(Da: The Standard Bearer, Volume 80, n. 19)
Prof. David J. Engelsma
La fede è certezza.
La fede è certezza di essere salvati personalmente.
La fede è certezza che colui che, dal cuore, crede il Vangelo è salvato ora, è stato salvato dall’eternità nel decreto di elezione, e sarà preservato fino alla salvezza eterna.
La fede è assoluta certezza di essere salvati personalmente, il solo tipo di certezza che è certa. Una certezza che non è assoluta è, di fatto, incertezza, cioè, dubbio. Tale “certezza” non serve a nulla.
La certezza appartiene all’essenza, o alla natura stessa, della fede. La certezza è ciò che la fede è.
Che la certezza appartiene alla natura della fede è la verità fondamentale riguardante la certezza. Dove ciò è predicato, quale un aspetto importante del vangelo, la congregazione sarà benedetta con la certezza, giovani e vecchi, deboli e forti.
Dove i predicatori negano che la fede è certezza, le congregazioni saranno piene di dubitatori, dubitatori che professano di credere il Vangelo. Molti che professano di credere il vangelo vivranno e morranno nel terrore che potrebbero essere perduti e dannati. Questa è al tempo stesso una terribile condizione e un insulto al vangelo.
Inoltre, l’adorazione, la predicazione, la dottrina, e la vita Cristiana dei membri sarà adattata al dubbio che prevale nella congregazione. L’adorazione diverrà una ricerca meramente formale di Dio, perché i dubitatori non possono né pregare, né cantare, né leggere la Scrittura correttamente, né udire la predicazione in modo appropriato, né usare i sacramenti, e nemmeno, se proprio andiamo a vedere, donare in un modo che glorifichi Dio. La predicazione nella chiesa di Cristo diverrà un’offerta di Cristo ai dubitatori, che sono considerati, in un certo senso correttamente, come inconvertiti. Oppure diverrà un buttare giù ancora di più i miserevoli dubitatori. La dottrina della chiesa metterà in primo piano il peccatore che dubita e la sua esperienza, piuttosto che Dio e la Sua gloriosa salvezza. La vita dei molti membri della congregazione che dubitano sarà un’ansiosa introspezione alla ricerca di qualche segno della loro salvezza, ed uno strenuo esercizio di buone opere per provare a se stessi che sono salvati.
Non si sbagli: che la fede è certezza è una verità fondamentale. Essa è fondamentale non soltanto per la certezza della salvezza di tutto il popolo di Dio, ma anche per il vangelo, la chiesa, e la vita Cristiana. Ciò è nella natura del caso. La verità che la certezza appartiene alla natura della fede è la verità riguardante la fede. E la fede è un vincolo di unione con Cristo, il mezzo di salvezza, e la fonte dell’intera vita, attività, ed esperienza Cristiana.
Errare sulla fede è rovinare ogni cosa.
Il punto non è se un credente possa dubitare o meno. Il punto non è se un credente anomalo possa dubitare o meno per un lungo tempo. Il punto non è nemmeno se tutti i credenti lottino o meno col dubbio occasionalmente.
Ma il punto è se la fede sia certezza e, insieme a questo, se la certezza è normale in ogni credente dal momento in cui crede per la prima volta e se il Padre celeste vuole la certezza di tutti i Suoi figli.
Nei precedenti editoriali ho dimostrato che la Scrittura insegna che la fede è certezza e che la Riforma ha confessato che la fede è certezza.
Un Confidare di Cuore
Sulla base della Scrittura e quale espressione della verità del Vangelo ricuperato dalla Riforma, le “Tre Formule di Unità”, che sono le nostre confessioni Riformate, insegnano che la fede è certezza. Il passaggio più rimarchevole è la Domanda e Risposta 21 del Catechismo di Heidelberg:
Cos’è la vera fede? Essa è non soltanto una sicura conoscenza, per la quale io ritengo tutto verità ciò che Dio ci ha rivelato nella Sua Parola, ma anche un confidare di cuore che lo Spirito Santo per mezzo dell’Evangelo opera in me, e che non solo ad altri ma anche a me sono donati da Dio remissione dei peccati, eterna giustizia e salvezza, per pura grazia, solo a motivo dei meriti di Cristo.
Secondo il Catechismo, la fede è un “confidare di cuore.”
La fede è un confidare di cuore da parte di ogni credente.
La fede è un confidare di cuore da parte di ogni credente che la remissione del peccato, l’eterna giustizia, e la salvezza gli sono dati liberamente da Dio. Questo è un confidare di cuore che egli è salvato ora, è stato eletto dall’eternità, e sarà salvato eternamente.
La certezza è ciò che la fede è. La fede è conoscenza, e la fede è confidare di essere salvati personalmente. In verità l’enfasi del Catechismo cade proprio sul fatto che la fede è confidare: “non soltanto una sicura conoscenza … ma anche un confidare di cuore.” Il motivo per cui ciò è enfatizzato è che il Catechismo intende mettere in guardia contro l’errore che la fede è meramente oggettiva, e cioè che la fede è meramente conoscere la verità della Bibbia ed i fatti della salvezza. Il Catechismo, con Roma in vista, è intento a ripudiare l’errore che nega che la certezza è dell’essenza della fede. Quale gloriosa voce della Riforma, il Catechismo è il nemico del dubbio. Esso non ne vuole sapere di avere una congregazione ripiena di membri che professano di credere il vangelo, ma che sono paralizzati dal dubbio.
Una Dottrina Vincolante
La Domanda e Risposta 21 del Catechismo di Heidelberg è il pronunciamento definitivo a riguardo della questione se la certezza appartenga all’essenza della fede o appartiene soltanto al benessere della fede.
Per tutti coloro che sottoscrivono le “Tre Formule di Unità” come loro credo, la D&R 21 è vincolante. Nessun predicatore Riformato può negare che la certezza appartiene alla natura della fede. Nessun membro Riformato può mettere in dubbio questo, forse perché è attratto, stoltamente, all’insegnamento Puritano che nega che la certezza sia dell’essenza della fede. Nessuna chiesa Riformata può contemplare alcun insegnamento contrario a questo.
Nessuno di coloro che hanno il Catechismo come loro confessione può spiegare la D&R 21 in modo superficiale col dire che il suo insegnamento è teorico ed ideale (cioè, che la certezza appartiene alla fede soltanto per coloro che sono i pochi favoriti di Dio, e questo soltanto dopo molti anni di dubbio). La D&R 21 descrive la vera, vivente, respirante, conoscente, confidante fede di ognuno a cui Dio dona la fede.
Nè alcuno può astutamente evadere l’ovvia forza del chiaro insegnamento di D&R 21 ammettendo in modo riluttante che la certezza appartiene alla fede “in una certa misura.” Ciò che si intende con questo “in una certa misura,” ovviamente, è che la fede è, forse, 10% certezza, ma 90% mancanza di certezza, e cioè, dubbio. Dal momento che la fede è meno che certezza al 100%, la fede è quindi dubbio. Dunque, il “in una certa misura” contraddice D&R 21 del Catechismo, che afferma che la fede è “un confidare di cuore” di essere salvati personalmente.
La fede non è mancanza di certezza, e cioè, dubbio. Non è 90% mancanza di certezza, e cioè, dubbio. Non è per un centesimo mancanza di certezza, e cioè, dubbio. La fede è certezza. E’ assoluta certezza. E’ certa quanto lo è la promessa di Dio sulla quale la fede dipende. E’ certa quanto lo Spirito Santo Che opera la certezza.
La certezza della fede è la verità e fedeltà del Dio di grazia rivelato nel Vangelo della croce di Gesù Cristo. Quindi, dei grandi peccatori, che hanno delle nature vili, che sono del tutto indegni della minima delle benedizioni di Dio, e che credono, sono assolutamente certi della loro giustificazione e salvezza. E, dunque, non è un segno di pietà dubitare della propria salvezza “poiché sono un così grande peccatore.” Al contrario, tale dubbio è empia incredulità e un peccaminoso svalutare l’infinita dignità e valore della morte del Figlio di Dio.
Ogni altra descrizione della fede nelle “Tre Formule di Unità” concorda con D&R 21 nell’affermare che la fede è certezza. Vi sono innumerevoli altre descrizioni della fede, implicite come anche esplicite. Tra le esplicite descrizioni della fede come certezza è la ben nota Domanda e Risposta 1 del Catechismo, spiegata in precedenza in questa serie sulla certezza, l’Articolo 20 della Confessione Belga, che fa dichiarare ad ogni credente con fiducia che Dio ha posto le “nostre” iniquità su Cristo, ha riversato la Sua misericordia e bontà su di “noi,” ha dato il Suo Figlio a morire per “noi,” e ha risuscitato Cristo per la “nostra” giustificazione, in modo che “noi” potessimo ottenere immortalità e vita eterna, e Canoni V:11, che confessa “la piena sicurezza della fede” con riferimento alla perseveranza. I Canoni riconoscono che il credente non “sempre sente” questa piena certezza. Ma la “piena sicurezza” appartiene alla fede.
La Certezza negli Standard di Westminster
E’ difficile, in un trattamento della dottrina della certezza nelle “Tre Formule di Unità” evitare di notare certe affermazioni sulla certezza negli Standard di Westminster. A queste affermazioni si fa comunemente riferimento per opporre l’insegnamento che la fede è certezza. Vi sono, in modo particolare, tre affermazioni oggetto di controversia nei credi Presbiteriani, che sono: Confessione di Westminster [CFW] 14:3, 18:3 e Catechismo Maggiore di Westminster [CMW] D&R 81.
CFW 14:3 afferma che la fede “[cresce] in molti fino al conseguimento della piena sicurezza, mediante Cristo.” L’articolo suggerisce che la certezza è piuttosto il frutto della fede invece che l’essenza della fede; che ci si può aspettare la certezza soltanto dopo che sia passato qualche tempo nella vita del credente, e che, anche allora, alcuni credenti, forse perfino molti credenti, non godranno mai della certezza. Ciò è infausto.
CFW 18:3 è ambiguo: “Questa sicurezza infallibile non è parte dell’essenza della fede in modo tale che un vero credente non possa attendere a lungo, e fronteggiare molte difficoltà, prima che possa esserne partecipe” etc. La formulazione dell’articolo lascia il Presbiteriano a chiedersi: “Appartiene o no la certezza all’essenza della fede?” L’affermazione potrebbe essere compresa come un insegnamento che questa “sicurezza infallibile” (non vi è alcun altro tipo di certezza) appartiene sì all’essenza della fede, ma non in un modo tale che non possa verificarsi che un credente possa attendere a lungo prima di averla.
Si potrebbe dire lo stesso a riguardo della conoscenza della fede. La conoscenza non appartiene all’essenza della fede in modo tale che occasionalmente un credente non possa attendere a lungo per ottenere una pura conoscenza, o perfino cadere temporaneamente via dalla verità nell’eresia. Ciò sarebbe come dire che la vista appartiene all’occhio, ma non in un modo tale che non possa occasionalmente essere oscurata o persa.
Oppure, CFW 18:3 sta proprio negando che la certezza appartiene all’essenza della fede. In questo caso continua ad asserire, quindi, che è cosa comune e perfettamente normale che i veri credenti “attendono a lungo” per ottenere la certezza.
La D&R 81 del CMW sembrerebbe negare esplicitamente che la certezza appartiene all’essenza della fede.
Sono tutti i veri credenti in ogni tempo rassicurati di essere in uno stato di grazia, e che saranno salvati?Poiché la certezza della grazia e della salvezza non è dell’essenza della fede, i veri credenti possono attendere a lungo prima di ottenerla […].
Alcuni commentatori Presbiteriani riconoscono, a riguardo di queste affermazioni, che gli Standard di Westminster insegnano che la certezza appartiene al benessere della fede, piuttosto che all’essere della fede. Essi ammettono, inoltre, che su questo punto la dottrina di Westminster si allontana dall’insegnamento della Riforma. Di solito, essi attribuiscono questo allontanamento dall’insegnamento della Riforma, e lo fanno in modo franco, all’influenza dei Puritani (vedasi A. A. Hodge, Robert Shaw, William Cunningham, e Barry H. Howson).
Curiosamente, allo stesso tempo questi teologi Presbiteriani lottano fortemente per riportare in qualche modo la certezza nell’essenza della fede. Essi fanno strane distinzioni, per esempio, tra la certezza della fede (che si suppone essere dell’essenza della fede dopo tutto, ma di cui non si fa esperienza) e la certezza sentita (la certezza di cui si fa esperienza, che è ciò che la certezza è per definizione!); oppure tra la certezza assoluta e che non vacilla e quella che dubita (che non è affatto certezza!), o tra una certezza oggettiva (della quale si suppone un credente non sia cosciente) ed una di cui si ha coscienza (che è ciò che la certezza è per definizione!). Dunque, questi teologi Presbiteriani indicano un profondo disagio con il loro diniego e quello del loro credo a riguardo del fatto che la fede è certezza, come del resto è comprensibile. La Bibbia è smisuratamente chiara e potente a riguardo del fatto che la fede è fiducia, non dubbio.
Se gli Standard di Westminster di fatto negano che la certezza appartiene alla natura stessa della vera fede, in questo punto importante essi contraddicono D&R 21 del Catechismo di Heidelberg, si dipartono radicalmente dall’intera Riforma, e sono in conflitto con la Scrittura.
Ma per coloro che sottoscrivono le “Tre Formule di Unità” come loro credo non sono gli Standard di Westminster ad essere vincolanti. Lo è invece D&R 21 del Catechismo di Heidelberg.
Certezza Spontanea
La fede è certezza.
Benedetta certezza! Senza di essa la vita è intollerabile.
Siccome la certezza appartiene alla fede che è data da Dio ed operata dallo Spirito Santo, che benedetta cosa che è la fede! Grazie a Dio per la fede. Grazie a Dio per la fede che conosce e confida in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, ed in questa attività stessa assicura il credente: “Questo Cristo è mio, ed io sono Suo.”
Le implicazioni pratiche della verità che la fede è certezza sono preziose. Dio vuole che tutti i Suoi figli credenti godano della certezza. La certezza è normale per tutti i credenti. Coloro che sono uniti a Cristo mediante una vera fede hanno la certezza, di regola, dal primo momento stesso del loro cosciente esercizio della fede. I figli di patto hanno la certezza, come anche i loro nonni di patto dai capelli bianchi.
Il credente ha certezza quale dono dello Spirito di Cristo, principalmente nell’attività stessa del suo conoscere e confidare in Cristo per come è presentato nel Vangelo. Guardando via da sé al Cristo crocifisso per come esposto nel vangelo, il peccatore penitente ha perdono e certezza di essere salvato. Egli ha certezza spontaneamente.
Vi è spazio nella certezza della fede per ciò che è noto come “il sillogismo pratico.” Il “sillogismo pratico” si riferisce ad una certa conferma della certezza in base al fatto che il credente nota delle evidenze della sua salvezza nella sua vita, per esempio, che si addolora per il peccato, che ama Dio, e che compie buone opere. Un sillogismo è un argomento. Il “sillogismo pratico” è un argomento che riguarda la certezza della salvezza. Esso afferma: 1) Tutti coloro che compiono buone opere sono salvati; 2) Io compio buone opere; 3) Quindi, devo essere salvato.
I Puritani hanno posto fin troppa enfasi sul “sillogismo pratico” con riguardo alla certezza, per non dire nulla del “sillogismo mistico,” che argomentava che la certezza si basa su misteriose esperienze spirituali. E più essi argomentavano con se stessi, e meno certi erano.
Il credente, ordinariamente, e di certo non principalmente, non mette se stesso in discussione per quanto riguarda la sua certezza. “Fammi vedere, sono salvato? Tutti coloro che sono addolorati per i loro peccati sono salvati, io sono addolorato per i miei peccati, quindi posso concludere che sono salvato.”
Non è così la vita. Non è così la vita terrestre. Non mi metto in discussione per vedere se sono in vita fisicamente. Nel corso del mio pensiero, dei miei movimenti, e del mio operare, sono spontaneamente e naturalmente certo che sono vivo. Né un bambino di solito si mette in discussione per vedere se è convinto di essere figlio dei suoi genitori e che essi sono i suoi genitori. Nel corso normale della buona vita di famiglia, egli è spontaneamente certo del suo posto all’interno della famiglia.
Così è anche nel reame spirituale. Mediante l’operazione dello Spirito attraverso il Vangelo della grazia, nel suo conoscere, confidare e ricevere Gesù Cristo, il credente è certo della sua salvezza. La sua santa vita (che è imperfetta, e in verità contaminata dal peccato) e la sua esperienza di tristezza per il suo peccato e di amore per Dio (che è spesso molto debole) sono una conferma secondaria [N.d.T. enfasi mia] della testimonianza dello Spirito mediante la promessa del vangelo.
La promessa del Vangelo è: “Credi e sarai salvato.”
Un aspetto essenziale della salvezza promessa, che è per sola fede, è la certezza di essere salvati.
“Credi, e saprai, sarai certo di essere salvato.”