questo. Ma Hodge non è solo nella sua onesta ammissione. Anche G.I. Williamson ammette questo candidamente:

Gli elementi che costituivano il “patto di opere” non sono formalmente affermati nella Scrittura. Essi sono tuttavia chiaramente implicati.28

Ma reclamare che vi sia chiara implicazione scritturale a riguardo di questa dottrina è affermare qualcosa priva di basi. Herman Hoeksema coglie nel segno quando fa notare questo punto critico riguardante l’assenza di base scritturale per la dottrina del patto di opere. E’ la sua obiezione principale all’intera dottrina e la nostra anche:

… Primo, vi è l’obiezione principale che questa dottrina non trova supporto nella Scrittura. Noi leggiamo certamente del comando probatorio, che proibiva all’uomo di mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, e della punizione della morte minacciata in caso di disubbidienza. Tuttavia, non troviamo prova nella Scrittura per la contenzione che Dio diede ad Adamo la promessa della vita eterna se avesse ubbidito quel particolare comandamento di Dio. E’ vero, ovviamente, che Adamo non avrebbe sofferto la punizione della morte se avesse ubbidito. Ma ciò è piuttosto differente dal dire che avrebbe ottenuto la gloria e l’immortalità. Ciò non può essere dedotto o inferito dalla punizione con la morte minacciata. Adamo avrebbe potuto vivere perpetuamente nel suo stato terreno. Egli avrebbe potuto continuare a mangiare dell’albero della vita e vivere per sempre, ma la vita terrena perpetua non è lo stesso di ciò che la Scrittura intende con “vita eterna.” Le Scritture in nessun luogo suggeriscono che Adamo avrebbe raggiunto questo più alto livello di gloria celeste e che sarebbe giunto un tempo nella sua vita in cui sarebbe stato traslato. Invano si cerca nella Parola di Dio qualche supporto di questa teoria di un patto di opere.29

Secondo, perfino nella forma più leggera per come insegnata da Thomas Goodwin, noi avremmo da obiettare alla terminologia stessa “patto di opere.” Se da un lato siamo d’accordo, generalmente parlando, con il modo in cui Goodwin vede questa relazione di patto, abbiamo comunque una seria obiezione all’idea di “opere” nel nome da attribuire al patto. Perché non chiamarlo semplicemente il “patto di creazione” o “il patto adamitico?” Come Barth, noi pensiamo che questo nome inopportuno permette al Pelagianismo di introdursi, perfino nel Paradiso originale e terrestre, e questo non è accettabile. Prima abbiamo visto l’affermazione di Vos che esso non era strettamente meritorio. Molto peggio, Kersten fa questa candida ed obiettabile affermazione:

Nella sua propria potenza l’uomo, nello stato di rettitudine, era in grado di meritare la vita eterna, essendo adornato con l’immagine di Dio ed operando in completa ubbidienza alla richiesta di Dio [enfasi mia].30

E ai giorni nostri, vi è l’insistenza esplicita di Cornelis Venema sul fatto che Adamo merita presso Dio:

… il fatto è che Dio, coll’entrare in un patto con l’uomo, ha vincolato se stesso mediante le promesse come anche le richieste/obbligazioni di quel patto. Ciò significa che l’ubbidienza di Adamo al comando probatorio, anche se era un compimento e sviluppo all’interno della comunione di patto in cui fu posto dal favore preveniente di Dio, avrebbe tuttavia “meritato” la redarguizione di giustizia che Dio Stesso aveva promesso. Nel patto stesso, Dio vincolò se stesso a concedere, come una redarguizione in qualche senso ben meritata, la pienezza della comunione di patto in cui Adamo era chiamato. I termini del comando probatorio, l’implicita promessa di vita nel caso di ubbidienza, giustificano un uso qualificato del linguaggio di “merito” o “redarguizione.”31

Noi concordiamo con la valutazione di Herman Hoeksema:

… è impossibile che l’uomo dovesse meritare una speciale redarguizione da Dio. L’ubbidienza a Dio è un obbligo. Certamente ha la sua redarguizione, perché Dio è giusto e redarguisce il bene col bene. L’ubbidienza ha la sua redarguizione in se stessa: ubbidire il Signore nostro Dio è vita e gioia. Il peccato è miseria e morte. La vita e la gioia sono nell’ubbidienza. Osservare i comandamenti di Dio e servirlo è un privilegio. Ma il patto di opere insegna che Adamo poteva meritare qualcosa di più, qualcosa di speciale, coll’ubbidire il comandamento del Signore [enfasi mia].32

Noi insistiamo che non possiamo mai e poi mai meritare presso Dio. In Luca 17:10 Gesù dice: “Così anche voi, quando avrete fatto tutte le cose che vi sono comandate, dite: ‘Siamo servi inutili, abbiamo fatto ciò che era nostro dovere fare’.” Noi concordiamo con Lutero nel suo De Servo Arbitrio che “merito” è una parola empia quando usata in connessione all’uomo e alla sua relazione a Dio, anche se non quando è usata in connessione con l’opera di Cristo davanti a Dio.

Terzo, essa sminuisce l’opera di Cristo, e lo fa in vari modi. Uno, questo intero schema è in partenza un’impossibilità. Come Thomas Goodwin mise in evidenza correttamente nel suo riferimento ad I Corinzi 15:45: come poteva Adamo, un uomo terreno e che aveva la sua origine dalla terra, portarci in cielo? Ci vuole qualcuno che ha la sua origine dal cielo per portarci in cielo! Due, questa concezione non rende giustizia a Colossesi 1:16 dove è affermato chiaramente che tutta la creazione è per Cristo. Cristo deve ricevere la preeminenza alla creazione. Questa veduta lascia Cristo del tutto fuori e pone il centro focale su Adamo e il suo meritare il cielo. Tre, in questa veduta Cristo non realizzò quanto Adamo avrebbe potuto realizzare per l’intera razza umana, uno per uno. Perché mediante la Sua sofferenza e morte, Cristo redense soltanto gli eletti, una parte molto piccola dell’intera razza umana nella sua interezza. Quattro, essa rende la sofferenza e la morte di Cristo un fallimento. Ciò che Cristo realizzò con tutta la Sua sofferenza e morte fu soprasseduto dall’azione negativa di Adamo di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male? Che insulto ai grandi sforzi di Cristo, la Sua sofferenza, il Suo sangue, la Sua morte, sì, la Sua intera vita a cominciare dalla Sua incarnazione e a terminare con la Sua opera redentiva al Calvario!

Quarto, è obiettabile anche perchè essa implica che il piano di Dio nella storia fu un fallimento. Dio voleva avere l’intera umanità in cielo, ma ciò fu frustrato dal serpente. Ora per salvare una magra somma di ciò che fu perduto Dio doveva presentarsi con un “Piano B” che Gli sarebbe costato il Suo proprio amato unigenito Figlio, e farlo morire e così salvare soltanto una piccola porzione dell’umanità. Sì, Dio sarebbe addolorato eternamente, perché la vasta maggioranza dell’umanità sarebbe all’inferno!

Ora ci volgiamo alle nostre obiezioni agli specifici all’interno della dottrina del patto di opere.

Primo, noi obiettiamo al patto di opere come un patto bilaterale tra due parti contraenti, ed un mezzo per raggiungere il fine del più alto bene. Il patto di Dio è un vincolo di amicizia a Se Stesso! Esso è la più alta benedizione! Esso non è solo una via per ottenere le beatitudine e così poi essere messo da parte una volta che il fine è stato raggiunto. E’ esso stesso la beatitudine! Così anche, con il patto di grazia, esso non è il mezzo col quale noi otteniamo la vita celeste, ma il patto, reale in principio ora, sarà realizzato pienamente in Cielo. Apocalisse 21:3 dice: “Ed io udii una grande voce dal cielo che diceva, Ecco il tabernacolo di Dio è con gli uomini, ed egli dimorerà con loro, ed essi saranno il suo popolo, e Dio stesso sarà con loro, e sarà loro Dio.” Il patto con Adamo era una parte stessa della creazione non un’aggiunta successiva da parte di Dio. Così, anche, il patto non fu un accordo o patto mutuo fatto dopo la creazione che era dipendente dall’adempimento di condizioni. Invece di trovare alcuna tale nozione in Genesi 2, noi lì troviamo un dovere stipulato ed una punizione affermata per la disubbidienza ai verso 15-17. Ma questa non è una fredda relazione di puro dovere perché Dio camminava con Adamo in amicizia nel fresco del giorno, e gli diede la benedizione di essere in grado di mangiare da ogni albero.

Quindi, secondo, non abbiamo alcun elemento di una promessa di vita eterna e celeste. Non vi è una tale promessa in Genesi 2. In particolare, Genesi 2:15-17, la base tradizionale per il patto di opere, non dà alcun suggerimento riguardante una tale promessa. Al massimo, la sola inferenza che può essere tratta è che Dio promette che Adamo e la sua posterità avrebbero continuato nel Paradiso terrestre nella via dell’ubbidienza. La forte enfasi del testo è la stipulazione da parte di Dio del dovere di Adamo verso di Lui in quanto Suo servo-amico.

E terzo, in connessione alla nostra precedente osservazione riguardante Luca 17:10, non vi è nozione di merito o “condizione” di perfettà ubbidienza. Adamo non poteva guadagnare la vita celeste, e nemmeno guadagnare una esistenza continuata nel Paradiso terrestre. La parte dell’uomo nel patto è semplicemente il suo dovere fedele per come affermato da Dio. E’ nella via della doverosa obbedienza di Adamo, che le cose sarebbero continuate status quo nel Paradiso terrestre ed originale.

Infine, vi è una seria implicazione del patto di grazia da questa dottrina del patto di opere del tutto fallace. Essa proviene dal tentativo di modellare il patto di grazia sulla concezione del patto di opere. Si potrebbe cadere preda di quella nebulosa parola “condizione,” che è usata nel patto di opere. Per esempio, proprio come il guadagnare da parte di Adamo la vita eterna è a condizione di perfetta ubbidienza, i teologi Riformati hanno potuto parlare dell’Uomo che ottiene la vita eterna a condizione di fede. In altre parole, da questa problematica parola “condizione” che compare nel patto di opere, la fede non sarebbe più un mezzo per la salvezza, ma una base per la salvezza dell’Uomo! Tristemente, Charles Hodge cade preda di una tale concezione (anche se di certo afferma che non usa la parola “condizione” nel senso di “merito”33) nel trattare il patto di grazia ed involontariamente lascia la porta aperta non soltanto per l’Arminianesimo ma anche per l’universalismo:

La salvezza è offerta a tutti gli uomini a condizione di fede in Cristo … In questo senso, il patto di grazia è formato con tutta l’umanità … La salvezza è offerta a tutti gli uomini a condizione di fede in Cristo … La condizione del patto di grazia, per quanto concerne gli adulti, è la fede in Cristo [enfasi mia].34

Trattamento Positivo del patto di Dio con Adamo

Qual è, allora, il corretto insegnamento del patto che Adamo aveva con Dio? Che vi fosse una relazione di patto tra Dio ed Adamo è chiaro da Osea 6:7. Molti teologi Presbiteriani (anche se non Charles Hodge) come Robert Shaw35 e B. B. Warfield,36 come anche teologi Riformati olandesi come Berkhof ed Hoeksema, nei loro testi di Sistematica, hanno visto questo. Possiamo anche dedurre questa relazione di patto da Romani 5:12-21, che inequivocabilmente compara Adamo e Cristo in quanto capi di patto. In ciò che segue, noi affermiamo la corretta relazione pattale di Dio con Adamo, e nel fare questo mostriamo che è inaccurato eguagliare il patto di Dio con Adamo con il patto di opere. Nel rigettare il patto di opere non siamo eretici.

In modo specifico, vi sono i seguenti elementi nel patto di Dio con Adamo.

Primo, esso era un intimo, vivente vincolo di comunione che Dio aveva con Adamo. Dio era l’Amico-Sovrano di Adamo. Dio aveva comunione con lui e gli diede il suo dovere. Ed Adamo conosceva ed amava Dio, ed era l’amico-servo di Dio. Egli conosceva in che modo nominare gli animali nel modo che avrebbe dato gloria a Dio. Adamo era in grado di farlo perché portava l’immagine di Dio, ovvero conoscenza, giustizia, e santità originarie. E Dio camminava e parlava con lui nel fresco del giorno (Genesi 3:8).

Secondo, Dio stabilì e mantenne il Suo patto con Adamo in modo unilaterale. Ha mai Dio invitato Adamo a parlare con Lui ed a negoziare un mutuo accordo? Non abbiamo una tale evidenza in Genesi. Piuttosto, noi vediamo che Dio comanda ad Adamo il suo dovere, ed esso includeva la proibizione di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Qui noi vediamo la sovranità di Dio in questa amicizia con Adamo. Dio è il Sovrano-Amico di Adamo, mentre Adamo è l’ubbidiente amico-servo di Dio. La felicità e beatitudine di Adamo sarebbero continuate nella via della sua ubbidienza al Suo Sovrano-Amico. Questa sarebbe stata un’opera fedele di Adamo, ma potenziata da Dio.

Terzo, questa relazione di patto era essenziale in quanto Adamo era portatore dell’immagine di Dio e figlio di Dio. Negativamente, Dio non fece alcun contratto dopo la sua creazione, ma positivamente Egli fece così al momento della creazione.

Osservazioni Conclusive

La nostra conclusione è al di sopra di ogni dubbio. La dottrina tradizionale del patto di opere è obiettabile dall’inizio alla fine. A cominciare dal suo nome stesso e a finire con ogni suo elemento e pensiero.

Essendo passati in questo studio da un punto di vista storico, esegetico, e confessionale, devo fare alcune osservazioni.

Uno, difficilmente qualche teologo Riformato ha costruito un caso diretto per la preeminenza di Cristo nella dottrina del patto di opere. Se avessero fatto così, questo schema sarebbe risultato loro dolorosamente scomodo. Colossesi 1:16 è stato, per qualche ragione ignota, lasciato misteriosamente fuori nel considerare e formulare questa dottrina. Ognuno di questi teologi, molti dei quali erano buoni e solidi per molti, molti aspetti, sembrarono accontentarsi di lasciarlo per dopo (cioè, nel patto di grazia) il fatto di mettere Cristo nel quadro.

Due, mi disorienta in quale misura alcuni son capaci accettare la nozione di “merito” o di guadagno in Paradiso. Grosso modo, i teologi Presbiteriani e Riformati che insegnano questo sembrano essersi accontentati di ritenere questa nozione in base a tre cose. Primo, Adamo era nello stato di rettitudine originale. Secondo, molti dei migliori teologi hanno pensato di poter passare lisci con la nozione di “merito” semplicemente chiamando la promessa di Dio una promessa “di grazia.” Infine ed implicitamente, accontentarsi e fidarsi di questa dottrina probabilmente era divenuto ormai qualcosa di stabilito, dal momento che era usata con successo per combattere l’eresia Arminiana e Sociniana, che negava il peccato originale da Adamo, così tanto che alcuni, come Kersten, sembrano non poter nemmeno discutere l’idea di un patto con Adamo senza parlare del patto di opere, come abbiamo visto prima. La verità è che solo Cristo, avendo una natura divina, e non il suo tipo interamente terrestre, Adamo, poteva meritare qualcosa presso Dio!

Tre, abbiamo visto che la dottrina generalmente accettata del patto di opere non è necessariamente richiesta da CFW 7.1 e 7.2. In modo chiaro CFW 7.1 e 7.2 è molto, molto ambigua. Ciò è in qualche modo incongruo alla grande precisione, cura, e a volte perfino bellezza esercitata nel redarre e formulare il documento. Non si può che essere impressionati dalla Confessione di Fede di Westminster in certe sezioni. Alcune tra le sue caratteristiche impressionanti sono la sua dottrina della Scrittura, la sua sezione accuratamente formulata sulle “Buone Opere” e la previsione e saggezza dell’Assemblea nel dedicare un intero capitolo su una dottrina basilare come il “Ravvedimento.”37 Noi abbiamo visto che Thomas Goodwin, un teologo prominente ed affidabile di Westminster, aveva un modo di approcciare CFW 7.1 e 7.2 piuttosto differente, ed esso era in acuto contrasto alla formulazione che si trova nella “Somma della Conoscenza Salvifica,” che è una parte degli Standard di Westminster. A cosa è dovuta questa formulazione ambigua? Potrebbe essere stato un compromesso tra due parti all’Assemblea, una che favoriva l’interpretazione di Goodwin (egli era un delegato di Westminster) e l’altra che favoriva la trattazione più tardi formulata da Hodge? Noi crediamo che ciò possa essere certamente possibile, ma non siamo in grado di verificarlo.

Qualsiasi sia il caso, è per me motivo di gratitudine il fatto che le Tre Formule di Unità non furono molto sviluppate in alcune dottrine. In particolare, non vi è patto di opere. Noi abbiamo una bellissima eredità nelle Tre Formule di Unità. Tuttavia, in tutto questo, umiliamo noi stessi e siamo preparati a sottometterci all’autorità ultima delle Scritture, nel caso dovessero esservi dei problemi dottrinali (per quanto ciò ci sembri improbabile) nelle Tre Formule di Unità, nell’appropriata ed onesta via ecclesiastica. Perché gli Standard di Westminster, lo standard confessionale Presbiteriano, ed un credo internazionalmente riconosciuto e davvero buono, di sicuro hanno due errori noti al presente, quello del divorzio e risposalizio,38 e, come indica questo documento, quello del patto di opere. Possa Dio continuare a benedire e sviluppare la Sua verità per la Sua amata chiesa e possiamo noi esercitare grande fedeltà, umiltà, e cura nel compiere il vitale compito della difesa e dello sviluppo teologico per parte delle chiese di Gesù Cristo.

(Tratto da: Protestant Reformed Theological Journal, Novembre 2003)

Per altre risorse in italiano, clicca qui.


1Geerhardus Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology (La Dottrina del Patto nella Teologia Riformata), (URL: “www.biblical theology.org/dcrt.htm”), p.1 di 20 del mio documento stampato da Internet.
2Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology, p. 2.
3Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology, p. 2.
4Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology, nota 5.
5Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology, p.2
6John Beardslee III, Reformed Dogmatics (Baker Book House, 1977), p. 64.
7Heinrich Heppe, Reformed Dogmatics (Baker Book House, 1978), p. 283.
8Heppe, Reformed Dogmatics, p. 283.
9Louis Berkhof, Systematic Theology (Eerdmans, 2002), p. 212.
10Tutto ciò di cui l’ortodossia Presbiteriana e Riformata necessitava era stabilire che vi era una relazione di patto con Adamo, e non tutti gli altri erronei elementi nella dottrina del patto di opere.
11G. H. Kersten, Reformed Dogmatics (Eerdmans, 1994), vol 1, p. 292-3: Al cap. 15, intitolato “Il Patto di Opere,” Kersten parla in generale della dottrina dei patti e della sua importanza nella relazione all’imputazione del peccato di Adamo a tutta la sua posterità, e dunque vede la reiezione della dottrina del patto di opere da parte di Vlak e Bekker come una complete reiezione della Teologia del patto.
12Noi insistiamo su questo contro Kersten nella sua Dogmatica Riformata, pp. 202-3, dove, senza alcuna base, egli fa dire alle Tre Formule altre cose. Le Tre Formule meramente e correttamente insegnano che vi era un patto tra Dio ed Adamo. Ciò è probabilmente dovuto all’inaccurata equazione da parte di Kersten del patto di opere con la verità che Dio aveva una relazione pattale con Adamo.
13La Formula del Consenso Elvetico (1675), canoni 8, 9.
14Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology, p. 3.
15Citato in Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology, p. 3, da “Tractate,” Robert Rollock, Woodrow Society of Edinburgh, 1849, p. 34.
16Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology, p. 3.
17Vos, The Doctrine of the Covenant in Reformed Theology, p. 9.
18Vedasi Catechismo Minore D/R 12, Catechismo Maggiore D/R 20 dove sono usate queste espressioni, ma il Catechismo Maggiore D/R 30 dove è fatta l’osservazione “comunemente chiamato il patto di opere.”
19Thomas Goodwin, The Works of Thomas Goodwin, vol. 7 (Edinburgh: Nicholl, 1863), pp. 22-23.
20Goodwin, The Works of Thomas Goodwin, p. 49-50.
21Goodwin, The Works of Thomas Goodwin, p. 51.
22“La Somma della Conoscenza Salvifica,” Capo I.
23Possiamo constatare ciò nelle opere di Sistematica classiche dei teologi Presbiteriani e Riformati e nei commentari sulla CFW: per es. nella Dogmatica Riformata di Beardslee III, nella Dogmatica Riformata di Heppe, nella Dogmatica Riformata di Kersten, nella Teologia Sistematica di Berkhof, ne La Confessione di Fede di A. A. Hodge.
24Susseguenti opere principali come La Teologia Sistematica di John Brown di Haddington, di John Brown, p. 192 e a seguire, e Un’Esposizione della Confessione di Westminster di Robert Shaw, p. 85 e a seguire, scritte rispettivamente nel 1782 e 1845, attestano questo.
25E’ degno di nota che la spiegazione di Hodge è citati ed adottata dal teologo Riformato Olandese Louis Berkhof nella sua prominente opera Systematic Theology [Teologia Sistematica].
26Charles Hodge, Systematic Theology, vol. 2, 6, 117.
27Ibid., 6 §1, 117.
28G.I. Williamson, The Westminster Confession of Faith for Study Classes (Presbyterian & Reformed, 1964), p. 64.
29Herman Hoeksema, Reformed Dogmatics (Reformed Free Publishing Association, 1988), p. 217.
30Kersten, Reformed Dogmatics, vol. 1, p. 196.
31Venema, Cornelis P., “Recent Criticisms of the Covenant of Works in the Westminster Confession of Faith,” Mid-America Journal of Theology, 195-6, (1993, vol. 9, No. 2).
32Hoeksema, Reformed Dogmatics, pp. 217-218.
33Hodge, Systematic Theology, vol. 2, p. 365.
34Hodge, Systematic Theology, vol. 2, p. 365.
35Robert Shaw, An Exposition of the Westminster Confession of Faith (Christian Focus, 1990), p. 85e a seguire.
36BB Warfield, ” Hosea 6:7: Adam or Man?”, Selected Shorter Writings, vol. 1 (P&R, 1970), pp. 116-29.
37Molte delle chiese evangeliche odierne predicano un Vangelo di amore privo di peccato e ravvedimento.
38Vedi Sezione Italiana CPRC, sottosezione “Celibato e Matrimonio Cristiano.”
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