John Murray (1898–1975)
La questione dell’appropriatezza delle rappresentazioni pittoriche del Salvatore merita un esame approfondito. Si deve ammettere che l’adorazione di Cristo è centrale nella nostra santa fede, e il pensiero del Salvatore deve essere in ogni occasione accompagnato dalla riverenza che è propria del suo culto. Non possiamo pensare a lui senza la consapevolezza della sua maestà. Se non avvertiamo il senso della sua maestà, siamo colpevoli di empietà e lo disonoriamo.
Si deve anche ammettere che l’unico scopo che una rappresentazione pittorica potrebbe propriamente servire sarebbe di trasmetterci un qualche pensiero o insegnamento che lo rappresenti, in accordo con la verità e che induca all’adorazione. Di conseguenza non si può sfuggire alla domanda: una rappresentazione pittorica è un modo legittimo di trasmettere la verità che lo riguarda e di contribuire all’adorazione che questa verità dovrebbe suscitare?
Siamo tutti consapevoli dell’influenza esercitata sulla mente e sul cuore dalle immagini. Le immagini sono un potente mezzo di comunicazione. Quanto suggestive sono per il bene e per il male e tanto più quando sono accompagnate dal commento della parola a voce o scritta! È futile, quindi, negare l’influenza esercitata sulla mente e sul cuore da un’immagine di Cristo. E se questa è legittima, l’influenza esercitata dovrebbe indurre al culto e all’adorazione. Sostenere un qualunque scopo inferiore a quello servito da un’immagine del Salvatore sarebbe una contestazione del posto che deve occupare nei pensieri, nei sentimenti e nell’onore.
L’argomentazione a favore dell’appropriatezza delle immagini di Cristo si fonda sul fatto che egli era vero uomo, che aveva un corpo umano, che era visibile nella sua natura umana ai sensi fisici, e che un’immagine ci aiuta a comprendere la stupenda realtà dell’incarnazione, in una parola, che egli fu fatto nelle sembianze degli uomini e fu trovato in forma d’uomo.
Nostro Signore aveva un corpo vero. Avrebbe potuto essere fotografato. Sarebbe stato possibile eseguirne un ritratto, e se fosse stato un buon ritratto, avrebbe riprodotto le sue sembianze.
Senza alcun dubbio i suoi discepoli nei giorni della sua carne avevano una vivida immagine mentale dell’aspetto di Gesù e non avrebbero potuto che conservare quel ricordo fino ai loro giorni. Non avrebbero potuto soffermare i pensieri su di lui mentre soggiornava con loro senza una qualche immagine mentale, e non avrebbero potuto soffermarvisi senza adorazione e culto. I dettagli che ricordavano sarebbero stati elementi essenziali della loro concezione di lui e avrebbero ricordato loro ciò che egli era stato nella sua umiliazione e nella gloria della manifestazione della sua risurrezione. Si potrebbe dire molto di più sul significato per i discepoli dell’aspetto fisico di Gesù.
Gesù è glorificato anche nel corpo e quel corpo è visibile. Esso diventerà visibile per noi nella sua gloriosa apparizione quando “apparirà una seconda volta senza peccato a coloro che lo aspettano per la salvezza” (Ebrei 9:28).
Che cosa dunque dobbiamo dire delle immagini di Cristo? Prima di tutto, si deve dire che non possediamo alcun qualsivoglia elemento sulla cui base si possa realizzare una rappresentazione pittorica; non abbiamo descrizioni del suo aspetto fisico che possano consentire anche al più dotato artista di eseguire un ritratto approssimato. In considerazione della profonda influenza esercitata da un’immagine, specialmente sulla mente delle persone più giovani, dovremmo avvertire il pericolo che implica un ritratto per il quale non esiste mandato, un ritratto che è la creazione della pura immaginazione. Potrebbe essere d’aiuto evidenziare la follia di chiedere: quale sarebbe la reazione di un discepolo, il quale vide il Signore nei giorni della sua carne, ad un ritratto che fosse il frutto dell’immaginazione da parte di qualcuno che non ha mai visto il Salvatore? Possiamo prontamente immaginare quale sarebbe la sua reazione.
Nessuna impressione che abbiamo di Gesù dovrebbe essere creata senza appropriati elementi di rivelazione, e ogni impressione, ogni pensiero, dovrebbe suscitare il culto. Quindi, poiché non possediamo alcun elemento di rivelazione per un’immagine o un ritratto nel senso proprio del termine, ce ne è preclusa l’esecuzione o l’uso di uno qualsiasi che sia stato realizzato.
Secondariamente, le immagini di Cristo sono in principio una violazione del secondo comandamento. Un’immagine di Cristo, se serve un qualunque scopo utile, deve evocare qualche pensiero o sentimento di riverenza nei suoi confronti, e in considerazione di ciò che lui è, questo pensiero o sentimento sarà di adorazione. Non possiamo evitare di rendere l’immagine uno strumento di culto. Ma poiché i materiali di questo strumento di culto non sono derivati dall’unica rivelazione in nostro possesso riguardo a Gesù, ovvero, la Scrittura, il culto è condizionato da una creazione della mente umana che non ha alcun mandato rivelatorio. Questo è un culto arbitrario. Infatti il principio del secondo comandamento è che dobbiamo adorare Dio solo nei modi prescritti e autorizzati da lui. È un grave peccato lasciare che il culto sia condizionato da un’invenzione umana, e questo è quanto implica un’immagine del Salvatore.
Terzo, il secondo comandamento proibisce di prostrarsi davanti ad un’immagine o rappresentazione di qualunque cosa che sia sopra nel cielo, o sulla terra sottostante, o nelle acque sotto la terra. Un’immagine del Salvatore pretende d’essere una sua rappresentazione o sembianza di come è ora in cielo, o quantomeno di quando soggiornava sulla terra. È espressamente proibito, quindi, prostrarsi in adorazione davanti ad una tale rappresentazione o sembianza. Questo dimostra l’iniquità intrinseca nella pratica di esporre rappresentazioni pittoriche del Salvatore in luoghi di culto. Quando rendiamo il culto innanzi ad un’immagine di nostro Signore, sia nella forma di un affresco, o su tela, o in una vetrata, noi stiamo facendo ciò che il secondo comandamento espressamente proibisce. Questo è reso ancora più evidente quando riflettiamo sul fatto che l’unica ragione per cui una sua immagine debba essere esposta è la supposizione che essa contribuisca al culto di colui che è nostro Signore. La pratica dimostra soltanto quando insensibili diveniamo rapidamente ai comandamenti di Dio e all’avanzare dell’idolatria. Possano le Chiese di Cristo essere vigili riguardo agli espedienti ingannevoli con i quali l’arcinemico cerca costantemente di corrompere il culto del Salvatore.
In conclusione, ciò che è in gioco in questa questione è il posto unico che Gesù Cristo come Dio-uomo occupa nella nostra fede e culto, e il posto unico che la Scrittura occupa come la sola rivelazione, il solo mezzo di comunicazione, riguardo a Colui che noi adoriamo come Signore e Salvatore. La Parola incarnata e la Parola scritta sono correlate. Non osiamo usare alcun altro strumento per dare impressioni e suscitare sentimenti se non quelli da lui istituiti e prescritti. Ogni pensiero e impressione su di lui dovrebbe evocare adorazione. Noi gli rendiamo il culto insieme al Padre e allo Spirito Santo, un solo Dio. Usare una rappresentazione di Cristo come ausilio nel culto è proibito dal secondo comandamento tanto nel suo caso quanto in quello del Padre e dello Spirito.
Da Reformed Herald, vol. 16, n. 9 (Febbraio 1961), e da The Presbyterian Reformed Magazine, vol. 7, n. 4 (Inverno 1993).
(Traduzione Italiana da: http://www.federiformata.it/biblioteca/teologia/murray_immagini-di-cristo.html)