Non Giudicare! (1)
Ai nostri giorni, c’è un’interpretazione di Matteo 7:1 molto popolare, ma terribilmente erronea: “Non giudicate, affinché non siate giudicati.” Essa sostiene che ogni tipo di giudicare è uno sbaglio. Tu non dovresti giudicare le religioni, le dottrine, le persone o i principi. Non disse forse Gesù, “Non giudicate, affinché non siate giudicati”? Secondo questa veduta, uno non può dire che le religioni pagane sono idolatre (Esodo 20:3; 1 Corinzi 10:20), che l’aborto è omicidio (Esodo 20:13; Salmo 139:13-16), che il libero arbitrio è una falsa dottrina (Giovanni 6:65; Romani 3:11) o che l’omosessualità è un’abominazione (Levitico 18:22, Romani 1:26-27). “Non giudicate, affinché non siate giudicati”! Infatti, secondo questa concezione l’unica cosa sbagliata è giudicare che alcune cose o persone sono nello sbaglio, e la più grande virtù e la tolleranza verso qualsiasi cosa. “Io sto apposto e tu stai apposto!” Non ci solo standard assoluti, ogni cosa è relativa è solo il giudicare è proibito. Infatti, giudicare è peccato – ammesso che ci sia ancora una cosa come il peccato!
Ma questa veduta e questa interpretazione di Matteo 7:1 sono folli e contraddittorie. Se ogni giudicare è proibito, allora è proibito anche giudicare qualcuno per il fatto che giudica! Dopotutto, giudicare qualcuno che giudica e ugualmente proibito dalla (falsa) interpretazione delle parole di Gesù, “Non giudicate, affinché non siate giudicati”!
Inoltre, nel Sermone sul Monte (Matteo 5-7) – dove si trova questo testo – il giudizio è richiesto. Si considerino le parole del Salvatore in Matteo 5. Egli condanna l’omicidio e anche solo l’essere adirati contro un fratello senza motivo (21-22); Egli condanna l’adulterio, anche il guardare una donna e desiderarla (27-30); ed il divorzio, eccetto per fornicazione (31-32); e diversi tipi di giuramenti peccaminosi (33-37).
Giudicare è anche richiesto al fine di obbedire all’istruzione di Cristo in Matteo 6 riguardo all’elemosina o alle azioni caritatevoli (1-4), alla preghiera (5-15) e al digiuno (16-18), e questo perché non si devono fare queste cose, come i Farisei, solo per essere visti. Il Signore Gesù giudica peccaminosi i seguenti comportamenti: affidarsi ai tesori terreni (19), cercare di servire Dio con il denaro (24), e preoccuparsi dei nostri bisogni terreni (25-34).
E Matteo 7 è simile. Al fine di obbedire alla proibizione di Cristo di dare le nostre perle ai porci, abbiamo bisogno di capire chi sono le persone che Lui chiama “cani” e “porci” (6). Ma come possiamo curarci dell’avvertimento di Gesù contro i falsi profeti, se non possiamo giudicarli dai loro frutti, come Egli tra l’altro richiede (15-20)?
Ci sono molte altre situazioni dove un (corretto) giudizio è richiesto. 1 Corinzi 6:2-3 ci dice che, nell’ultimo giorno, i credenti giudicheranno il mondo incredulo e gli angeli. Per questo, Paolo incoraggia i santi nella chiesa a giudicare in questo tempo in maniera giusta (1, 4-5). Ovviamente, la parola di Cristo, “Non giudicate, affinché non siate giudicati,” non proibisce questo.
I magistrati sono chiamati a giudicare nelle faccende civili. Un assassino è chiamato in giudizio davanti alla corte e un ladro è processato. Non ci sarà nessuno che urlerà “”Signori, non giudichiamo!”, appellandosi a questa falsa interpretazione di Matteo 7:1!
Anche i genitori devono giudicare. Il comportamento di loro figlio o figlia era peccaminoso (secondo la Parola di Dio)? Quale è la più appropriata forma di disciplina amorevole in questo caso? Ammonizione verbale? O dovrebbe essere autorizzata punizione fisica?
Anche le sessioni o concistori della chiesa sono chiamati a giudicare con retto giudizio. Per esempio, un membro segue la strada di Matteo 18:15-20 con un altro membro. Tristemente, il fratello non si ravvede dopo essere stato ammonito frequentemente. Così la questione è portata agli anziani, in accordo alla procedura impostata dall’Ordine di Chiesa.
Le congregazioni sono chiamate a giudicare biblicamente i leader di chiesa. La chiesa ad Efeso ricevette il comando da Cristo di condannare i falsi apostoli (Apocalisse 2:2). La congregazione di Tiatira fu rimproverata per aver tollerato Iezabel che insegnava e seduceva i santi (20).
Ogni credente ha ricevuto il comando di giudicare sé stesso o sé stessa secondo le Scrittura, come comanda 1 Corinzi 11:28, “Ora ognuno esamini se stesso …” Questa è la nostra chiamata specialmente quando ci prepariamo alla cena del Signore, come mostra il contesto di 1 Corinzi 11 (Confessione di Fede Begla 35; Cathechismo di Heidelberg D.&R. 81).
Infatti, al figlio di Dio è comandato dal suo padre celeste di giudicare con diverse capacità e in varie maniere. Dopotutto, il credente è un profeta, un sacerdote e un re. Come re, noi dobbiamo giudicare, cioè esercitare un giusto giudizio in conformità alla mente di Cristo, come è rivelata nelle Scritture.
Martin Lutero ha scritto, verso l’inizio de Il Servo Arbitrio, la sua celeberrima confutazione dell’umanista Erasmo, confutazione che sostiene che un Cristiano deve giudicare (secondo i criteri biblici), altrimenti egli si rivelerebbe essere un non credente. “È infatti indegno di un cuore cristiano non essere attratto dalle affermazioni: un cristiano deve al contrario compiacersene, oppure non sarà un vero cristiano. Ora, per affermazioni (tanto per non giocare con le parole) intendo l’aderire costantemente a una dottrina, affermarla, confessarla, difenderla e sostenerla fino in fondo con perseveranza … Inoltre, mi riferisco a quelle cose che devono essere affermate, ovvero che ci sono state tramandate per via divina nella sacra Scrittura … Togli le affermazioni e hai tolto il Cristianesimo. Lo Spirito Santo è dato ai cristiani dal cielo affinché glorifichi Cristo (Giovanni 16:14) e lo annunzi fino alla morte; e cos’altro vuol dire fare affermazioni se non morire per la confessione e l’affermazione?”1 Poi, Lutero chiede ad Erasmo (e a tutti gli scettici moderni politicamente corretti), “Che cos’è questo timore religioso e questa inconsueta umiltà, per cui ci sottrai con il tuo esempio la facoltà di giudicare le decisioni degli uomini e ci sottoponi in modo acritico alla loro autorità? Dove mai la divina Scrittura ci comanda questo?”2 Infatti: dove!?
Il Cristiano giudica secondo la sua posizione o situazione di vita (per esempio, se è un genitore, un magistrate o un anziano), avendo una doveroso cognizione dei fatti (da tutti i lati delle questioni), con misericordia (permettendo di mitigare le circostanze), in amore (per l’Iddio Triuno, per la Sua verità e per il prossimo), in umiltà (come un servo e non come un signore) e in accordo ai principi scritturali.
Nel prossimo numero, Dio volendo, considereremo il giudizio (peccaminoso) che nostro Signore proibisce e nel quale non dobbiamo addentrarci. Rev. Stewart
Mosè Peccò nell’uccidere l’Egiziano?
“In quei giorni, quando Mosè si era fatto grande, avvenne che egli uscì a trovare i suoi fratelli e notò i loro duri lavori; e vide un Egiziano che percuoteva un uomo ebreo, uno dei suoi fratelli. Egli guardò di qua e di là e, visto che non c’era nessuno, uccise l’Egiziano e lo nascose poi nella sabbia” (Esodo 2:11-12).
E, vedendone uno che subiva un torto, lo difese e vendicò l’oppresso, uccidendo l’Egiziano. Or egli pensava che i suoi fratelli avrebbero capito che Dio stava per dar loro liberazione per mezzo suo, ma essi non compresero” (Atti 7:24-25). Un fratello chiede, “Era giusto da parte di Mosè uccidere l’egiziano alla luce di Atti 7:24-25, o era un omicidio?”
La domanda è interessante e contiene elementi che hanno un significato particolare.
Il primo punto d’interesse, sebbene solo indirettamente correlato alla domanda, è il fatto che l’istruzione di Mosè ricevuta dai suoi genitori, quando era solo un piccolo bambino, fu usata da Dio per proteggerlo spiritualmente in tutti I suoi anni nel palazzo del Faraone. Egli andò a vivere con la figlia del Faraone non dopo aver superato i quattro anni. E fu in quel palazzo per quasi quaranta anni. E tuttavia rimase fedele a Geova. Ebrei 11:24-26 chiarisce questo: “Per fede Mosè, divenuto adulto, rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del Faraone, scegliendo piuttosto di essere maltrattato col popolo di Dio che di godere per breve tempo i piaceri del peccato, stimando il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori di Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa.”
Senza dubbio, quando egli era un infante o un bambino i suoi genitori gli insegnarono che Israele era il popolo scelto di Dio e l’oggetto del Suo amore; che Geova un giorno lo avrebbe liberato dalla schiavitù egiziana; che Dio avrebbe mantenuto la promessa che fece ad Abramo, Isacco e Giacobbe, e che egli (Mosè) era destinato a giocare un ruolo importante in questa liberazione (Ebrei 11:23). Questa istruzione, sebbene data quando era un bambino, rimase in Mosè per quasi quaranta anni e lo mantenne fedele. Di certo questo ci evidenzia l’importanza di un’istruzione pattale per i nostri figli sin da quando essi nascono.
L’uccisione dell’egiziano da parte di Mosè, perciò, non fu un peccato. Egli sapeva che la sua chiamata era quella di condurre Israele fuori dall’Egitto e dalla schiavitù di Faraone. Egli sapeva che la guerra che lui e la nazione dovevano combattere consisteva nella distruzione dei nemici di Israele. E sapeva che questo avrebbe comportato la distruzione degli egiziani. Perciò, il suo uccidere l’egiziano non fu un omicidio ma un atto di fede. Cioè, egli pensava che avrebbe iniziato la sua opera quando avrebbe visto uno dei suoi fratelli malamente abusato.
Atti 7:25 parla chiaro. Mosè stava esprimendo la sua fede, la quale è descritta in Ebrei 11; egli stava difendendo i sui fratelli, uno del popolo di Dio. Egli “vendicò” i suoi fratelli eliminando l’egiziano perché egli sapeva che Geova steso avrebbe distrutto gli Egiziani, perché egli aveva capito il principio esposto da Isaia molti anni dopo: Sion è redenta attraverso il giudizio (Isaia 1:27). Per queste ragioni, io considero l’uccisione dell’egiziano come un atto di fede.
Tuttavia, anche il peccato è qui coinvolto. Il peccato di Mosè non fu quello di uccidere uno degli oppressori di Israele, ma il suo peccato fu quello di prendere le redini della situazione e di non aspettare Geova per compiere l’opera. Dopotutto, Dio aveva specificamente detto che sarebbe stato Lui a liberare il Suo popolo (Genesi 15:13-14).
Quello che passo nella mente di Mosè ci è sconosciuto. Forse egli non poteva più sopportare l’oppressione dei suoi amati fratelli. Forse egli pensò erroneamente che, ora che aveva quaranta anni, potesse iniziare la sua opera di liberazione d’Israele. Sembra da Atti 7:25 che egli pensasse che i suoi fratelli avrebbero compreso che egli stava segnalando l’inizio della rivolta che avrebbe condotto Israele alla liberazione. Forse era impaziente e pensava che Dio stesse aspettando troppo a lungo, e che egli avrebbe dovuto prendere la situazione in pugno. E, oltre questo, forse egli aveva una troppo alta opinione delle sue capacità per portare Israele fuori dalla schiavitù.
Ma qualunque cosa sia passata in mente sua, egli fallì nel fare ciò che la Scrittura ci dice di dover fare: “Attendi il Signore” (Salmo 27:14). L’opera di liberazione d’Israele doveva dimostrare che essa è interamente un’opera di Dio. Quanto cruciale essa fu per Mosè e per noi oggi! La liberazione di Israele dall’Egitto era un tipo, una figura della liberazione di tutti i figli di Dio dalla schiavitù del peccato. Per comprendere ciò, tutto quello che dobbiamo fare è leggere l’introduzione alla legge, legge che è ancora valida oggi, e nella quale l’Altissimo ricorda al Suo popolo: “Io sono il Signore Iddio tuo, che ti ho tratto fuor del paese di Egitto, della casa di servitù” (Esodo 20:2).
Solo Dio può fare questo. Egli potrebbe compiacersi di usare un uomo, come fece con Mosè. Ma Lui non ha bisogno di alcun aiuto umano in questa grande opera. Egli può compierla tutta da solo se lo desidera. Che può fare Mosè? Egli aveva bisogno di liberazione così come tutto Israele. Se Geova si fosse compiaciuto di dare a Mosè un ruolo minore in questa grande parte della storia, anche questo ruolo che Mosè avrebbe ricoperto sarebbe stato interamente mantenuto attraverso la potenza della fede.
In Ebrei 11:27 leggiamo: “Per fede lasciò l’Egitto senza temere l’ira del re, perché rimase fermo come se vedesse colui che è invisibile.” Sebbene il re tentò di condannarlo per l’uccisione dell’egiziano, questo non spaventò Mosè né lo fece fuggire. Capiamo ora che non era ancora il tempo di Dio per liberare Israele e Mosè non era spiritualmente pronto per un tale compito. Così Dio lo mandò lontano in Madian così che per quaranta anni egli potesse essere modellato e preparato per compiere la sua chiamata quando Geova stesso avrebbe eseguito la sua grande opera. Infine, Dio dovette anche adirasi con lui per spingerlo ad andare in Egitto (Esodo 4:14). Quando Mosè si ritirò dalla pesante responsabilità del ruolo di Dio per lui, fu allora che Mosè era pronto a giocare una parte nell’opera del Signore. Che potente lezione per noi! Prof. Hanko
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1 Lutero M., Il Servo Arbitrio, Claudiana, Torino 1993, p. 79. La lettura di questo capolavoro della Cristianità è altamente consigliata (N.d.T.).
2 Ivi., p.81.
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