Ron Hanko
Vi sono due cose che desideriamo enfatizzare nel parlare delle glorie dello stato eterno, o paradiso, e del posto che ogni credente avrà lì.
Primo, dovremmo comprendere che il linguaggio che la Scrittura usa per descrivere il paradiso e le sue glorie è largamente figurativo. Quando leggiamo di una corona della vita, dell’essere colonne nel tempio di Dio, e del ricevere la stella del mattino, dovremmo comprendere che non è in queste cose che consiste la gloria celeste.
Cose letterali come queste sicuramente non hanno valore per coloro che sono divenuti come gli angeli e non sono più terreni (I Corinzi 6:13). Apocalisse 21 e 22 ci aiutano a rendere chiaro questo quando ci dicono che la città lì descritta è la chiesa glorificata (21:9-10), e che l’albero della vita è Cristo Stesso (Apocalisse 2:7; Apocalisse 22:2, 14). Perché la Scrittura usa un tale linguaggio? Perché le cose del paradiso sono cose che “occhio non ha visto, né orecchio udito, né sono entrate nel cuore dell’uomo, le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano” (I Corinzi 2:9). In altre parole, il paradiso è così glorioso e meraviglioso che non possiamo nemmeno cominciare a comprenderlo se non attraverso disegni e figure.
Ma se la gloria e la meraviglia del paradiso non è oro e perle e pietre preziose, cos’è? Apocalisse 21 e 22 rispondono a questa domanda in modo molto chiaro. E’ Dio Stesso, e specialmente Dio per come rivela Se Stesso in Gesù nostro Salvatore. Dio ha creato tutte le cose per Se Stesso (Apocalisse 4:11), ed in paradiso ciò diviene una realtà vivente per il popolo di Dio.
La Scrittura ci dice che Dio e Cristo sono la luce di quella città, il suo tempio, ed i suoi cittadini (Apocalisse 21:23-24; Apocalisse 22:5). Questi capitoli ci parlano della reale gloria del paradiso quando parlano del fatto che Dio dimora col Suo popolo e che è il loro Dio (Apocalisse 21:3; Apocalisse 22:3-4).
Essere con tutti i credenti, essere risuscitati e mutati a somiglianza di Cristo, avere ogni lacrima asciugata, essere per sempre liberati dalla potenza, presenza e possibilità del peccato—tutto questo è parte delle gioie del paradiso. Ma il meglio della gloria del paradiso non è nessuna di queste cose. Il meglio è la presenza di Dio e Lui soltanto (Salmo 16:11; Salmo 17:15; Salmo 73:25).
Ciò significa, ovviamente, che la gloria del cielo per noi è la realizzazione del patto di grazia di Dio. Quel patto ha sempre significato che Dio è il nostro Dio e noi siamo il Suo popolo. In paradiso ciò raggiungerà la sua gloria più alta, perchè allora tutto il popolo di Dio vivrà nella presenza di Dio, vedrà il Suo volto, Lo conoscerà, e Lo godrà per sempre.
Per questo noi aspettiamo, ma ciò si applica a noi ora. Chi non desidera realmente la gloria del paradiso non deve assumere che lo sta facendo. La persona che non è interessata a Dio e alla Sua gloria, che non ha diletto nella comunione di Dio, e che non desidera sopra tutte le cose vedere il volto di Dio, non è interessata al paradiso, non importa ciò che potrebbe dire.
Esaminiamo quindi noi stessi e le nostre vite e badiamo a che Dio sia tutto il nostro desiderio e tutta la nostra gioia. Allora noi non soltanto conosceremo ciò che riguarda la gloria celeste, ma saremo sicuri del nostro posto e porzione in essa.
(“Heavenly Glory,” un capitolo tradotto da: Doctrine According to Godliness [Grandville, Michigan, USA: Reformed Free Publishing Association, 2004], pp. 330-331)