Menu Close

La Teoria dei Giorni-Periodo

Ron Hanko

La teoria dei giorni-periodo, a volte chiamata la teoria dei periodi, che afferma che i giorni di Genesi 1 erano in realtà lunghi periodi di tempo, lunghe ere, è soltanto un tentativo di riconciliare l’evoluzionismo con la Scrittura. Trattiamo qui di essa perché vogliamo mostrare che questi tentativi possono essere dimostrati vani. Desideriamo anche mostrare che è attraverso un accurato studio della Scrittura che tali idee sono confutate. La Scrittura, interpretando se stessa, è la nostra sicura e certa guida.

Se qualcuno studia l’uso della parola giorno nella Scrittura, scoprirà presto due cose. La prima è che la parola giorno nella Bibbia può certamente far riferimento ad un periodo di tempo molto più lungo (II Pietro 3:8-10).1 Non vi può essere dubbio a questo riguardo.

Tuttavia, procedendo nel nostro studio, scopriremo che la parola giorno non si riferisce mai ad un lungo periodo di tempo quando è usata in connessione ai numerali ordinari (primo, secondo, terzo, e così via). Con i numerali ordinari, la parola giorno, nella Scrittura, fa sempre riferimento ad un giorno ordinario di 24 ore. Siccome la parola giorno in Genesi 1 è usata con numerali ordinari, deve far riferimento a giorni ordinari. Così la Scrittura interpreta se stessa.

Dio Stesso stabilisce il fatto che questi erano giorni ordinari, primo, in Genesi 1 quando parla di mattina e sera, e poi in Esodo 20:11, dove i giorni della creazione sono resi il modello perpetuo per il modo in cui noi dobbiamo usare i giorni della settimana. I giorni di Genesi 1, Dio dice, erano giorni proprio come quelli in cui noi svolgiamo il nostro lavoro. Studiando ancora meglio ci accorgeremo che “sera e mattina,” usati insieme, significano sempre e solo una cosa nella Scrittura: un giorno come quelli delle nostre vite quotidiane. Di nuovo, la Scrittura interpreta se stessa.

In questo vi è un avvertimento per ogni studente della Bibbia, e cioè che dobbiamo approcciare la Scrittura ed udire ciò che la Scrittura dice senza portare le nostre proprie interpretazioni ad essa e forzarle su di essa. Il nostro dovere non è dare le nostre interpretazioni personali della Scrittura, ma di studiare le Scritture e compararle accuratamente perché esse possano interpretare se stesse. E poi, fatto questo, dobbiamo sottometterci al loro insegnamento.2

L’evoluzionismo teistico è un rifiuto di udire ciò che dicono le Scritture, non soltanto in Genesi 1-3, ma in tutti gli altri passaggi che interpretano e fanno luce su questi tre capitoli. L’evoluzionismo teistico è un rifiuto di udire ciò che lo Spirito dice, sia come autore di Genesi 1-3 che come sovrano interprete di questi capitoli e di tutta la Scrittura.

Il punto della questione non è soltanto sostenere il creazionismo contro l’evoluzionismo, ma è l’ispirazione, l’autorità, e la sufficienza della Scrittura [come interprete di se stessa]. Questa è la ragione per cui qualsiasi tentativo di combinare l’evoluzionismo e la Scrittura risulta in una perdita della verità scritturale perché si è permesso ai cosiddetti “fatti scientifici” e alle teorie dell’evoluzionismo incredulo di interpretare ciò che essa vuol dire.

Come qualcuno ha detto: “Se dovessi scegliere tra Dio che dice che Giona ingoiò una balena, o uno scienziato che dice che è impossibile per un pesce ingoiare un uomo, sceglierei la prima.” Dio è veritiero ed ogni uomo un bugiardo. Ciò che Lui dice a riguardo della creazione non può essere errato.

(“The Day-Age Theory of Creation,” un capitolo tradotto da: Doctrine According to Godliness [Grandville, Michigan, USA: Reformed Free Publishing Association, 2004], pp. 89-90)

Per altre risorse in italiano, clicca qui.


1N.d.T. A riguardo di II Pietro 3:8-10 come esprimente che “giorno” può significare più che un giorno ordinario, ho i miei dubbi. Infatti il testo non dice che per il Signore un giorno sono mille anni e mille anni sono un giorno, ma che per Lui un giorno è come mille anni e mille anni sono come un giorno. Il concetto cioè non è quello di uguagliare la durata temporale di un giorno con quella di mille anni e viceversa, e quindi dire che il Signore usa nella Scrittura la parola “giorno” per far riferimento a mille anni o mille anni come far riferimento ad un giorno, ma che per il Signore il tempo non esiste, per Lui un giorno è lo stesso che mille anni, e mille anni sono lo stesso che un giorno, perché per Lui il tempo non esiste, non fa differenza se passa un giorno o se passano mille anni. Lui percepisce il tempo in un modo diverso da noi, Lui percepisce un giorno come mille anni o mille miliardi di anni, e mille anni come se fossero un giorno, o un secondo, non fa differenza! Il senso del passaggio, quindi, considerato nel contesto, credo sia che per Dio non è trascorso “molto” o “troppo” tempo dalla prima venuta di Cristo fino alla Sua seconda venuta, e che quindi non sta “ritardando” di adempiere la Sua promessa riguardante il Suo ritorno. Il Suo piano è stabile, perfetto, e Lui non ritorna fin quando l’ultimo dei Suoi eletti sarà salvato (v. 9). In questo lasso di tempo per Lui non vi è ritardo, non vi è prolungamento di tempo, perché per Lui che passino mille anni, o un solo giorno tra questi due eventi (la prima venuta e la seconda venuta di Cristo) non fa differenza. Il testo quindi non credo possa essere usato per supportare l’idea che la parola “giorno” nella Scrittura possa far riferimento a qualcosa di più lungo di 24 ore. L’idea qui non è esprimere cosa la Scrittura ci dia modo di dire a riguardo della durata precisa della parola “giorno” per come essa la usa (che, stando al testo, tra l’altro si potrebbe far riferire solo e a non più di mille anni e non ai miliardi di anni degli evoluzionisti) ma che per Dio un giorno o mille anni sono la stessa cosa, per Lui il tempo non esiste.
2N.d.T. Questa osservazione credo sia molto importante per i tempi in cui viviamo, in quanto è proprio dal fallire di adottare il giusto metodo ermeneutico che moltissimi errori dottrinali si sono fatti strada nella chiesa. Errori come quello del dispensazionalismo, dell’arminianesimo, dell’amiraldismo, della teologia della “grazia comune” e della “libera offerta,” del battismo, del femminismo, ed altri, sono proprio frutto di un metodo ermeneutico razionalistico, ovvero un metodo indipendente dalle linee che la Scrittura stessa ci delinea quando dobbiamo interpretarla e che invece importa nella Scrittura, in modo più o meno cosciente, le proprie idee e filosofie personali (per questo è appropriatamente da me chiamato “razionalistico” ovvero che usa i pensieri della ragione umana influenzata dal peccato, in modo più o meno cosciente, per determinare il significato di un passaggio della Scrittura e trarne poi una dottrina), compreso la filosofia che afferma che le proposizioni della Scrittura non siano logicamente correlate. Il principio che la Scrittura interpreta la Scrittura, che le parti più chiare interpretano quelle più equivoche secondo il significato grammaticale e il contesto, che la Scrittura sia un tutto armonico e logicamente coerente, sono chiavi interpretative che, a differenza della Confessione di Westminster (I, 5-6: in cui si parla (a) del “consenso di tutte le parti,” ovvero la coerenza logica delle Scritture, e (b) del fatto che le dottrine dedotte in modo logicamente valido da affermazioni esplicite delle Scritture hanno lo stesso carattere di “consiglio di Dio” di quest’ultime; 9-10: in cui si parla del principio che la Scrittura interpreta la Scrittura e che le affermazioni più chiare interpretano quelle più equivoche), molti oggi non usano, e che anzi considerano, impropriamente, principi “razionalistici,” e quindi finiscono per interpretarla in modo molto errato. A riguardo, vedi gli articoli nella sezione “Dottrina” della sezione italiana CPRC, che trattano di questi e altri principi correlati al riguardo dell’importanza della dottrina, della logica e la Scrittura, del metodo ermeneutico appropriato nello stabilire il corretto significato di un passaggio, ed altro.
Show Buttons
Hide Buttons