Ron Hanko
In teologia la dottrina dello stato intermedio ha a che fare con lo stato dell’anima tra la morte e la risurrezione finale. Questa dottrina risponde alla domanda: “Cosa mi accade dopo la morte?” Ciò che insegna la Scrittura è, quindi, di vitale importanza per i credenti: dopo la morte il credente entra nella gloria celeste ed è cosciente della gloria e del suo essere con Cristo. Quanto differente la loro esperienza è da quella degli increduli ed impenitenti, che, perfino prima che i loro corpi siano risuscitati, vanno in un cosciente stato di sofferenza per il loro peccato all’inferno (Luca 16:22-28).
Vi sono molti che negano questo. Alcuni insegnano il “sonno dell’anima:” le anime di coloro che sono in cielo o all’inferno stanno dormendo e non sono coscienti di ciò che sta accadendo loro. Similmente, alcuni Cristiani Ricostruzionisti insegnano che l’anima passa fuori dall’esistenza alla morte. Questa nozione, come Calvino ha fatto notare tanto tempo fa, è perversa e non dovrebbe essere accolta dal popolo di Dio. Essa distrugge la loro speranza in Cristo, rinnova i terrori della morte, e li lascia senza conforto di fronte all’ultimo dei loro nemici.
La nostra speranza di gloria con Cristo è basata sulle parole di Gesù al ladrone morente: “Oggi sarai con me in paradiso” (Luca 23:43). Forse qualcuno crede sul serio che Gesù voleva dire: “Sarai lì ma non lo saprai,” o che “il tuo paradiso consisterà nel fatto che passerai fuori dall’esistenza fino a quando saranno passate molte migliaia di anni e poi giungerà la fine?”
Per quanto riguarda Filippesi 1:23, Calvino dice: “Forse essi pensano che lui [Paolo] desidera addormentarsi così da non sentir più alcun desiderio per Cristo? Era questo tutto quello per cui egli stava sperando quando disse che aveva una costruzione da Dio, una casa non fatta con mani, appena la casa terrestre del suo tabernacolo si sarebbe dissolta? (II Corinzi 5:1). Dov’erano i benefici dell’essere con Cristo se egli avesse cessato di vivere la vita di Cristo? Cosa? Non sono essi riempiti di meraviglia dalle parole del Signore quando, chiamando Se Stesso il Dio di Abraamo, Isacco, e Giacobbe, egli dice che Egli è ‘Dio non dei morti ma dei vivi’? (Matteo 22:32; Marco 12:27). Egli non è, quindi, né un Dio per loro, né essi devono essergli un popolo?”1
Ma che dire poi di quei passaggi che descrivono la morte dei credenti come un sonno? (Matteo 27:52; Atti 13:36; I Corinzi 11:30; I Corinzi 15:20, 51; Efesini 5:14; I Tessalonicesi 4:14). Alla luce dei passaggi già menzionati, non possono voler dire che vi è qualcosa come un sonno dell’anima. Essi devono far riferimento alla morte e alla dissoluzione del corpo ed al fatto che la morte dei credenti, per i quali la morte è conquistata, non è più difficoltosa di un addormentarsi. Né è strano che la morte dei credenti dovesse essere descritta come un sonno, perché è attraverso la morte che essi entrano l’eterno riposo dalle loro fatiche (Isaia 57:1; Apocalisse 14:13).
La Scrittura suggerisce che nell’intervallo tra la morte e la risurrezione finale, Dio provvede in modo speciale a fare in modo che l’anima, senza il corpo, possa godere della gloria che Egli ha promesso. “Se la nostra casa terrena di questo tabernacolo fosse dissolta, noi abbiamo una costruzione da Dio, una casa non fatta con mani, eterna nei cieli” (II Corinzi 5:1). Per questa ragione, essere assenti dal corpo è essere presenti (letteralmente “a casa”) col Signore (v. 8). Dunque, anche se altri non vogliono, noi vogliamo essere assenti dal corpo, vero?
(“The Intermediate State,” un capitolo tradotto da: Doctrine According to Godliness [Grandville, Michigan, USA: Reformed Free Publishing Association, 2004], pp. 316-317)
1Giovanni Calvino, “Psychopannychia,” in Tracts and Treatises of John Calvin, vol. 3 (Grand Rapids, Michigan: William B. Eerdmans Co., 1958), 444.