Ron Hanko
Molto discusso, e origine di molte differenze tra Cristiani, come anche di grande interesse per il popolo di Dio, è l’argomento della tribolazione della fine dei tempi. La grande tribolazione menzionata in Matteo 24:21 deve ancora venire, o è già trascorsa? Vi sarà tribolazione quando viene la fine? Se sì, i membri della chiesa saranno soggetti a questa tribolazione, o saranno scomparsi dal mondo prima che giunga l’ultima tribolazione?
Tali domande sono vitali, perché esse influenzano la nostra concezione del futuro e della nostra chiamata personale e di quella della chiesa concernente il futuro. Queste questioni si fanno sempre più pesanti mentre si avvicina la fine e noi stessi e i nostri figli dobbiamo fronteggiare la possibilità di essere perseguitati, se davvero la fine sta arrivando.
Noi crediamo che la persecuzione è stata la sorte del popolo di Dio e continuerà ad esserlo fino alla fine dei tempi. Questa è la testimonianza di passaggi come Romani 8:17 e II Timoteo 3:12. Noi non crediamo, quindi, che la sorte del popolo di Dio migliorerà man mano che si avvicina la fine, o che vi sarà un lungo periodo di pace e di prosperità spirituale per loro, nel quale cessi la persecuzione a motivo di Cristo. Né crediamo che la chiesa sarà rapita e sparita quando l’ultima tribolazione sarà giunta.
Noi crediamo, inoltre, che la grande tribolazione menzionata in Matteo 24:21 deve ancora venire—che i tempi non miglioreranno, ma peggioreranno, per il popolo di Dio. Consegnare l’intera prima parte di Matteo 24, incluso il verso 21, al passato, come alcuni fanno, è consegnarla al cestino della spazzatura. Né la nozione che il popolo di Dio sarà scomparso dalla terra, o che la persecuzione cesserà prima della fine, si armonizza con questo verso.
La persecuzione non è qualcosa che dobbiamo semplicemente sopportare. Essa è una parte integrale della nostra salvezza. Matteo 5:10-12 già indica questo quando parla della beatitudine e felicità di coloro che sono perseguitati a motivo di Cristo (vedasi anche Atti 5:41). Filippesi 1:29 ci dice che soffrire per Cristo è un dono di Dio attraverso Cristo, uno dei doni che Egli ha guadagnato per noi con la Sua morte alla croce. Colossesi 1:24 dice che queste sofferenze sono parte delle sofferenze proprie di Cristo, che sono lasciate indietro a motivo della chiesa (vedasi anche I Pietro 4:13).
Noi sappiamo, anche, che soffrire, anche se non è mai facile o piacevole, è per il nostro bene. Non è la prosperità e la pace che ci portano più vicini a Dio e che ci purificano, ma le prove di fuoco della nostra fede. Questa è la testimonianza del Salmo 11:5, di I Pietro 1:7, e di innumerevoli altri passaggi.
Il vecchio detto “il sangue dei martiri è la semenza della chiesa”1 riconosceva il valore della persecuzione. Non vi è niente in tutta la vita della chiesa che dà tale testimonianza alla potenza e meraviglia della grazia di Dio come il fatto che il popolo di Dio è stato disposto a soffrire ogni cosa a motivo del vangelo e di Cristo. Noi non dobbiamo solo aspettarci tale sofferenza, ma dobbiamo essere volenterosi e perfino felici di soffrire tali cose per la nostra purificazione, per la chiesa, e per Cristo che ha sofferto ogni cosa a motivo nostro.
(“The Great Tribulation,” un capitolo tradotto da: Doctrine According to Godliness [Grandville, Michigan, USA: Reformed Free Publishing Association, 2004], pp. 318-319)
1Questo detto è attribuito a Tertulliano, un teologo che visse approssimativamente negli anni 160-230 d.C.