(Da: The Standard Bearer, Volume 80, n. 15)
Prof. David J. Engelsma
La vera fede è certezza di essere salvati personalmente.
La certezza non è il frutto della fede solo per poche persone anziane dopo molti anni di dubbio. La certezza non è il “benessere” della fede (per i pochi credenti che sono “i migliori e più cari amici di Dio”) in distinzione dall’”essere” della fede.
La certezza è ciò che la fede è in essenza. La certezza personale della propria salvezza per la grazia di Dio in Gesù Cristo crocifisso e risorto è l’essenza o natura stessa della fede. La fede conosce e confida in Gesù Cristo quale il Salvatore di colui che crede. Una fede debole è certa della salvezza come una fede forte. La fede è certa della salvezza al principio stesso della vita di credente, per esempio in un bambino di patto, come anche la fede alla fine stessa della via, per esempio in un santo anziano in punto di morte.
La fede è certezza.
Negare che la fede è certezza fu la causa fondamentale del profondo, diffuso e continuo dubitare della salvezza che caratterizzava le congregazioni dei Puritani. E’ la causa fondamentale del medesimo dubbio in congregazioni Riformate e Presbiteriane al giorno d’oggi che languiscono sotto una predicazione tipicamente Puritana. Vi sono altre cause per il dubbio: insana enfasi sull’introspezione, dipendenza da esperienze spirituali, la mortale nozione della “grazia preparatoria,” e la condizionalità del patto e la sua salvezza.
Ma l’errore fondamentale è il diniego che la fede è certezza. Questo errore riempie le chiese di dubitatori, dubitatori senza conforto, terrificati.
Il precedente editoriale sulla certezza ha mostrato che la Scrittura insegna la fede come certezza.
Nel ricuperare il Vangelo della Scrittura, la Riforma della chiesa del sedicesimo secolo insegnò che la fede è certezza della salvezza. Con un solo accordo, tutti i Riformatori insegnarono che la certezza è della natura stessa della fede.
“Non Vacilla, Oscilla, Trema, o Dubita”
Nelle sue “Tesi concernenti la Fede e la Legge,” del 1535, Martin Lutero distinse la vera fede dalla falsa fede in questo modo: “La vera fede dice: ‘io certamente credo che il Figlio di Dio soffrì e risorse, ma Egli fece tutto questo per me, per i miei peccati, di questo io sono certo’.” Lutero continuò: “La vera fede con braccia stese abbraccia gioiosamente il Figlio di Dio dato per essa e dice: ‘Egli è il mio amato ed io sono Suo’.” Secondo Lutero, è esattamente quel “per me” o “per noi” che “distingue la vera fede da ogni altra fede, che meramente ode le cose fatte.”
Lutero definì la fede come “il fermo e sicuro pensiero o fiducia che attraverso Cristo Dio è propizio e che attraverso Cristo i Suoi pensieri riguardanti noi sono pensieri di pace, non di afflizione o ira” (Commentario a Genesi 15:6).
Nella tarda parte della sua vita, nel 1543, Lutero esultò nella certezza essenziale alla fede:
La fede è, e, di fatto, deve essere una fermezza del cuore, che non vacilla, oscilla, trema, esita o dubita, ma resta ferma ed è sicura del suo caso … quando questa Parola entra nel cuore mediante la vera fede, rende il cuore fermo, sicuro e certo come è lei stessa, così che il cuore è smosso, testardo, e duro davanti ad ogni tentazione, il diavolo, la morte, e qualsiasi altra cosa, disprezzando e schernendo orgogliosamente qualsiasi cosa che parla di dubbio, paura, male, ed ira. Perché essa conosce che la Parola di Dio non può mentire. Una tale persona è … resa certa, come la Parola del Signore è certa. Così Paolo dice: “Io so … e sono persuaso (II Timoteo 1:12)” (Commentario a II Samuele 23:1).
Richard Marius ha ragione, nel suo recente e fine studio di Lutero “Martin Lutero: Il Cristiano tra Dio e la Morte,” nell’affermare che per Lutero la fede era certezza.
La fede è la sola via per andare a Dio, e, come Lutero la presenta, la fede sembra sempre avere un contenuto caloroso, esistenziale. Essa include un vincolo personale, emozionale con Cristo. La vera fede non è meramente credere che le storie raccontate nei Vangeli sono vere, tale fede “non è di aiuto, perché tutti i peccatori e perfino i dannati credono questo.” La vera fede, quella fede piena di grazia, è conoscere “che Cristo nacque per te, che la Sua nascita fu per te, che fu tutto per il tuo bene.”
Anche se Lutero combattè tutta la sua vita da credente con tentazioni infernali di dubitare la bontà e grazia di Dio, egli affermò sempre che la fede è certezza. Tutta la sua vita, nonostante i suoi combattimenti contro il dubbio, la sua propria fede era certezza. Mediante questa fiduciosa fede, egli fece battaglia e vinse costantemente la sua tentazione di dubitare, e visse nella certezza della sua propria salvezza.
Martin Bucero definì la fede come “un’indubbia persuasione della misericordia e bontà paterna di Dio nei nostri confronti, creata dallo Spirito Santo e fondata sulla propiziazione di Cristo” (Commentario a Romani).
La “Più Minuta Particella di Fede”
L’intero, lungo trattamento di Giovanni Calvino della fede nelle Istituzioni, capitolo due libro 3, è un sostenuto argomento a favore del fatto che la certezza è dell’essenza stessa, o natura, della fede. “Noi ora avremo una piena definizione della fede se diciamo che essa è una ferma e certa conoscenza del favore divino nei nostri confronti, fondata sulla verità di una libera promessa in Cristo, e rivelata alle nostre menti, e sigillata sui nostri cuori, dallo Spirito Santo.”
Contrastando i veri credenti con coloro che “sono molestati da una miserevole ansietà mentre dubitano se Dio sarà loro misericordioso,” Calvino dichiara che “la nostra fede non è vera a meno che ci metta in grado di comparire con quiete alla presenza di Dio. Tale audacia scaturisce soltanto dalla fiducia nel favore e nella salvezza di Dio. Tanto vero è questo, che il termine fede è spesso usato in modo equivalente a fiducia.”
Calvino espressamente ripudia la più tarda nozione Puritana che la fede deve diventare certezza lungo un grande periodo di tempo, così che i credenti giovani, o novelli, non possono aspettarsi di godere della certezza: “Appena la più minuta particella di fede è instillata nelle nostre menti, noi iniziamo a contemplare il volto di Dio placido, sereno, e propizio.” La ragione per cui perfino il credente con la più piccola e meno sviluppata fede, ovvero la “più minuta particella di fede,” ha la certezza della salvezza è che la “chiara conoscenza del favore divino … ha la prima e principale parte nella fede.”
Anche se Calvino è ben cosciente che “I credenti hanno una battaglia perpetua con la loro propria sfiducia,” egli insiste che “un vero credente è soltanto colui che, fermamente persuaso che Dio è riconciliato ed è un Padre tenero verso di lui, spera ogni cosa dalla Sua tenerezza, e che, confidando nelle promesse del favore divino, con un’indubbia fiducia anticipa la salvezza.”
Calvino demolisce la nozione Puritana che si può essere un credente, anzi, un credente per anni, ma non avere la certezza della salvezza, e che, di fatto, ciò accade con la maggior parte dei credenti. “Nessuno, io dico, è un credente se non colui che, confidando nella sicurezza della sua salvezza, con fiducia trionfa sul diavolo e la morte.” A supporto di questa contenzione, Calvino fa appello alle gloriose parole della certezza che lo Spirito Santo pone nel cuore e sulle labbra di ognuno che crede il vangelo della grazia in Romani 8:38-39: “Io sono persuaso che [niente] sarà in grado di separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore.”
La mancanza di certezza è incredulità. Chi vive persistentemente nel dubbio, forse sotto la malsana predicazione che lo assicura che il dubbio è normale per la maggior parte dei credenti, è un non credente.
Che la fede sia certezza per Calvino è una questione della massima importanza. Egli non insegna semplicemente questo, ma lo enfatizza ad ogni occasione. Nei suoi Sermoni su Melchisedec ed Abraamo, predicando alla sua congregazione su Genesi 15:6, Calvino chiede: “Cosa allora è la fede?” La sua risposta è: “E’ ricevere tutto ciò che ci è detto dalla bocca di Dio con tale riverenza che la riteniamo per certa e sicura.” Ma questo “non è abbastanza.” Ciò non è abbastanza per costituire la “fede.” La fede tiene la Parola di Dio come “una tal certa e sicura parola a noi che ci fa approcciare a Dio, e ci rende partecipi della Sua bontà e benignità, e non ci fa dubitare che Egli sarà nostro Padre e Salvatore, e così in base a ciò possiamo essere liberi di invocarlo, e considerarci Suoi figli, ed andare a Lui per essere soccorsi ed aiutati.”
Teodoro Beza, successore di Calvino a Ginevra, insegnò similmente che la certezza è della natura stessa della fede. Nel suo manuale di Teologia Riformata, La Fede Cristiana, sotto il titolo: “Di Come la Fede sia Necessaria, e Cosa è la Fede,” Beza diede questa descrizione della fede:
Ora, la fede di cui parliamo non consiste solo in credere che Dio sia Dio, e che tutto il contenuto della Sua Parola sia vero—perché anche i diavoli hanno questa fede, e questo ci fa solo tremare (Giacomo 2:19)—Ma noi chiamiamo ‘fede’ un certa conoscenza che, per la Sua sola grazia e benevolenza, lo Spirito Santo incide sempre di più nel cuore degli eletti di Dio (I Corinzi 2:6-8). Per questa conoscenza, ognuno di loro, essendo rassicurato della sua elezione nel suo cuore, fa propria e applica a sé la promessa della sua salvezza in Gesù Cristo … Chiunque creda veramente confida in Lui solo ed è rassicurato della sua salvezza al punto di non dubitarne più (Efesini 3:12).
Una Zoppa Difesa dell’Apostasia
Dall’insegnamento della Riforma che la fede è certezza, la dottrina Puritana della certezza è una radicale allontanamento. Gli avvocati della dottrina Puritana hanno notato questo, ovviamente, ed hanno offerto ciò che deve di certo passare come una delle più zoppe difese dell’apostasia dall’ortodossia Riformata in tutta la storia della dottrina. Il teologo Presbiteriano William Cunningham ha riconosciuto che i Riformatori hanno parlato “molto fortemente dell’importanza e necessità da parte degli uomini di essere assicurati personalmente della loro propria salvezza.” Ma i Riformatori si sbagliavano nella loro dottrina della certezza. Le loro vedute sulla certezza erano “estreme ed esagerate.” I più tardi Puritani e Presbiteriani avevano ragione nel negare che la certezza è dell’essenza della fede e nel negare la certezza alla maggior parte dei credenti. Secondo Cunningham, la ragione per le “alte vedute” riguardanti la certezza da parte dei Riformatori è che essi stessi ricevettero una speciale dispensazione di grazia. “Dio sembra aver dato loro la grazia della certezza più pienamente e più generalmente di quanto Egli faccia con i credenti in circostanze ordinarie.”
A prescindere ora dalla sua spiegazione della dottrina dei Riformatori sulla certezza, Cunningham ha ammesso delle cose significative. Egli ha ammesso che il più tardo diniego Puritano che la certezza appartiene all’essenza della fede è in conflitto con l’insegnamento della Riforma. Egli ha anche ammesso che questa deviazione dalla Riforma tende verso il Cattolicesimo Romano. “E’ senza dubbio vero che nella misura in cui vi è stata una deviazione dalle vedute [sulla certezza] generalmente sostenute dai Riformatori, si è proceduto in una direzione che tende a diminuire le differenze tra Protestanti e papisti” (vedasi William Cunningham, “The Reformers and the Doctrine of Assurance,” in The Reformers and the Theology of the Reformation).
Nel linguaggio dell’avvertimento dei Canoni di Dordt, mediante la dottrina Puritana della certezza, in particolare il diniego che la certezza appartenga all’essenza della fede, “è reintrodotto nella Chiesa il dubbio dei papisti” (Canoni, V, Reiezione degli Errori, 5).
La spiegazione di Cunningham della dottrina della certezza dei Riformatori è errata. La dottrina della certezza dei Riformatori non aveva niente a che fare con la loro propria presunta esperienza speciale e certo niente a che fare con una speciale dispensazione di grazia nel sedicesimo secolo. Si potrebbe ben spiegare allo stesso modo la loro dottrina della giustificazione argomentando che i Riformatori erano giustificati in un modo speciale in un momento speciale nella storia della salvezza, se Cunningham avesse ragione.
I Riformatori insegnarono che la fede è certezza per tutti i credenti, in ogni tempo, perchè questo è ciò che la Bibbia insegna sulla fede.
I Riformatori insegnarono che la fede è certezza per tutti i credenti perchè i Riformatori videro che la fede riguardo all’opera della grazia sovrana di Dio in Gesù Cristo. Guardando alla grazia, in dipendenza da una sicura promessa, la fede è certa. La certezza è il benedetto frutto del vangelo della grazia.
L’insegnamento Puritano sulla certezza, quindi, è serio errore. E’ una deviazione radicale dall’insegnamento della Riforma. E’ un grave allontanamento dal vangelo della grazia. I Puritani e coloro che li hanno seguiti hanno spostato il centro dell’attenzione della fede via dall’opera di Dio in Gesù Cristo, inclusa l’opera di Dio in Gesù Cristo nel peccatore eletto, all’esperienza del peccatore della salvezza. Il Puritanesimo ha fatto questo deliberatamente. Fu audace nel proclamarsi come una “seconda riforma.” Dunque il Puritanesimo, con non poca arroganza, ha giudicato la Riforma del sedicesimo secolo inadeguata e si è proclamato come realizzazione di ciò che di vitale era stato lasciato indietro dalla “prima” Riforma. Ciò che era vitale consisteva nel concentrarsi sul peccatore e la sua esperienza.
Il risultato fu fatale.
Il dubbio.