Ron Hanko
Non vi è dubbio che la morte sia un nemico—l’ultimo nemico (I Corinzi 15:26). Noi temiamo la morte, non semplicemente perchè è qualcosa di sconosciuto. Nessuno è mai ritornato per dirci com’è morire, ma la nostra paura della morte viene specialmente dalla conoscenza del fatto che la morte è il salario del peccato (Romani 6:23), il giudizio di Dio su coloro che si sono ribellati contro di Lui.
Non meraviglia il fatto che si tenta in ogni modo di coprire l’orrore e la corruzione della morte. Nè è di alcuna meraviglia il fatto che sulla faccia della terra la maggioranza delle persone prova ad affogare le sue tristezze nel divertimento e nel bere. Pefino quando loro stessi muoiono, non vogliono pensare o parlare della morte, e in molti casi essi semplicemente negano che stanno morendo quando è chiaro che non vi è rimedio o aiuto.
Quando gli empi vedono la morte nella creazione, essi parlano di “sopravvivenza del piu’ adatto,”1 e di “natura rossa in denti e artigli”2 per coprire il fatto che la morte non è naturale e che l’ira di Dio è evidente in essa. La morte è ovunque ed è sempre la fine di tutte le speranze, il nemico che viene troppo presto. Nella morte, a motivo del giudizio di Dio, ogni fatica e speranza viene lasciata inadempiuta e insoddisfatta.
E’ soltanto per fede che un credente è in grado di affrontare la morte, e perfino allora non è facile. Nell’affrontare la morte la fede deve combattere e vincere, anche se ha sempre la vittoria. Nella coscienza dei suoi propri peccati, il figlio di Dio deve ancora cercare per fede di confidare nel sacrificio e vittoria di Cristo sulla morte e di credere con tutto il suo cuore che la morte è ingoiata nella vittoria.
La morte è conquistata per il credente. La morte non potè trattenere Cristo (Atti 2:24), perchè il dardo (la potenza distruttiva) della morte è il peccato (I Corinzi 15:56), e Cristo non aveva peccati personali. I peccati che Egli prese su Se Stesso come Mediatore, Egli li pagò fino all’ultimo centesimo. Volontariamente pose Se Stesso in potere della morte e permise ad essa di fargli il peggio, ma essa non potè conquistarlo, perchè Egli era il Figlio di Dio, il Santo. La Sua morte, come John Owen espresse in maniera così bella, fu “la morte della morte”3 per tuti coloro che il Padre Gli aveva dato.
Ciò fa sorgere una domanda: “Perchè i credenti devono morire se la morte è ingoiata nella vittoria?” O, come lo esprime il Catechismo di Heidelberg: “Dal momento allora che Cristo morì per noi, perchè anche noi dobbiamo morire?” La risposta del Catechismo è la risposta della Scrittura: “La nostra morte non è una soddisfazione per il nostro peccato, ma soltanto un abolizione del peccato, ed un passaggio nella vita eterna”4 (vedasi anche Giovanni 5:24; Filippesi 1:23).
Che meraviglia! Quella porta oscura che si è sempre e solo aperta nell’inferno e nella dannazione ora si apre per i credenti nella gloriosa vita eterna. Forse, quindi, non è sbagliato dire che dobbiamo morire per mostrare quanto completamente Cristo ha conquistato la morte per noi. La morte è una fine a ogni peccato, senza dubbio, ed una porta alla gloria, ma anche una testimonianza al fatto che la morte è stata davvero ingoiata.
E così i credenti dicono: “Sia che viviamo quindi, o che muoriamo, siamo del Signore” (Romani 14:8). Sarà questa la tua confessione quando la morte sarà giunta?
(“Death,” un capitolo tradotto da: Doctrine According to Godliness [Grandville, Michigan, USA: Reformed Free Publishing Association, 2004], pp. 309-311)
Per altre risorse in italiano, clicca qui.