nella Fondazione della Verità Riformata
Un Trattato Critico dei “Tre Punti” adottati dal Sinodo della Christian Reformed Church nel 1924
Herman Hoeksema
(Questo booklet è stato scritto nei primi anni della storia delle Protestant Reformed Churches ed espone le ragioni per cui più tardi il rev. Herman Hoeksema oppose la “Grazia Comune,” che includeva la “libera offerta del vangelo,” perfino quando questo significò essere messo fuori dalla Christian Reformed Church.)
Indice
Prefazione—Prof. David J. Engelsma
Prefazione Originale
1. Non Interpretazioni, ma Aggiunte
2. Soltanto per gli Eletti
3. Continuo Sviluppo del Peccato
4. Perverso in Tutte le Sue Vie
Appendice: I Tre Punti della Grazia Comune
Prefazione di David J. Engelsma
“Una Tripla Breccia” è controversia. L’uomo di chiesa e teologo Protestante Riformato Herman Hoeksema espone la reale natura dei “Tre Punti della Grazia Comune,” adottati dalla Christian Reformed Church nel 1924, quale supplementi alle confessioni Riformate, piuttosto che interpretazioni d’esse, e come allontanamenti da queste confessioni, piuttosto che sviluppi d’esse. L’analisi e l’argomentazione di Hoeksema sono incisive e irresistibili. Alla sua accusa di Pelagianesimo e di Arminianesimo non si è mai stati capaci di fornire una risposta.
“Una Tripla Breccia” è teologia, teologia Riformata. Nel breve spazio di un booklet ormai popolare, l’autore espone e difende dottrine essenziali come la grazia particolare e sovrana, la totale depravazione dell’uomo irrigenerato, lo sviluppo organico del peccato nella razza umana, la natura delle buone opere, l’antitesi, ed altro ancora. Come tutta la buona teologia, quest’opera si fonda su una solida interpretazione di un certo numero di passaggi della Scrittura, come anche sull’appello fatto ai credi e alle loro spiegazioni.
“Una Tripla Breccia” è evangelismo. Come egli stesso dice nella sua prefazione, la preghier a originaria di Hoeksema era “che il nostro Dio possa usare questo booklet come uno strumento nelle Sue mani per aprire gli occhi di molti agli errori e ai pericoli dei tre punti e per fortificare i loro cuori nella verità della Sua Parola.” Al tempo di questa ristampa (1992), il bisogno di questa illuminazione nella Christian Reformed Church è perfino più grande di quando fu pubblicato la prima volta questo booklet. I mali della grazia universale e dall’apertura al mondo malvagio sono rampanti e ben sviluppati in quella chiesa. Questi sono i frutti della sua dottrina della grazia comune. Hoeksema profetizzò questi frutti molto tempo fa, come la ripubblicazione di quest’opera renderà chiaro ad ogni lettore.
Ma gli insegnamenti non Riformati della grazia comune, e cioè la predicazione del vangelo come grazia per tutti, una restrizione del peccato nei rigenerati mediante un’influenza di grazia da parte dello Spirito, il compiere buone opere da parte di non credenti, sono al giorno d’oggi sposati e promossi da gran parte del mondo ecclesiastico Riformato e Presbiteriano. C’è il bisogno, quindi, un disperato bisogno, del fervido appello di questo booklet fatto al popolo Riformato e Presbiteriano in tutto il mondo, una chiamata a ritornare all’ortodossia Riformata sana, coerente e confessionale.
“Una Tripla Breccia” è anche storia della chiesa. Ci dice chi sono le Protestant Reformed Churches, da dove vengono, e perché. Esso è una valida istruzione dei membri di queste chiese, riguardo a quali grandi verità essi sono privilegiati di sostenere e sviluppare.
“Una Tripla Breccia” è stato per lungo tempo fuori stampa. Sotto la benedizione dello Spirito di verità, la sua ristampa per inizi ativa del Comitato Evangelistico della Southwest Protestant Reformed Church servirà i buoni propositi non soltanto dell’evangelizzazione, ma anche della controversia, della teologia, e della storia della chiesa.
Prof. David J. Engelsma
Protestant Reformed Seminary
Grandville, Michigan
Prefazione Originale
Per noi fu una questione di coscienza quando nel 1924 rifiutammo di dichiararci in conformità con i tre punti di dottrina adottati nello stesso anno dal Sinodo della Christian Reformed Church, e quando ci rifiutammo anche di astenerci dal fare propaganda contro questi punti in quella denominazione, anche se a motivo di questo rifiuto la Christian Reformed Church ci espulse dalla sua comunione.
E che fu una questione di coscienza è stato ampiamente corroborato dalla storia delle Protestant Reformed Churches fin dal 1924.
Davanti a Dio e alla nostra coscienza non soltanto fu impossibile sottoscrivere le tre dichiarazioni dottrinali, che, secondo la nostra ferma convinzione, erano in conflitto con la Parola di Dio e gli Standard Riformati; ma noi considerammo anche nostra chiamata quella di mettere in luce davanti a questa denominazione l’errore dei tre punti ed avvertire il nostro popolo Riformato delle loro pericolose tendenze ed influenze.
Quando, quindi, la Classe Est di Gran Rapids [città nello Stato del Michigan, USA], nonostante i nostri sforzi di impedire una separazione, non ci lasciò altra alternativa che o firmare i tre punti e promettere di non opporre la loro dottrina apertamente, o essere deposti dal nostro ufficio di ministri della Parola nella Christian Reformed Church, noi scegliemmo la seconda per la semplice ragione che davanti a Dio e alla nostra coscienza non potevamo fare nient’altro.
Di questa scelta non ci siamo mai pentiti.
Più studiamo approfonditamente le implicazioni dottrinali dei tre punti e gli argomenti portati a loro difesa, addotti dai leader di quella denominazione, e più ferma diviene la nostra convinzione che essi in realtà sono deviazioni dalla verità che hanno un effetto molto pervasivo e che minaccia di minare la fondazione stessa della verità Riformata.
Questa convinzione da parte nostra spiegherà la pubblicazione di questo booklet. Esso contiene principalmente, con qualche alterazione, un quaternione di lezioni sui tre punti, svolte da noi in diverse parti del nostro paese.
Con la preghiera che il nostro Dio possa usare questo booklet come strumento nelle Sue mani per aprire gli occhi di molti sugli errori e i pericoli dei tre punti e per fortificare i loro cuori nella verità della Sua Parola, lo offriamo al lettore interessato.
Rev. Herman Hoeksema
CAPITOLO 1: Non Interpretazioni, ma Aggiunte
In questo primo capitolo vorrei sottoporre all’attenzione del lettore interessato una domanda semplice, onesta e tuttavia molto importante. Allo stesso tempo mi propongo di portare alla sua attenzione ogni possibile evidenza che provi che alla domanda non si può che rispondere in un solo modo.
Nel porre la domanda si devono fare molte tacite assunzioni.
Prima di tutto si deve dare per scontato che il lettore è realmente interessato alla verità della Parola di Dio come formulata ed espressa nelle Confessioni Riformate. Si presuppone anche che il suo desiderio è quello di sostenere la verità Riformata e che sia interessato al benessere delle chiese Riformate.
In secondo luogo sarà tacitamente assunto che il lettore è informato dell’esistenza dei “Tre Punti.” Egli sa che nel 1924 il Sinodo della Christian Reformed Church ha formulato tre dichiarazioni di carattere dottrinale. Specialmente se si è un membro di questa denominazione si considererà questa assunzione piuttosto superflua, perché ci si chiederà: quale membro della Christian Reformed Church non sa dei tre punti? Tuttavia, si incontra un’ignoranza sbalorditiva a riguardo. Vi sono molti, membri responsabili della sopramenzionata chiesa, che a riguardo ne sanno poco o nulla. E non ci si deve sorprendere eccessivamente se occasionalmente si incontra qualcuno che esprime la sua indignazione perché l’autore di questo booklet ha formulato i tre punti e poi si è allontanato dalla linea della fede Riformata.
Terzo, si presume che il lettore non soltanto sappia dell’esistenza dei tre punti, ma che ha una certa familiarità con il loro contenuto, in modo che sia capace di testimoniare del significato dottrinale di essi, che egli comprende quali posizioni in essi sono sostenute, e ha la capacità di discernere ciò che è vero e ciò che è falso, tra ciò che è Riformato e ciò che non lo è.
Assumendo tutto questo come vero, mi piacerebbe discutere col lettore questa questione: i tre punti del 1924 sono un’interpretazione delle Confessioni Riformate, cioè le Tre Formule di Unità, o sono aggiunte, incrementi delle Confessioni? I tre punti esprimono meramente in forma differente ciò che è virtualmente già contenuto nelle formule di unità, o sono tre innovazioni dottrinali?
Questa è la questione discussa in questo primo capitolo.
La questione riguardante il se questi tre punti siano in armonia con le Confessioni Riformate la lasciamo fuori dalla nostra discussione al momento. Non ha a che fare col punto che desideriamo discutere ora. Si comprende facilmente, ovviamente, che aggiunte alle Confessioni possono essere Riformate in carattere, e che le Confessioni possono essere incrementate in un modo tale che questo incremento sia meramente un ulteriore sviluppo della verità Riformata. Un emendamento delle Confessioni non è né impossibile né improprio, e deve perfino essere considerato desiderabile. Ma al momento non desideriamo applicare il criterio della Scrittura e delle Confessioni ai tre punti, per scoprire se sono o meno Riformati. La sola questione davanti a noi ora è: i contenuti dei tre punti si trovano già virtualmente nelle Confessioni delle Chiese Riformate, o sono stati aggiunti ad esse? Sono interpretazioni o aggiunte?
Questa è davvero una domanda importante.
I leader della Christian Reformed Church enfatizzano che i tre punti non contengono niente di nuovo, che essi non sono addizioni o emendamenti alla Confessioni, ma meramente ulteriori interpretazioni di ciò che è già chiaramente implicato o espresso nelle formule di unità. Nessuna nuova confessione è stata adottata nel 1924. Né gli Standard esistenti sono stati incrementati. Il Sinodo ha meramente interpretato gli Standard delle chiese Riformate, o, piuttosto, li ha citati per confutare vari errori dei fratelli H. Danhof ed H. Hoeksema.1 Si pensa che, per più di un motivo, una tale presentazione della cosa sia preferibile.
In questo modo si può facilmente permettere ai tre punti di affondare nell’oblio. E questo lo si ritiene desiderabile. Per quanto possa apparire strano, è tuttavia un dato di fatto che i leader della Christian Reformed Church non sono ansiosi che qualcuno ricordi loro i tre punti, né che li si discuta. Anche se essi li formularono e li consideravano sufficientemente importanti per servire come base per la deposizione di ministri, anziani e diaconi, tuttavia ora vorrebbero quasi che ce li si dimenticasse. E’ considerato espediente per la pace delle Chiese che i tre punti siano seppelliti nel constante oblio. Questo seppellimento dei tre punti è facilitato quando li si presenta come interpretazioni delle Confessioni, mentre d’altra parte, se fosse ammesso che sono innovazioni, aggiunte, incrementi alle formule di unità, dovrebbero essere sottoposti all’attenzione del popolo e delle Chiese ripetutamente.
Per esempio, si supponga che si sia chiamati ad essere un ufficiale nella Christian Reformed Church, che sia ministro, anziano, o diacono. In tal caso, secondo l’usanza di tutte le chiese Riformate, viene richiesto di firmare le Formula di Sottoscrizione, e nel fare così ci si dichiara in accordo con le tre formule di unità, e cioè, il Catechismo di Heidelberg, la Confessione Belga, e i Canoni di Dordrecht.
Ora, se i tre punti adottati dal Sinodo nel 1924 sono virtualmente delle nuove confessioni, né contenute o implicate nelle formule di unità, sarebbe ovviamente necessario richiedere da parte di ogni ufficiale di firmarle separatamente. E se un tale ufficiale dovesse rifiutarsi di esprimere accordo con questi punti, gli dovrebbe essere impedito di svolgere i doveri del suo ufficio. Ma ciò non è mai fatto. Perfino dopo che i tre punti furono adottati, quelli che vengono installati come ufficiali firmano la Formula di Sottoscrizione e in essa si fa riferimento alle stesse formule di unità come davanti al sinodo del 1924. E l’argomento che è usato per difendere il loro non richiedere una firma separata dei tre punti, è, ovviamente, che essi non sono aggiunte, ma interpretazioni degli Standard.
E così è possibile eludere la necessità di richiedere ripetutamente ai membri di chiesa, agli incontri del Concistoro, della Classe, o del Sinodo, di esprimere accordo con i tre punti.
Fare la seconda cosa provocherebbe senza dubbio dei problemi.
Vi sono ancora molte persone Riformate nella Christian Reformed Church che si rifiuterebbero di sicuro, nel caso fosse loro chiesto, di firmare i tre punti. Svariate persone che non concordano affatto con essi le potrei menzionare per nome.
Queste persone, tuttavia, non sono molestate a motivo della loro attitudine.
Al contrario, anche se è ben risaputo che essi sono in disaccordo con i tre punti e fanno sentire pubblicamente le loro obiezioni, sono nominati come ufficiali ecclesiastici. Quando personalmente presentano le loro obiezioni contro una tale nominazione e le esprimono davanti al concistoro, facendo notare che essi non sono qualificati per servire come ufficiali perché non sono in accordo con la dottrina del 1924, il caso è messo da parte con leggerezza. Che differenza fa se si obietta ai tre punti? Non sono dimenticati da lungo tempo? Chi parla di essi? Nessuno ti darà problemi riguardo alla tua attitudine verso di essi. E non è un requisito, da parte del concistoro, che li si firmi, o lo è? Tutto ciò che si firma è la Formula di Sottoscrizione, ed essa non fa menzione dei tre punti, ma parla soltanto del Catechismo di Heidelberg, la Confessione Belga, ed i Canoni di Dordrecht. Non si può avere, così, alcuna obiezione valida contro la propria nomina, e la coscienza è libera!2 In questo modo la pace delle Chiese è preservata e i tre punti sono relegati alla terra dell’oblio.
Ovviamente, tali ufficiali ecclesiastici non devono essere scusati. Io conosco alcuni che comprendono molto bene che i tre punti non possono essere considerati interpretazioni delle Confessioni e che la loro dottrina è in conflitto coi contenuti degli Standard Riformati, ma che tuttavia rimangono nella Christian Reformed Church, ed occupano perfino la posizione di ufficiale ecclesiastico in quella Chiesa, anche se sanno che sono considerati responsabili per la dottrina della Chiesa adottata nel 1924, e responsabili anche per la deposizione di ministri, anziani e diaconi completamente Riformati. La loro stessa coscienza di sicuro li condanna. Perché essi sanno che il sinodo della Christian Reformed Church nel 1926 dichiarò enfaticamente che i tre punti adottati nel 1924 sono interpretazioni delle Confessioni, ed in quanto tali devono essere accettati da tutti gli ufficiali ecclesiastici e da tutti i membri. Ed anche se al momento del loro insediamento come ufficiali non sono confrontati direttamente con la richiesta di firmare i tre punti, comprendono molto bene che per implicazione essi fanno proprio questo quando dichiarano di essere in conformità alle tre formule di unità per come esse sono interpretate nei tre punti.
Tuttavia si comprende facilmente che per tali ufficiali diviene meno difficile mettere in silenzio la voce della loro coscienza ora che non viene loro costantemente ricordato della loro responsabilità personale per la dottrina espressa dal sinodo del 1924.
Né ci si deve dimenticare che vi sono anche un numero di ufficiali che non hanno in mente i tre punti quando firmano la Formula di Sottoscrizione, che immaginano che firmando la Formula essi esprimono pura e semplice conformità agli Standard della Chiesa. E, naturalmente, ci si può aspettare che il loro numero aumenterà a seconda di quanto la storia del 1924 diventa un evento distante del passato. Ciò non si verificherebbe mai se i tre punti fossero considerati appropriatamente e trattati come supplementi agli Standard, e se ad ogni occasione appropriata dovessero essere firmati da ufficiali o da candidati per il ministero.
Ora, alla domanda se sia giusto ed appropriato per la Christian Reformed Church assumere questa attitudine di silenzio nei riguardi delle tre dichiarazioni di dottrina da essa adottate nel 1924 si deve dare una risposta che dipende da quest’altra domanda, e cioè se i tre punti sono o meno interpretazioni delle Confessioni. Se lo sono, la Christian Reformed Church ha assunto l’attitudine appropriata, se non lo sono, l’attitudine che hanno assunto è ambigua ed ingannevole. Quindi, la domanda che presenta se stessa alla nostra considerazione è prima di tutto questa: i tre punti sono interpretazioni delle Confessioni o sono innovazioni e supplementi agli Standard?
Prima di tutto, possiamo osservare, in risposta a questa domanda, che, da un punto di vista puramente formale, non si può affermare che le tre dichiarazioni di dottrina adottate nel 1924 sono intese come interpretazioni degli Standard Riformati. Perché, in quali circostanze sono necessarie interpretazioni delle Confessioni? Solo quando certe parti degli Standard non sono chiare, o se dubbio o differenza di opinione dovesse sorgere tra alcuni a riguardo del significato di certi articoli della nostra fede. Ma nel 1924 non era affatto questa la situazione. Non vi era richiesta davanti al sinodo del 1924 di spiegare o interpretare alcuna parte delle Confessioni. Non vi era differenza di opinione per quanto riguarda il significato di qualsiasi articolo in particolare delle formule di unità. Il sinodo fu chiamato a considerare alcune proteste contro la dottrina dei Rev. H. Danhof ed H. Hoeksema, che negavano la teoria della Grazia Comune. Questi due pastori sostenevano:
(1) negativamente:
(a) che Dio non è grazioso nei confronti degli empi reprobi;
(b) che non vi è operazione di grazia nei cuori dei reprobi, per la quale il peccato è trattenuto;
(c) che non vi è un’influenza di grazia al di fuori della rigenerazioni, per la quale il peccatore è messo in grado di far del bene davanti a Dio; e
(2) positivamente:
(a) che la grazia di Dio è sempre particolare, per il Suo popolo, gli eletti soltanto;
(b) che lo sviluppo del peccato segue la linea organica dello sviluppo della razza umana;
(c) che l’uomo naturale è interamente incapace di fare qualsiasi bene e inclinato ad ogni male.
E’ vero che questi due pastori si erano appellati alle Confessioni come anche alla Parola di Dio in difesa della loro posizione. Ma gli articoli della nostra Confessione e i passaggi scritturali a cui facevano riferimento non furono mai interpretati dal sinodo. Invece di interpretare le Confessioni il sinodo semplicemente propose ed adottò le tre dichiarazioni di dottrina in cui le vedute dei due pastori accusati furono negate e condannate. E per sostenere queste tre proposizioni sinodali il sinodo fece meramente riferimento, senza alcuna interpretazione, a certi articoli della Confessione Belga e dei Canoni di Dordrecht, e a pochi testi dalla Scrittura. Non uno degli articoli a cui il sinodo fa riferimento, sono stati nemmeno provati ad essere interpretati. Sono stati meramente citati. E queste citazioni dalle Confessioni si suppose fossero sufficientemente chiare in se stesse. Esse non avevano bisogno di interpretazione. Esse furono addotte a sostegno della dottrina dei tre punti.
Da tutto ciò è perfettamente evidente che i tre punti non furono mai intesi essere interpretazioni degli Standard. Ciò che è abbisognante di interpretazione non è addotto come prova per certe dichiarazioni dottrinali. Ciò che si spiega non può servire come prova della spiegazione. Tuttavia, i passaggi che il sinodo cita per sostenere i tre punti sono meramente addotti come molte prove. E’ puro nonsenso sostenere che i tre punti interpretano la loro base stessa su cui si fondano.
Non può essere sostenuto che i tre punti sono un’interpretazione dei passaggi scritturali citati dal sinodo per provare il loro carattere biblico, più di quanto si possa difendere che siano interpretazioni di quelle parti delle Confessioni che sono citati per provare che sono in armonia con la dottrina Riformata.
Formalmente, quindi, i tre punti non sono intesi essere interpretazioni delle Confessioni.
Ma forse essi lo sono materialmente, cioè quanto al loro contenuto?
Ovviamente, è perfettamente concepibile che anche se chi ha composto i tre punti non aveva intenzione di spiegare, ma meramente di citare gli Standard delle chiese Riformate, tuttavia nei tre punti è offerta un’ulteriore interpretazione di certi passaggi ed articoli delle Confessioni e che certe verità, chiaramente implicate in questi articoli, sono espresse con una nuova enfasi. Non è questo quanto il sinodo del 1924 ha esattamente fatto coll’adottare le ben note dichiarazioni di dottrina?
Investighiamo dunque questa faccenda.
Per svolgere questa investigazione, citeremo i tre punti ed anche quei passaggi delle Confessioni che il sinodo citò a supporto dei tre punti.
Il primo punto dice:
Relativamente al primo punto, che concerne l’attitudine favorevole di Dio nei confronti dell’umanità in generale e non soltanto verso gli eletti, il Sinodo dichiara essere stabilito in accordo con la Scrittura e le Confessioni che, a parte la grazia salvifica di Dio mostrata solo a quelli che sono eletti a vita eterna, vi è anche un certo favore o grazia di Dio che Egli mostra alle Sue creature in generale. Ciò è evidente dai passaggi scritturali citati e dai Canoni di Dordrecht, II:5, e III/IV:8-9, che trattano dell’offerta generale del Vangelo; e d’altro canto è evidente anche dalle citazioni dagli scrittori Riformati del più fiorente periodo della Teologia Riformata che i nostri padri Riformati del passato hanno favorito questa veduta.
Il lettore comprenderà che per il proposito della nostra presente investigazione non abbiamo bisogno di discutere i passaggi Scritturali citati dal sinodo, nè per ora ci interessano le citazioni dagli scrittori Riformati.
La prima citazione è da Canoni II:5, e dice come segue:
Del resto, la promessa del Vangelo è: che chiunque crede in Cristo crocifisso non perisca, ma abbia vita eterna. Questa promessa deve essere promiscuamente ed indiscriminatamente annunciata e testimoniata insieme al comandamento di ravvedimento e fede a tutti i popoli e gli uomini ai quali Dio secondo il Suo beneplacito manda l’Evangelo.
Fermiamoci alla prima citazione e consideriamo la questione se il primo punto può essere chiamato un’interpretazione di questa parte delle Confessioni.
Concederete immediatamente che non vi è nemmeno una sembianza di similarità tra la prima dichiarazione e Canoni II:5.
Consideriamo, prima di tutto, la proposizione principale del primo punto. Essa è, evidentemente: vi è anche un certo favore o grazia di Dio che Egli mostra alle Sue creature in generale.
Ma la dichiarazione principale di Canoni II:5 è: [la] promessa [del Vangelo] deve essere promiscuamente ed indiscriminatamente annunciata e testimoniata insieme al comandamento di ravvedimento e fede a tutti i popoli e gli uomini ai quali Dio secondo il Suo beneplacito manda l’Evangelo.
Basta anche solo semplicemente leggere queste due proposizioni per poter tirare la conclusione in modo immediato che ciò che è si suppone sia un’interpretazione di questo Articolo dei Canoni non è nemmeno contenuta, no, nemmeno suggerita, nel secondo. Per “creature in generale” noi intendiamo la creazione di Dio nel senso organico della parola, l’insieme di ciò che Dio ha chiamato all’esistenza al principio e che sostiene mediante la Sua provvidenza. Se prendiamo questo punto letteralmente, il sinodo ha espresso meramente che Dio è grazioso verso tutte le opere delle Sue mani intese nel senso organico, cioè, senza riferimento a creature individuali. Egli è buono verso uomo e bestia e l’erba verde, la Sua intera creazione.
E mi si lasci aggiungere subito, che non avremmo obiezioni a questo primo punto di dottrina, che noi saremmo in pieno accordo con esso, se il sinodo avesse confinato se stesso a questa proposizione principale. Ma non è questo il punto. Ciò che dobbiamo considerare in questo primo capitolo non è se noi siamo o meno in conformità col primo punto, ma se il primo punto può essere chiamato un’interpretazione della Confessione. E’ la dichiarazione del primo punto contenuta in Canoni II:5? O, se essa non è letteralmente espressa in questa parte degli Standard, può essere detto che è implicata in essa?
La vostra risposta è, ovviamente: no affatto. Il primo punto parla di una grazia di Dio, i Canoni parlano soltanto della predicazione del Vangelo. Il primo punto parla di creature in generale, i Canoni in questo articolo parlano di nazioni e persone, e, più in particolare, solo di quelle nazioni e persone a cui Dio manda il vangelo secondo il Suo consiglio. La nozione stessa che Canoni II:5 insegnerebbe, letteralmente o per implicazione, che vi è una grazia di Dio sulle Sue creature in generale è assurda. Il pensiero di creature in generale non fu mai nella mente dei nostri padri Riformati quando composero ed adottarono questo articolo al sinodo di Dordrecht. Di questo possiamo starne sicuri. La proposizione principale del primo punto, quindi, non può mai essere considerata un’interpretazione dei contenuti di Canoni II:5.
Ma coloro che hanno composto i tre punti obietteranno che non presentiamo il soggetto in modo corretto e giusto. Vedete, essi dicono, il sinodo non intese mai affermare che in Canoni II:5 abbiamo la dottrina di una grazia di Dio su tutte le Sue creature. Esso ha meramente citato questo articolo della Confessione per provare che i Canoni insegnano una grazia di Dio su altri che non siano gli eletti, cioè, verso gli altri uomini. Sebbene può essere concesso che l’articolo citato non parla di un favore di Dio verso tutte le Sue creature, noi dichiariamo che afferma una grazia di Dio rivolta ad un circolo di uomini più ampio che quello degli eletti.
A questo possiamo replicare, prima di tutto, che il sinodo deve essere considerato responsabile di ciò che ha dichiarato. E se l’intenzione del sinodo di esprimere meramente che Dio è grazioso verso uomini che non sono gli eletti, il primo punto è stato composto in modo misero.
Ma, se vogliamo seguire per un attimo questo argomento, concediamo pure che sia questo il proposito reale del primo punto, cioè di dichiarare ed insegnare che Dio è grazioso anche nei confronti dei reprobi. Se lo comprendiamo in questo senso, può essere considerato un’interpretazione dell’articolo citato?
Di nuovo rispondiamo: in nessun modo!
Preso in questo senso, il primo punto insegna una grazia di Dio nei confronti degli uomini in modo promiscuo, senza distinzione, e non solo gli eletti. Ma Canoni II:5 non menziona la grazia di Dio verso tutti gli uomini, ma tratta meramente della predicazione del Vangelo a tutti gli uomini senza distinzione.
Ma gli autori dei tre punti diranno che la predicazione stessa del Vangelo è grazia di Dio per tutti coloro che odono la predicazione. E dunque il primo punto è un’interpretazione di Canoni II:5.
Noi replichiamo che questo non è interpretare ma aggiungere alle Confessioni.
Una tale presunta interpretazione procede dalla tacita assunzione che la predicazione del Vangelo in quanto tale è grazia per tutti coloro che odono. Ciò di certo non è espresso nell’articolo dei Canoni. Ed è evidente dal resto dei Canoni, come speriamo di mostrare nel prossimo capitolo, che una tale interpretazione non è in armonia con il proposito dei padri di Dordrecht. I Canoni sono composti per il proposito stesso di opporre la dottrina dei Rimostranti. E, quindi, noi possiamo stare sicuri che i nostri padri avevano molto timore di parlare della predicazione del vangelo come grazia generale o comune. Inoltre, se questa fosse stata l’intenzione di Canoni II:5, quanto sarebbe stato facile esprimere l’idea in modo chiaro e senza ambiguità dichiarando: “inoltre, Dio manifesta la Sua grazia a tutti gli uomini senza distinzione in questo, che Egli vuole che questa promessa deve essere promiscuamente ed indiscriminatamente annunciata e testimoniata insieme al comandamento di ravvedimento e fede a tutti i popoli e gli uomini ai quali Dio secondo il Suo beneplacito manda l’Evangelo!”
Questo, però, essi lo evitarono intenzionalmente. Io dico intenzionalmente perchè possiamo dipendere da questo fatto: che i padri di Dordrecht erano perfettamente in grado di esprimere i loro pensieri in un linguaggio chiaro. Ma al contrario, essi affermarono meramente che, anche se la grazia di Dio è particolare ed è conferita soltanto agli eletti, tuttavia è la volontà di Dio che il vangelo sia predicato a tutti senza distinzione.
Noi concludiamo, quindi, che il primo punto non è un’interpretazione di Canoni II:5.
Ma il sinodo ha fatto riferimento anche a Canoni III/IV:8-9. Gli articoli seguono in pieno:
8. Quanti siano chiamati, però, mediante l’Evangelo, sono chiamati seriamente. Dio infatti mostra seriamente e verissimamente, con la Sua Parola, ciò che Gli è gradito, e cioè, che i chiamati vengano a Lui. Promette anche seriamente a tutti coloro i quali vengono a Lui e credono, il riposo delle anime e la vita eterna.
9. Evangelo, sono chiamati seriamente. Dio infatti mostra seriamente e verissimamente, con la Sua Parola, ciò che Gli è gradito, e cioè, che i chiamati vengano a Lui. Promette anche seriamente a tutti coloro i quali vengono a Lui e credono, il riposo delle anime e la vita eterna. La colpa del fatto che molti chiamati mediante il ministero dell’Evangelo non vengono e non si convertono, non è né nel Vangelo, né in Cristo presentato per mezzo dell’Evangelo, né in Dio che chiama mediante l’Evangelo, e conferisce loro anche vari doni, ma nei chiamati stessi, tra i quali alcuni, incuranti, non ricevono la parola di vita; altri certamente la ricevono, ma non l’ammettono nel profondo del cuore, e per questo, dopo il gaudio evanescente di una fede temporanea, si ritraggono; altri, per le spine delle sollecitudini e le voluttà del secolo, soffocano la semenza della parola, e non portano alcun frutto; cosa che il Salvatore nostro insegna nella parabola della semenza (Matteo 13).
Che in questi Articoli noi non abbiamo una minima sembianza di interpretazione della proposizione principale del primo punto, ovvero che vi è una grazia di Dio verso le Sue creature in generale, non necessita di ulteriore delucidazione. Inoltre, questi passaggi non trattano una grazia di Dio verso tutte le Sue creature, e nemmeno la grazia di Dio verso l’umanità in generale, ma la predicazione del vangelo a coloro a cui Dio manda il vangelo nel Suo beneplacito. L’articolo 8 fa riferimento a tutti coloro che odono l’evangelo, l’articolo 9 a coloro che giungono a trovarsi sotto il ministero del vangelo ma lo rigettano. E, quindi, non vi è dubbio che il primo punto, inteso letteralmente, non è un’interpretazione di questi articoli. La sola questione che rimane da essere considerata è se questi articoli insegnano, direttamente o per implicazione, che la predicazione del vangelo è grazia di Dio a tutti coloro che odono l’evangelo.
Esaminiamo i contenuti di questi Articoli.
Nell’articolo 8 scopriamo facilmente i seguenti elementi:
1. La chiamata del vangelo è seria e non finta da parte di Dio per tutti coloro che giungono sotto la sua ministrazione. Ognuno di coloro che ode il vangelo può essere assicurato che Dio intende in modo non finto e seriamente ciò che fa proclamare nel Vangelo. Ma cosa proclama Dio nel vangelo? Afferma Egli forse che Egli è grazioso o sarà grazioso verso tutti coloro che odono il vangelo? Comanda Egli forse ai Suoi ministri di predicare che è la Sua intenzione quella di salvare tutti gli uditori? Al contrario, nessun predicatore del vangelo può reclamare alcuna autorità nel portare un tale messaggio. Colui che tuttavia presenta il vangelo in questa luce non porta la chiamata della Parola, ma la sua propria filosofia. Egli corrompe il vangelo e fa di Dio un bugiardo. No, la chiamata del vangelo è: “ravvedetevi, e credete nel Signore Gesù Cristo! Venite a Me, voi tutti che siete affaticati e oppressi ed Io vi darò riposo! Voi tutti che siete assetati, venite alle acque!” Questa chiamata non è finta da parte di Dio. Colui che ode questo vangelo non ha motivo di dubitare che è chiamato seriamente.
2. Che è accettevole a Dio che a questa chiamata si presti ascolto e si ubbidisca. Rigettare il vangelo, disubbidire la chiamata non Gli è accettevole. Al contrario, Egli non gradisce affatto chiunque rifiuta di volgersi a Lui e vivere, tutti coloro che disprezzano e rigettano il vangelo.
3. Che Dio promette a tutti quelli che vengono e credono in Lui riposo per le loro anime e la vita eterna. Questa non è una promessa generale a tutti senza distinzione, ma a coloro che verranno e crederanno. Nessuno ha bisogno di intrattenere alcun dubbio quanto alla sincerità di questa promessa. Colui che viene a Lui non sarà cacciato via. Tutti coloro che vengono a Lui ricevono grazia e vita eterna. Perché Dio certamente realizza le Sue promesse.
Questi sono, in breve, i contenuti dell’articolo 8. Tutto questo significa forse che il serio e glorioso vangelo, che contiene la promessa della vita eterna per tutti quelli che credono, riposo dell’anima a chiunque viene a Dio attraverso Gesù Cristo, è grazia di Dio a tutti coloro che giungono sotto la predicazione di questo vangelo e non soltanto agli eletti? In altre parole, può questo articolo essere interpretato in modo che significhi che la proclamazione del vangelo è grazia anche per coloro che lo rigettano, per i reprobi ed empi? Voi ammetterete che non vi è il minimo suggerimento di una tale dottrina. La dichiarazione del primo punto non può mai essere chiamata un’interpretazione di Canoni III/IV:8.
Ma che dire dell’articolo 9?
Esso insegna semplicemente che la colpa nell’aver rigettato il Vangelo, il peccato di rifiutarsi di convertirsi, di venire a Dio attraverso Cristo e credere, non può essere attribuita al Vangelo, a Cristo, o a Dio. La chiamata del vangelo è sufficientemente chiara. Essa parla un linguaggio inequivocabile. Essa rivela molto chiaramente ciò che è accettevole a Dio. Se qualcuno rifiuta di volgersi a Dio non può mai attribuirlo al vangelo, come se non fosse sufficientemente chiaro e ricco per condurlo a ravvedimento. Né il non credente può incolpare Dio per la sua incredulità, perché l’Altissimo gli rivela chiaramente nel vangelo che la disubbidienza e l’incredulità Gli dispiacciono alquanto terribilmente e giustamente. E Cristo è pienamente e riccamente proclamato, presentato (Latino “Oblatum”) nel vangelo, in modo che la colpa dell’incredulità non può essere ricercata in Lui. No, ma la responsabilità è tutta del peccatore. La colpa sta nel suo malvagio e impenitente cuore, la malvagia natura che appare ancora più terribile sotto ed attraverso la predicazione del vangelo. La colpa del peccato di incredulità è soltanto la sua propria. Tale è l’insegnamento dell’articolo 9. Ma è tutto questo forse lo stesso che dire che chi rigetta il vangelo era l’oggetto della grazia di Dio in ed attraverso la predicazione e la ministrazione della Parola? Questo Articolo forse suggerisce una tal cosa? L’esatto contrario è vero. Se il Vangelo serve per portare a manifestazione la perversità e l’oscurità di un cuore e di una mente peccaminosa in particolare, certamente non serve il proposito di rivelare ad essa la grazia di Dio. Sarebbe meglio, secondo la Scrittura, che coloro che rigettano il vangelo non avessero mai conosciuto la via della giustizia e della vita! Il vangelo per loro è un giudizio spaventoso. Esso aggrava la loro colpa e punizione. Essi saranno battuti con doppie percosse. Perché hanno rivelato chiaramente che non vogliono ciò che è accettevole a Dio!
E, quindi, anche l’articolo 9 non insegna che vi è una certa grazia di Dio nella predicazione del Vangelo non soltanto per gli eletti ma anche per gli empi reprobi.
Noi concludiamo, quindi, che il primo punto non è un’interpretazione delle Confessioni, ma un aggiunta. Se quest’aggiunta sia in armonia con la verità Riformata è una questione che deve essere trattata nel secondo capitolo. Il nostro proposito ora è soltanto stabilire chiaramente che ciò che è reclamato dai leader ed autori dei tre punti della Christian Reformed Church, ovvero che questo primo punto è una ulteriore spiegazione di ciò che è implicato ed espresso nelle Confessioni, è assolutamente falso. Una nuova dottrina è stata adottata nel primo punto. Essa è un’addizione agli Standard. E questa nuova dottrina può essere brevemente formulata come segue: Dio manifesta una certa grazia nella predicazione del vangelo non soltanto agli eletti a vita eterna, ma a tutti coloro che odono il vangelo, senza distinzione.
O, per dirla in forma più breve: la predicazione del Vangelo è grazia comune!
Dobbiamo considerare ora il secondo dei tre punti.
Esso afferma:
Relativamente al secondo punto, che riguarda la restrizione del peccato nella vita dell’individuo e della comunità, il Sinodo dichiara che vi è una restrizione del peccato secondo la Scrittura e la Confessione. Ciò è evidente dalle citazioni dalla Scrittura e dalla Confessione Belga, articoli 13 e 26, che insegnano che Dio per le operazioni generali del Suo Spirito, senza rinnovare il cuore dell’uomo, impedisce la libera eruzione del peccato, per mezzo delle quali la vita umana nella società rimane possibile; e d’altro canto è anche evidente dalle citazioni dagli scrittori Riformati del più fiorente periodo della Teologia Riformata, che da tempi antichi i nostri padri Riformati erano della stessa opinione.
I passaggi della Confessione a cui il sinodo fa riferimento come prova di questa dichiarazione dicono:
Confessione Belga, Articolo 13:
In questo noi riposiamo, sapendo che egli tiene a freno il demonio, e tutti i nostri nemici, che non possono nuocerci senza il suo permesso e buona volontà.
Articolo 36:
… volendo che il mondo sia governato per mezzo di leggi e polizie, acciocché gli eccessi degli uomini siano repressi, e che tutto si faccia con buon ordine tra gli uomini.
La questione che deve essere considerata anche in connessione a questo punto è: il secondo punto può essere considerato un’interpretazione delle parti della Confessione citate dal Sinodo?
La reale implicazione della dichiarazione che il sinodo ha fatto nel secondo punto sarà messa in evidenza nel terzo capitolo di questo trattato. Ma già da ora dobbiamo chiamare l’attenzione ad un possibile fraintendimento di questo punto. Potrebbe essere facilmente compreso che esso insegna soltanto che Dio per la Sua provvidenza governa anche i diavoli e gli empi, in modo che non possono realizzare niente contro la Sua volontà. Tuttavia, questo non è affatto l’insegnamento di questa seconda dichiarazione. Se lo fosse, noi ovviamente non obietteremmo alla sua dottrina. Ma la veduta espressa ed adottata dalle Christian Reformed Churches nel secondo punto è che vi è un’operazione dello Spirito Santo nel cuore di ogni uomo per la quale egli è di fatto non rigenerato ma tuttavia frenato in tal modo dalla totale corruzione della sua natura che non è empio nella sua vita esteriore tanto quanto altrimenti ci si potrebbe aspettare. Questo è il vero significato della teoria del restringimento del peccato per come sviluppata nella dottrina della grazia comune. Questa anche era la questione che era dinanzi al sinodo nel 1924. E che questa sia l’implicazione del secondo punto è anche evidente dal modo stesso in cui esso è stato formulato. Mediante la generale operazione graziosa dello Spirito Santo vi è una certa influenza riformatrice sul cuore di ogni uomo al di fuori dell’opera della rigenerazione.
Avendo compreso questo, la questione da considerare ora è se questo secondo punto è una spiegazione degli Articoli 13 e 36 della Confessione Belga.
Ammetterete prontamente che a questa domanda si deve rispondere negativamente.
E’ molto evidente che l’articolo 13 non parla di un’operazione di grazia comune mediante lo Spirito Santo nei cuori degli empi per la quale essi sono in qualche modo riformati e migliorati. Esso parla della provvidenza di Dio, in connessione con questa benedetta verità della potenza e dominio di Dio perfino sugli strumenti ed agenti delle tenebre. Il fatto stesso che questa parte della Confessione parla in un solo respiro di diavoli e di empi dovrebbe essere stata sufficiente a trattenere il sinodo dall’errore di pensare che l’articolo si riferisse ad un’operazione interna di grazia dello Spirito Santo. Se la cosiddetta interpretazione del sinodo del 1924 fosse corretta, la Confessione in questo articolo insegnerebbe anche che vi è un’influenza riformatrice dello Spirito Santo nei confronti dei diavoli, il che, ovviamente, è assurdo. Ma se il sinodo non vuole accettare una tale operazione di grazia sui diavoli, dovrà ammettere che l’articolo 13 non fa affatto riferimento ad una tale operazione di grazia dello Spirito Santo, ma semplicemente al dominio onnipotente di Dio, per il quale Egli domina e governa tutte le cose secondo il Suo eterno consiglio. E questo governo dell’Altissimo su tutte le cose, secondo la presentazione dell’articolo 13 è motivata in Dio non da una certa grazia o favore sugli empi, ma dalla Sua grazia ed amore per il Suo popolo. L’articolo 13 fa riferimento ad una grazia molto particolare. E, quindi, il secondo punto di certo non è un’interpretazione di questa parte della Confessione.
Lo stesso è vero della citazione che il sinodo offre dall’articolo 36 della Confessione Belga.
E’ ben noto che questo Articolo non parla di un certo restringimento della potenza e corruzione del peccato nel cuore dell’uomo naturale mediante una certa operazione generale dello Spirito Santo, ma di un restringimento esteriore di certi peccati pubblici mediante il potere della legge supportata dalle forze di polizia. Il chiaro insegnamento di questo articolo è perfino questo, ovvero che senza il potere dei magistrati gli uomini non sarebbero affatto tenuti a freno, ma si abbandonerebbero alla dissolutezza. Se vi fosse una tale operazione dello Spirito per come è insegnata nel secondo punto, la polizia, il potere della spada dei magistrati, non sarebbe necessario. Ma non è così. L’articolo 36 non procede affatto dall’assunzione di una tale operazione di grazia sul cuore dell’uomo naturale, e, quindi, professa il bisogno di leggi e polizia. E’ davvero inverosimile che i leader delle Christian Reformed Churches vorrebbero presentare il secondo punto come una spiegazione dell’articolo 36.
E, quindi, noi concludiamo che anche nel secondo punto abbiamo un’addizione alle Confessioni delle chiese Riformate, un supplemento che può essere formulato come segue: vi è un’operazione generale di grazia, di natura etica, dello Spirito Santo, per la quale tutti gli uomini, a prescindere dalla rigenerazione sono migliorati e riformati in una misura tale che non erompono in ogni specie di peccato.
Infine, desideriamo chiamare l’attenzione al terzo punto, che qui citiamo per intero:
Relativamente al terzo punto, che riguarda la questione della giustizia civile compiuta dai non rigenerati, il Sinodo dichiara che secondo la Scrittura e le Confessioni, i non rigenerati, anche se incapaci di fare qualsiasi bene salvifico, possono fare del bene civico. Ciò è evidente dalle citazioni dalla Scrittura e dai Canoni di Dordrecht, III-IV:4, e dalla Confessione Belga, art. 36, che insegnano che Dio, senza rinnovare il cuore, influenza in tal modo l’uomo che egli è capace di fare del bene civico; e d’altro canto ciò è evidente dalle citazioni dei padri Riformati del più fiorente periodo della Teologia Riformata che da tempi antichi essi erano della stessa opinione.
I passaggi delle Confessioni a cui il sinodo fa riferimento a supporto di questa affermazione sono i seguenti:
Canoni III/IV:4:
Dopo la caduta nell’uomo vi è senza dubbio una qualche residua luce di natura, per il cui beneficio egli ritiene una qualche idea di Dio, delle cose naturali, del discrimine tra ciò che è onesto e ciò che è turpe, e dimostra una qualche ricerca della virtù e di una disciplina esterna.
Confessione Belga, Articolo 36:
E riguardo a questo noi detestiamo … tutti coloro che vogliono … sovvertire la giustizia, … confondendo l’onestà che Dio ha posto tra gli uomini
L’ultimo di questi tre punti insegna:
1. Che l’uomo naturale può fare buone opere dinanzi a Dio nella sfera della vita civile. Questo è esattamente ciò che il sinodo intende quanto parla di bene civico.
2. Che l’uomo naturale è in grado di compiere tale bene civico in virtù di un’influenza di Dio su di lui che non ha niente a che fare con la rigenerazione. Il secondo ed il terzo punto, quindi, sono molto strettamente correlati. Entrambi parlano di un’operazione di Dio e del Suo Spirito sull’uomo naturale al di fuori dell’opera di rigenerazione. Il secondo punto dichiara che la natura dell’uomo è in qualche modo migliorata da questa operazione; il terzo che in virtù di questa operazione egli è messo in grado di fare del bene.
Ora, sarà auto-evidente che l’articolo 36 non parla affatto di una tale influenza di Dio sul peccatore per il quale sarebbe messo in grado di fare del bene civico, ma parla piuttosto del potere dei magistrati per il quale il peccato è frenato nel dominio della vita pubblica. Desideriamo enfatizzare ancora una volta che questo articolo procede esattamente da un’assunzione opposta a quella sulla quale il terzo punto è basato. Se la dichiarazione del sinodo fosse vera, ovvero che vi è un’influenza di grazia da parte di Dio che spinge l’uomo naturale a fare del bene, la polizia potrebbe anche essere abolita. Ma dal momento che la dichiarazione è falsa il potere della spada nella società si rivela dover essere perentorio.
Per quanto riguarda la citazione da Canoni III/IV:4, può essere osservato che essa è molto ingannevole, perchè contiene soltanto metà dell’articolo a cui fa riferimento, un fatto che è ancor più deplorevole perchè la seconda metà dello stesso Articolo rende molto chiaro che il sinodo, citandolo parzialmente, sta corrompendo il suo significato e lo sta mutando nell’opposto stesso di ciò che realmente insegna. Questa seconda metà dell’articolo dice: “ma tanto lontano è dal poter pervenire, con questa luce naturale, alla conoscenza salvifica di Dio, e dal potersi convertire a Lui, che non la usa rettamente nemmeno nelle cose naturali e civili, anzi di più, quale che essa effettivamente sia, la contamina totalmente in vari modi, e la detiene nell’ingiustizia, nel far la qual cosa è reso inescusabile davanti a Dio.” Da ciò è evidente:
1. Che questo Articolo di certo non insegna una certa influenza di Dio sull’uomo naturale per la quale egli è in qualche modo riformato e migliorato, ma meramente di luce naturale e doni naturali che sono rimasti in lui dopo la caduta. Il terzo punto del 1924 parla di qualcosa che l’uomo naturale riceve da Dio dopo la caduta; i Canoni meramente fanno riferimento a dei rimanenti ancora presenti dopo la caduta.
2. Che questo Articolo dei Canoni nega enfaticamente che l’uomo naturale è in grado di fare del bene con questi rimanenti di luce naturale e che, al contrario, dichiara che egli è incapace di usarla correttamente, e anzi la rende interamente contaminata perfino nelle cose naturali e civili! Il terzo punto, invece, insegna che l’uomo naturale può fare del bene nelle cose naturali e civili.
Noi concludiamo, quindi, che anche questo terzo punto non è un’interpretazione ma un’addizione alla Confessione. E il supplemento in questo caso è, brevemente: “l’uomo naturale è in grado di fare del bene nelle cose civili in virtù di un’influenza di Dio su di lui che non è rigenerativa.”
Le Christian Reformed Churches, allora, hanno formulato ed adottato tre supplementi alle tre formule di unità.
1. Il primo è che la predicazione del Vangelo è grazia generale o comune.
2. Il secondo insegna che vi è una generale operazione di grazia, di natura etica, da parte dello Spirito Santo, mediante la quale tutti gli uomini a prescindere dalla rigenerazione sono migliorati e riformati in misura tale che essi non erompono in ogni specie di peccato.
3. Il terzo dichiara che l’uomo naturale è in grado di fare del bene nella sfera delle cose civili e naturali mediante un’influenza di Dio su di lui che non è rigenerativa.
Asserire che questi punti sono in parte chiaramente espressi ed in parte chiaramente implicati nelle Confessioni è una falsa rappresentazione della cosa, perchè non sono interpretazioni ma aggiunte agli Standard. E, quindi, possiamo già ora tirare la conclusione che i tre punti, perfino a prescindere dalla questione ulteriore se siano in armonia o meno con la linea della fede e pensiero Riformato, sono ingannevoli, e, quindi, dichiarazioni pericolose.
Averli adottati senza cercare l’avviso ed il consenso delle chiese in generale, il Sinodo ha assunto una posizione di potere gerarchico ed autorità al di sopra degli Standard ed ha grandemente indebolito la forza delle Confessioni quale vincolo di unità che unisce insieme tutti coloro che professano ed amano la verità Riformata. Le tre formule di unità si propongono di essere una chiara espressione della fede delle chiese Riformate ed in quanto tali servono come base sulla quale quelle chiese possono unirsi e si uniscono in una denominazione. Ma non è questa base deprivata di ogni forza e stabilità se il Sinodo possiede l’autorità in qualsiasi momento di “interpretare” le Confessioni nella maniera più arbitraria, in modo che le interpretazioni (?) del Sinodo dichiarano dottrine che sono del tutto estranee ai contenuti e all’intenzione degli Standard? Se la più vasta assemblea delle chiese può trattare le Confessioni così arbitrariamente in modo che in qualsiasi momento possono imporre sulle chiese supplementi alle formule di unità, esse sono state debilitate e rese impotenti per poter ancora servire come una ferma base di unione. Allora un piccolo numero di teologi è nella posizione di distorcere le Confessioni come meglio crede, e le chiese sono poste ancora una volta sotto il giogo oppressivo e maledetto della gerarchia Cattolica Romana!
Questi tre punti, in quanto supposte interpretazioni delle Confessioni, sono ingannevoli, e quindi pericolosi, perchè ogni ufficiale ecclesiastico è obbligato a firmare questi punti per implicazione, anche se formalmente ed ufficialmente dichiara meramente conformità con gli Standard delle chiese. Perché, secondo la Formula di Sottoscrizione, egli si impegna meramente ad essere fedele alle tre formule di unità che sono menzionate per nome in quella formula. Onestà da parte delle Christian Reformed Churches richiederebbe che aggiungano anche alla Formula di Sottoscrizione in un tal modo che i tre punti del 1924 siano chiaramente menzionati in essa. Ora, tuttavia, sotto il pretesto che i tre punti non sono addizioni ma interpretazioni delle Confessioni, ogni ufficiale ecclesiastico, che sia cosciente del fatto o meno, dichiara se stesso in armonia con i tre punti ogni volta che egli esprime accordo con gli Standard delle chiese Riformate.
Mediante questa pratica di autoinganno, tuttavia, le Christian Reformed Churches non possono efficacemente relegare i tre punti nel reame dell’oblio. Né possono impedire loro di asserire la loro influenza sulla vita e la fede delle chiese. Perché, anche se sotto la copertura di essere supposte interpretazioni delle Confessioni, esse esistono tuttavia come veri e propri supplementi agli Standard. E, come vedremo nei capitoli successivi, esse sono anche distorsioni e corruzioni della fede Riformata. In segreto, e per questa ragione ancora più efficacemente, esse completeranno la loro opera di corruzione nelle chiese, fino a che sia troppo tardi per salvarle dall’annegare nelle acque Arminiane nelle quali sono state immerse nel 1924 dal loro stesso Sinodo. Esse sono state immerse mentre erano in uno stato di anestesia prodotta dall’applicazione di una tripla dose di morfina dottrinale, dalla quale, se Dio non lo impedisce, esse non si riprenderanno, fino a che sarà troppo tardi per nuotare verso la spiaggia salva della verità Riformata.
Infine, non sia mai dimenticato, nel 1924 dei fedeli ufficiali furono deposti dai loro uffici di ministro, anziano, e diacono nelle Christian Reformed Churches, perchè non poterono coscienziosamente firmare i tre punti e rifiutarono di dichiararsi in accordo con le dichiarazioni del 1924. Questi ufficiali avevano promesso di essere fedeli agli Standard Riformati, di insegnarli e difenderli contro ogni eresia. Ed essi sono ancora fedeli a queste Confessioni, come nessuno nelle Christian Reformed Churches, sia laico, ministro, o professore di teologia, è in grado di negare. Essi furono deposti, non a motivo della loro non conformità con la Scrittura e gli Standard Riformati, ma solamente perché si proposero di difendere gli Standard e mantenerli puri da elementi ad essi estranei e da influenze eretiche.
E così le Christian Reformed Churches stesse sono la causa di una seria breccia tra i fratelli e sono divenuti l’occasione per l’organizzazione di una denominazione separata sulla base delle tre formule di unità senza i supplementi del 1924.
I tre punti sono serviti come scusa per commettere iniquità contro gli ufficiali deposti. Ed esse hanno servito il loro proposito bene!
Ed essi serviranno molto efficacemente il loro ulteriore proposito di distruggere le chiese.
Perchè, come speriamo di vedere, esse sono una tripla breccia nella fondazione della verità Riformata!
CAPITOLO II: Soltanto per gli Eletti
Il fatto che una certa confessione di fede è aumentata non implica necessariamente che in tal modo sia stata corrotta.
E’ auto-evidente che nel corso del vero sviluppo spirituale di una chiesa si potrebbe sentire il bisogno, o potrebbe iniziare ad affermarsi il bisogno di allargare le confessioni. Un tale sviluppo ed espansione delle confessioni di una certa chiesa può aver luogo in intera armonia con i principi fondamentali enunciati nelle confessioni originali, anche se potrebbe essere un deciso miglioramento e purificazione di esse. Ciò è necessario, inoltre, per quanto si applica agli Standard Riformati. Quando le Christian Reformed Churches, quindi, nel 1924 hanno adottato tre dichiarazioni di dottrina che sono supposte essere mere interpretazioni delle Confessioni ma sono chiaramente supplementi ad esse come abbiamo mostrato nel primo capitolo di questo libretto, si presenta la possibilità che queste tre dichiarazioni, anche se non incorporate negli Standard originali, siano tuttavia in armonia, in perfetto accordo con i principi fondamentali della nostra Fede Riformata per come espressa nelle tre formule di unità. Se questa possibilità si provasse essere un fatto, avremmo comunque serie obiezioni contro il modo di procedere seguito dalle Christian Reformed Churches nell’adottare i tre punti. Perché essere avrebbero dovuto essere sottoposte al giudizio delle Chiese in generale prima di essere infine adottate come aventi lo stesso valore e forza degli Standard originali. Ma la nostra obiezione principale, ovvero che questi supplementi sono corruzioni delle Confessioni, sarebbe rimossa.
Quindi, è il proposito di questo presente capitolo di investigare se questa sia o meno una realtà per quanto riguardo il primo punto. Che il primo punto è un aumento, un’addizione agli Standard, lo abbiamo mostrato. La questione che ora fronteggiamo è se questo primo supplemento è in armonia con i principi degli Standard o se deve essere considerato una deviazione dalla linea della Fede Riformata.
Il supplemento adottato nel primo punto è: Dio è, nella predicazione del Vangelo, grazioso a tutti coloro che odono. O, più brevemente, la predicazione del vangelo è grazia comune.
Per essere del tutto corretti nel nostro giudizio, è appropriato ed espediente che prima di tutto consideriamo la questione: cosa accettarono le Christian Reformed Churches stesse come significato di questo primo supplemento?
Dobbiamo avvertire il lettore, tuttavia, che egli sarà grandemente deluso se si aspetta di ottenere una concisa e definita risposta a questa domanda dai leader delle chiese. Le loro risposte sono piuttosto ambigue ed evasive. Non dovrebbe essere così se questo punto fosse stato adottato da chiese che sono espressamente Arminiane. Allora sarebbe comparativamente facile ottenere una risposta alla nostra domanda. Ora, però, è diverso. Il primo punto ebbe origine in una denominazione che di professione è Riformata. Ed i leader di questa denominazione nel modo più enfatico negano che la dottrina di Arminio sia incorporata in essa. Essi enfatizzano che le Christian Reformed Churches credono fermamente nella dottrina della predestinazione, nella verità dell’elezione e riprovazione sovrana, dell’espiazione particolare di Cristo, e della grazia irresistibile ed efficace nell’applicazione delle benedizioni della salvezza agli eletti soltanto. Essi si dichiarano non colpevoli all’accusa di Arminianesimo. Essi reclamano perfino che non riescono a comprendere in che modo possiamo onestamente accusarli di questa eresia fintanto che sostengono la dottrina espressa nel primo punto. Il Prof. L. Berkhof scrive:
La controversia che fu portata avanti ebbe un effetto tale che, come accade di solito in tali situazioni, l’aria stessa divenne impregnata di varie false concezioni. Alcuni si danno da fare per diffondere la favola che i tre punti sono tre colpi sparati da cannoni Arminiani che hanno aperto una terribile breccia nelle nostre fortificazioni. La questione se essi facciano questo in buona fede non è qui oggetto di discussione. Ma fatto è che molte buone persone credono questa presentazione della cosa, mentre altri, confusi da essa, chiedono: cos’è verità? (De Drie Punten in Alle Deelen Gereformeerd, p. 3).
Egli scrive ancora:
La nostra Chiesa sta ferma come sempre nella convinzione che Cristo morì con l’intenzione di salvare soltanto gli eletti, anche se ella riconosce allo stesso tempo l’infinito valore del sacrificio di Cristo come sufficiente per i peccati del mondo intero. Chi suppone che il Sinodo qui cerca di introdurre di nascosto la dottrina Arminiana dell’espiazione universale diviene colpevole di false rappresentazioni (Idem, p. 8).
Viene perfino enfatizzato che il Sinodo ha chiaramente dichiarato nel primo punto che la grazia salvifica di Dio è mostrata soltanto agli eletti a vita eterna.
Non è tutto questo del tutto Riformato e libero dal colore dell’Arminianesimo?
Noi rispondiamo affermativamente. Ciò che il Prof. Berkhof scrive nella citazione sopra è indubbiamente Riformato. E lo stesso è vero del primo punto finchè dichiara che la grazia di Dio è conferita agli eletti soltanto.
Ma non ci facciamo ingannare da queste dichiarazioni di sana dottrina.
Perchè, fatto è, che il primo punto ci ricorda di del doppio volto di Janus. Janus era un idolo Romano, distinto dalla rimarchevole caratteristica di avere due facce e dal fatto che guardava in due direzioni opposte. E per questo aspetto vi è una marcata similarità tra il vecchio Janus ed il primo punto. Il secondo anche ha una doppia faccia e lancia sguardi desiderosi in direzioni opposte. E lo stesso può essere asserito dei tentativi di spiegare il primo punto che sono offerti dai leader delle Christian Reformed Churches. Solo che, mentre le due facce dell’antico pagano Janus si somigliavano perfettamente l’una all’altra, il Janus del 1924 ha la distinzione di mostrare due facce totalmente differenti. Una delle sue facce ricorda Agostino, Calvino, Gomarus, ma l’altra mostra le inconfondibili caratteristiche di Pelagio, Arminio, Episcopius. Ed i problemi iniziano quando si facesse richiesta a questo oracolo dal doppio volto quale sia l’esatto significato del primo punto. Perché poi questo moderno Janus inizia a rivoltarsi, mostrando in modo alternato prima una faccia e poi l’altra, fino a che difficilmente si riesce a capire se si sta avendo a che fare con Calvino o Arminio.
Le citazioni sopra dal libretto del Prof. Berkhof sui tre punti vi mostrano soltanto una sola delle face, la faccia Riformata di questo Janus, e se vi rivolgete a lui quando egli volta questa faccia verso di voi, egli dice: la grazia salvifica di Dio è soltanto per gli eletti a vita eterna ed è conferita a loro soltanto!
Ma ora si confronti quanto segue dallo stesso libretto: “La generale e benintesa offerta di salvezza è un’evidenza del favore di Dio verso i peccatori, è una benedizione del Signore su di loro” (p. 21). A meno che fraintendiamo il professore ed immaginiamo che egli si riferisce soltanto ai peccatori eletti, egli aggiunge nello stesso paragrafo: “Le Scritture ci insegnano senza dubbio che dobbiamo considerare l’offerta della salvezza una benedizione temporale anche per coloro che non danno ascolto all’invito,” cioè, quindi, per coloro che sono designati dalla Parola di Dio come reprobi empi.
Per provare questa asserzione il professore continua nella stessa pagina del suo libretto: “Che Dio chiami gli empi a ravvedimento è presentato nelle Sacre Scritture come una prova del Suo piacere nella loro salvezza.” Ovviamente, fintanto che non si richieda alcun’ulteriore definizione di “empi,” quest’affermazione potrebbe andare. Nessuno, di certo, nega che Dio ha piacere nella salvezza di uomini empi. Ma appena si generalizza e si dice che Dio ha piacere nella salvezza di tutti gli empi, che da parte Sua vuole salvare tutti i peccatori, ci si diparte dalla chiara linea Riformata di verità e di pensiero. Io sono fiducioso che nessun Riformato negherà la verità di questa affermazione. E tuttavia, il Prof. Berkhof si diparte esattamente in questo modo dalla verità Riformata. Si legga giusto un po’ più avanti:
Nella profezia di Ezechiele possiamo ascoltare la voce del Signore in parole che portano testimonianza alla Sua misericordia: “ho Io forse alcun piacere che l’empio perisca? Dice il Signore Dio, e non che egli ritorni dalle sue vie e viva?” Ed ancora: “Perché io non ho piacere nella morte di colui che muore (cioè, di colui che perisce nei suoi peccati), dice il Signore Dio, quindi volgetevi e vivete.” Questi passaggi ci dicono nel modo più chiaro possibile, che Dio non ha piacere nella morte dell’empio; si noti, che Egli non dice: “del peccatore eletto” ma “del peccatore” in modo del tutto generale; e la tenera chiamata che odiamo qui testimonia del Suo grande amore per i peccatori e del Suo piacere nella salvezza degli empi (Idem, p. 21).
Ora, il professore dichiara in un’altra parte del suo libretto che deve essere evidente a chiunque sia in grado di leggere che il primo punto non è colorato di Arminianesimo. Ma noi aggiungiamo che deve essere altresì chiaro a chiunque sappia leggere che il Prof. Berkhof nella citazione sopra insegna che l’amore di Dio per i peccatori è un amore per tutti i peccatori, che da parte Sua Egli è pronto a conferire la grazia di Cristo a tutti i peccatori. Egli lo enfatizza perfino quando aggiunge che il Signore nella profezia di Ezechiele non sta parlando di peccatori eletti ma di peccatori in modo del tutto generale. E secondo la presentazione del professore questo amore e desiderio generale di Dio di salvare i peccatori è dichiarato nel vangelo. Se qualsiasi altro significato può essere estratto dalle parole del Prof. Berkhof sarò contento di ricevere istruzione. L’intero argomento del professore si propone di mostrare che la grazia di Dio, l’amore di Dio per i peccatori, il piacere che Egli trae nel salvarli, non si applica agli eletti soltanto, ma a tutti gli uomini! Se questo non è il significato delle sue parole nelle citazioni sopra, non riesco a vedere che senso possano mai avere. E per quanto indignato il professore possa mostrarsi quando lo accusiamo di Arminianesimo, egli prova di certo con le sue stesse parole che l’accusa è ben fondata.
Altri passaggi nello stesso libretto sono del tutto in armonia con la sua difesa di un amore generale di Dio per i peccatori ed il Suo piacere di salvarli tutti. Così egli scrive a pp. 27-28, commentando Romani 2:4: “La spiegazione di ciò (cioè, delle ricchezze della bontà di Dio—HH) deve essere trovata nel proposito che Dio aveva in vista con questa rivelazione del Suo amore. E qual era questo proposito? Era di gettare i Giudei empi ancora più profondamente in perdizione? No, ma di condurli a ravvedimento … Ma nel caso dei Giudei il risultato non corrisponde all’intenzione. Essi hanno indurito se stessi contro questa rivelazione della bontà di Dio.”
Io confesso, se questo non è Arminianesimo e Pelagianesimo, allora non so leggere, nè capisco in opposizione a quale falsa dottrina i nostri padre a Dordrecht hanno formulato i Canoni. Perché nell’ultimo passaggio citato da questo libretto il professore insegna che Dio vuole condurre gli uomini a ravvedimento, che gli uomini non vogliono ed induriscono se stessi, e che in questo caso il proposito di Dio fallisce, il risultato non corrisponde all’intenzione di Dio! Se questa non è una difesa dell’errore della grazia resistibile, il linguaggio deve essere estremamente elusivo e ingannevole. Ma questa presentazione della cosa è del tutto in armonia con la veduta del professore riguardante l’amore generale di Dio verso gli empi.
La stessa veduta è espressa ancora una volta in connessione alla spiegazione da parte del professore del secondo punto alle pagine 42-43 del suo libretto. Egli sta interpretando Genesi 6:3: “Lo Spirito Santo resistette all’empietà e perversità di quelle generazioni che vissero prima del diluvio. Egli cercò di tenere a freno la loro empietà e di condurli a ravvedimento … Ma lo Spirito lottò invano, il peccato aumentò rapidamente.” Sono fiducioso che se prima del 1924 avessi dato voce a tali opinioni da un pulpito Cristiano Riformato sotto gli auspici di un buon concistoro Riformato, quest’ultimo di certo avrebbe rifiutato di stringermi la mano in segno di approvazione.
Possiamo, quindi, considerare stabilito che il primo punto insegna che nella predicazione del Vangelo Dio mostra il Suo amore generale a tutti gli empi, il Suo piacere nella loro vita, e il Suo essere disposto a salvarli tutti.
Inoltre, secondo il Prof. Berkhof, lo stesso punto si propone di insegnare che nella predicazione del Vangelo vi è una benedizione temporale per tutti gli uomini, anche per quelli che non sono salvati. Egli indica gli esempi di Achab che si ravvide e la cui punizione fu posposta come risultato della predicazione di Elia, e quello di Ninive che si ravvide alla predicazione di Giona e fu temporalmente salvata dalla distruzione. Questo è un punto minore e possiamo congedarlo con poche osservazioni. Prima di tutto, può essere rimarcato che questa presentazione dell
’influenza del vangelo sui reprobi empi è certamente in armonia con le nostre Confessioni. Il Catechismo di Heidelberg insegna che per natura noi aumentiamo giornalmente il nostro debito, che Dio è terribilmente dispiaciuto dei nostri peccati, originale come attuali, e che Egli li punirà nel Suo giusto giudizio temporalmente ed eternamente. Né questa contenzione è in armonia con l’insegnamento della Parola di Dio. Le benedizioni temporali sotto la predicazione del vangelo per gli empi reprobi? Posso ricordare al professore della terribile maledizione con cui fu minacciato il popolo di Israele se si rifiutavano di camminare nella via di Jehovah? Leggerà, per esempio, Deuteronomio 28? E non furono queste maledizioni letteralmente messe in atto nei confronti della nazione empia?
Il professore può rimarcare, forse, che con queste maledizioni fu minacciato il popolo di Israele sotto la legge, e che esse avevano un significato tipico. E lo ammetto. Ma non sono gli esempi del professore presi dall’Antico Testamento? Vero, il giudizio, il giudizio finale, fu posposto nel caso di Achab. Ma si noti, prego: 1) Che non fu sotto la predicazione del vangelo, ma sotto l’annuncio di un giudizio terribilissimo. 2) Che non fu un posponimento di giudizio per uno che si rifiutava del tutto di ascoltare la Parola di Dio, ma per Achab, fintanto che questi tremava ancora per l’ira terribile di Dio. 3) Che tutto ciò che ebbe luogo nel suo caso fu, non che fu benedetto, ma che l’esecuzione finale del giudizio fu trasferita alla prossima generazione. La casa di Achab non fu distrutta nel suo tempo. E dunque il posponimento fu interamente in armonia con la giustizia di Dio. Il giudizio finale non può venire finchè il peccatore ha mostrato di essere completamente duro. Achab teme ancora e trema sotto l’annuncio del giudizio di Dio. Egli assume un’apparenza di ravvedimento. Quindi, affinchè Dio possa apparire perfettamente giusto e retto quando Egli giudica, questo giudizio finale è posposto fino alla prossima generazione. 4) Che Achab non sfuggì affatto personalmente alla Sua punizione, perché morì e i cani leccarono il suo sangue. 5) Infine, che tutti tali esempi mostrano chiaramente in che modo disperato i padri dei tre punti hanno bisogno di qualche reale prova scritturale per le loro contenzioni.
Riguardo al caso di Ninive, osservo che non vi è certamente niente nella Parola di Dio che sostenga la veduta che tutti gli uomini di quella città furono realmente convertiti, o che contraddica che lo furono soltanto gli eletti che Dio per il Suo proposito profetico aveva nella città a quel tempo. Al contrario, ogni cosa è in favore di una tale interpretazione di ciò che accadde in Ninive. 1) Le parole della Scrittura che ci descrivono la conversione dei Niniviti (Giona 3:5-9). 2) Il fatto che il Signore si riferisce ripetutamente al segno di Giona il profeta, un segno della morte e seppellimento di Gesù, e del Suo lasciare la nazione di Israele per volgersi al mondo col vangelo della salvezza. Ninive è, evidentemente, un tipo della vecchia dispensazione del mondo da cui Cristo chiama i Suoi eletti, e raduna le Sue “altre pecore, che non sono di questo ovile.” 3) Il fatto che il Salvatore, in parole che non lasciano dubbi quanto al loro significato, asserisce che gli uomini di Ninive si ravvidero alla predicazione di Giona, mentre quelli della Sua generazione si rifiutarono di ravvedersi alla predicazione di uno molto più grande di Giona. Una sana interpretazione di certo richiederebbe che noi prendiamo la parola ravvedimento ogni volta nello stesso senso. Così noi affermeremmo che, al tempo di Giona, il Signore, per il Suo sovrano proposito, principalmente quello di creare il segno profetico di Giona il profeta, aveva alcuni dei Suoi eletti nella città di Ninive, che questi si ravvidero attraverso la predicazione di Giona, che per un tempo la città fu risparmiata a loro motivo, mentre più tardi, non molto dopo, fu di fatto distrutta.
Queste brevi osservazioni possono essere sufficienti per mettere da parte la questione minore delle benedizioni temporali come risultato della predicazione del vangelo. Di importo molto maggiore è l’asserzione del Professor Berkhof, come spiegazione del primo punto, che attraverso la predicazione del vangelo Dio cerca seriamente la salvezza di tutti, non soltanto degli eletti, e che così Egli mostra a loro tutti grazia. E questo è il cuore della questione. E’ un tale insegnamento in armonia con la Scrittura e con le Confessioni delle chiese Riformate? Consideriamo questa questione da due differenti aspetti:
1. E’ in conformità con la Scrittura e le Confessioni insegnare che in Dio vi è il grazioso proposito di salvare tutti quelli che odono il Vangelo?
2. Insegnano la Scrittura e le Confessioni che una tale operazione di grazia da parte di Dio ricerca la salvezza di tutti e procede da Lui attraverso la predicazione del vangelo a tutti quelli che odono?
Dovrebbe essere superfluo per ogni credente Riformato provargli che per quanto riguarda la prima questione la Scrittura e le Confessioni insegnano esattamente l’opposto, ovvero che è il proposito grazioso di Dio si salvare gli eletti soltanto, che è anche il Suo giusto e sovrano proposito di lasciare gli altri nella loro miseria a dannazione, e che coloro che offrono una presentazione differente di questo punto cercano di dare a bere al popolo il veleno distruttivo degli errori Pelagiani. Per sostanziare queste affermazioni rimandiamo il lettore ai seguenti passaggi dalle Confessioni:
Canoni II:8:
Questo infatti è stato il liberissimo consiglio, e la graziosissima volontà ed intenzione di Dio Padre: che l’efficacia vivificante e salvifica della morte preziosissima del Figlio Suo si estendesse a tutti gli eletti, per dare ad essi soli la fede che giustifica, e tramite essa per attrarli irresistibilmente alla salvezza: cioè, Dio ha voluto che Cristo, mediante il sangue della croce (con il quale ha confermato il nuovo patto) redimesse efficacemente da ogni popolo, tribù, nazione e lingua, tutti coloro e solo coloro che ab aeterno sono stati eletti a salvezza, e che gli sono stati dati dal Padre, che donasse loro fede (che, come anche gli altri doni salvifici dello Spirito Santo, fu acquistata per essi mediante la Sua morte), che li mondasse col sangue Suo da ogni peccato, tanto originale che attuale, commesso tanto dopo che prima della fede, per custodirli fedelmente fino alla fine, e farli infine comparire gloriosi davanti a Sè, senza alcuna macchia né difetto.
Il punto qui è che, secondo questo Articolo, le Confessioni insegnano molto chiaramente che Dio ha piacere nella salvezza degli eletti soltanto, che Egli Si propone di salvare loro e loro soltanto, e che Egli realizza questa salvezza oggettivamente e soggettivamente per loro ed in loro soltanto. Se il primo punto del 1924, quindi, deve insegnare che Dio sta seriamente cercando la salvezza di tutti e che Egli rivela questa grazia generale nella predicazione del vangelo a tutti quelli che odono, deve essere evidente che si trova in diretto conflitto con questa parte delle Confessioni.
Inoltre, io richiamo l’attenzione del lettore a Canoni I:15:
Del resto, la Sacra Scrittura tanto più massimamente ci illustra e presenta questa eterna e gratuita grazia della nostra elezione quando inoltre testimonia che non tutti gli uomini sono eletti, ma che certuni sono non-eletti, o passati oltre nell’eterna elezione di Dio, i quali Dio, secondo il Suo liberissimo, giustissimo, irreprensibile, ed immutabile beneplacito, ha decretato di lasciare nella comune miseria in cui si sono precipitati per colpa propria, e di non dare loro la grazia della fede salvifica e della conversione, ma, avendoli abbandonati nelle loro vie, e sotto giusto giudizio, infine di condannarli e di punirli eternamente non soltanto a motivo della loro infedeltà, ma anche di tutti gli altri peccati, per la dichiarazione della Sua giustizia. E questo è il decreto di riprovazione, il quale non fa in alcun modo Dio autore del peccato (pensare la qual cosa è blasfemo) ma lo pone giudice e vendicatore tremendo, irreprensibile, e giusto.
Il lettore ben informato noterà che nella descrizione della riprovazione summenzionata è sostenuta la veduta infralapsariana. Tuttavia, qui è insegnato molto chiaramente che vi è in Dio anche il giusto e sovrano proposito, per la manifestazione della Sua giustizia, di lasciare altri nella loro miseria, di non salvarli, ma di condannarli per sempre e punirli per i loro peccati. Questa è una diretta condanna dell’insegnamento del primo punto per come spiegato dal Prof. Berkhof, perché quel punto è interpretato col significato che vi è in Dio il proposito grazioso di salvare tutti coloro che odono la predicazione del vangelo, e non soltanto gli eletti, e che questo grazioso proposito di Dio è chiaramente dichiarato nel vangelo.
Canoni II:B:6: rigetta gli errori di:
Coloro che usurpano della distinzione fra l’acquisizione e l’applicazione, per istillare agli incauti ed inesperti questa opinione: Dio, per quanto attiene a Sè, ha voluto conferire a tutti gli uomini equamente i benefici che sono stati acquisiti mediante la morte di Cristo; ma quanto al fatto che alcuni piuttosto che altri sono fatti partecipi della remissione dei peccati, e della vita eterna, questa discriminazione dipende dal libero arbitrio di loro, che si applica alla grazia che è indifferentemente offerta, e non dal dono particolare di misericordia, che agisce efficacemente in essi, affinché in confronto ad altri applichino quella grazia a sé stessi. Codesti infatti, mentre appaiono proporre questa distinzione con sano senno, cercano di dare a bere al popolo il pernicioso veleno del Pelagianismo.
Che il lettore giudichi fino a che punto il Prof. Berkhof deve dichiararsi colpevole dell’accusa di instillare nelle menti degli incauti ed inesperti il pernicioso veleno degli errori Pelagiani con la pretesa di fare una certa distinzione in un senso sano. Io ammetto liberamente che egli non insegna esplicitamente che la differenza tra meritare ed appropriarsi deve essere spiegata in base al libero arbitrio dell’uomo, ma io sostengo di certo che egli materialmente insegna esattamente questo quando scrive che era il proposito di Dio di salvare gli empi Giudei ma che nel loro caso il risultato non corrispose al proposito di Dio, e quando egli asserisce che era il proposito dello Spirito Santo di condurre gli uomini alla conversione ma che i tentativi dello Spirito furono frustrati. Ma dovrebbe essere chiaro dalle nostre citazioni delle Confessioni che il primo punto, per come spiegato dal Prof. Berkhof, è condannato. Secondo gli Standard non possiamo presentare il soggetto della salvezza in un modo tale da lasciare l’impressione che Dio si propone graziosamente di salvare tutti coloro che odono. Tuttavia, questo è esattamente l’insegnamento del primo punto secondo l’interpretazione di Berkhof.
La Confessione, quindi, condanna inequivocabilmente la concezione del Prof. Berkhof come Pelagiana e di certo non è in sintonia con la veduta che Dio rivela nella predicazione del Vangelo il Suo grazioso proposito di salvare tutti gli uditori.
E la Scrittura non è meno esplicita nella sua condanna di questo insegnamento.
Come prova di quest’ultima affermazione potremmo citare la Parola di Dio quasi a caso. Ci limiteremo, tuttavia, a pochi passaggi che negano chiaramente che la predicazione del vangelo, secondo l’intenzione di Dio, è grazia per tutti quelli che odono.
Prima di tutto farò riferimento ad Isaia 6:9-13: “Allora egli disse: «Va’ e di’ a questo popolo: Ascoltate pure, ma senza comprendere, guardate pure, ma senza discernere! Rendi insensibile il cuore di questo popolo, indurisci i suoi orecchi e chiudi i suoi occhi, affinché non veda con i suoi occhi, né oda con i suoi orecchi né intenda con il suo cuore, e così si converta e sia guarito». Io dissi: «Fino a quando, Signore?». Egli rispose: «Finché le città siano devastate e senza abitanti, le case siano senza alcun uomo e il paese sia devastato e desolato, e finché Jehovah abbia allontanato la gente e vi sia un grande abbandono in mezzo al paese. Rimarrà ancora un decimo della popolazione, ma a sua volta sarà distrutto; come però al terebinto e alla quercia, quando sono abbattuti rimane il ceppo, così una progenie santa sarà il suo ceppo».
Questo passaggio può rimanere senza commento, perchè è perfettamente chiaro. Il Prof. Berkhof la considera una dottrina terribile che il vangelo sia proclamato meramente come giudizio e maledizione agli empi reprobi. Ed il primo punto insegna che la predicazione del vangelo è sempre grazia secondo l’intenzione di Dio. Ma il passaggio citato dalla profezia di Isaia enfatizza, tuttavia, che il vangelo è in realtà predicato per essere una maledizione ed un indurimento del cuore dei reprobi, e questo secondo il proposito di Dio chiaramente espresso. Isaia è chiamato a predicare la Parola di Dio agli uomini della sua generazione, perché i loro occhi possano essere accecati, le loro orecchie possano essere rese pesanti, i loro cuori diventino grassi, e non si volgano e non siano guariti. La pula deve divenire del tutto matura alla reiezione attraverso la predicazione stessa del profeta, così che il grano possa essere salvato. La cattività del popolo e la distruzione del paese e della città è la fine della predicazione di Isaia, così che egli possa proclamare la salvezza e la ristorazione e la gloria al rimanente secondo l’elezione della grazia.
Così anche il Salvatore istruisce i Suoi discepoli secondo Marco 4:11-12: “Ed egli disse loro: «A voi è dato di conoscere il mistero del regno di Dio; ma a coloro che sono di fuori tutte queste cose si propongono in parabole, affinché: “Vedendo, vedano ma non intendano, udendo, odano ma non comprendano, che talora non si convertano e i peccati non siano loro perdonati».” Nessuno negherà che le parabole appartengono alla predicazione del vangelo. Era forse il grazioso proposito di Dio mediante queste parabole di salvare tutti? Avanzò Egli forse, in queste parabole, il serio proposito di portare tutti a ravvedimento? Il contrario stesso è vero. Il Signore chiaramente insegna che tutte queste cose sono fatte in parabole per giudizio e condanna per coloro che sono di fuori.
E queste dichiarazioni molto esplicite della Parola di Dio non sono contraddette dai testi a cui il Sinodo fa appello in supporto dell’insegnamento del primo punto. I passaggi della Scrittura che, secondo il Sinodo, sostanziano questo insegnamento del primo punto, sono Ezechiele 33:11 e 18:23. I testi sono analoghi in significato e sono ben noti, così che può essere considerato superfluo citarli qui in pieno. E’ un fatto palese, tuttavia, che questi passaggi non parlano affatto della predicazione del vangelo, come invece è per i testi citati sopra. In Ezechiele 33:11 e 18:23 troviamo un giuramento del Signore Dio. Jehovah giura per Se Stesso che Egli non Si compiace, o non ha piacere, nella morte dell’empio, ma che Egli ha piacere nel fatto che gli empi si volgano e vivano. Vi è in questi passaggi di certo nessuna offerta di salvezza, né essi dichiarano qual è il proposito di Dio nel mandare la predicazione del vangelo ad eletti e reprobi. Dio semplicemente qui parla e giura per Se Stesso. E di certo la Sua parola è assolutamente certa ed immutabile. Ed i contenuti di questo giuramento di Dio sono, negativamente, che Egli non ha piacere nella morte dell’empio, e, positivamente, che Egli ha piacere nella conversione e vita dell’empio. E’ davvero innecessario aggiungere qualcos’altro.
La questione (anche se potrebbe essere risposta perfino dal contesto) se il Signore qui fa riferimento ad eletti o agli empi reprobi, può essere lasciata fuori dalla nostra discussione del tutto. Dio ha piacere nella conversione e nella vita. Nessuno nega questo. Egli non ha piacere nell’impenitenza e nella morte. Al contrario, Egli è terribilmente dispiaciuto con lo stato impenitente dell’empio. Nessuno obietta a questo. Nello stesso senso in cui Dio non ha piacere nell’impenitenza dell’empio, Egli non ha piacere nella sua morte. La conversione e la vita sono inseparabilmente connesse. Che sia il proposito di Dio attraverso la predicazione del vangelo di conferire la grazia della conversione a tutti quelli che odono è di certo non implicato nei passaggi. E se il Sinodo immagina che vi sia una generale offerta di grazia in questi passaggi, si sbaglia di certo, perché non c’è affatto alcuna offerta.
La nostra prima domanda, quindi, se attraverso la predicazione del Vangelo Dio riveli un grazioso proposito di salvare tutti coloro che odono, può essere considerata stabilita. Da questo punto di vista la prima dichiarazione del Sinodo del 1924 è in conflitto con la Scrittura e con le Confessioni. Il primo supplemento non è in armonia con i principi fondamentali degli Standard Riformati.
Ma Dobbiamo ancora considerare la seconda questione: La Scrittura e le Confessioni insegnano che attraverso la predicazione del Vangelo procede una graziosa operazione di Dio su tutti quelli che odono la Parola?
Anche questa domanda è importante in connessione al soggetto che stiamo discutendo. E’ stato sempre considerato Riformato sostenere che i mezzi di grazia non hanno potere in e da se stessi. Essi sono mezzi di grazia soltanto attraverso un’operazione dello Spirito Santo sui cuori di coloro che li ricevono. Ciò è vero sia della Parola che dei Sacramenti. Senza la graziosa operazione dello Spirito la Parola non è efficace a salvezza. Nessuna grazia e nessuna benedizione possono procedere mai dalla Parola in quanto tale. Alla luce di questa verità sarà evidente che la questione che stiamo ora considerando è strettamente correlata al primo punto. Esso dichiara che Dio, nella predicazione generale del vangelo, o offerta di salvezza, è grazioso verso tutti quelli che odono. La questione, quindi, si presenta: ma se l’operazione della predicazione sui cuori degli uditori dipende dalla graziosa operazione dello Spirito di Cristo, vi è allora, seconda la Scrittura e le Confessioni, una tale operazione di grazia concomitante alla predicazione del vangelo sui cuori di tutti gli uditori? Se le Confessioni negano questo e le Scritture dichiarano l’opposto stesso, non è allora evidente che il primo punto deve essere considerato un prodotto delle vane immaginazioni di meri uomini?
Le Confessioni insegnano come segue:
Canoni III/IV:11:
Inoltre, quando Dio esegue questo Suo beneplacito negli eletti, o opera in loro la vera conversione, non soltanto si cura a che l’Evangelo sia loro predicato esternamente, e illumina potentemente la loro mente mediante lo Spirito Santo, affinché capiscano e discernino rettamente le cose che sono dello Spirito di Dio, ma per l’efficacia di questo Stesso Spirito rigenerante penetra fino nell’intimo dell’uomo, apre il cuore chiuso, ammorbidisce quello duro, circoncide quello prepuziato, infonde nuove qualità nella volontà, e la rende da morta viva, da cattiva buona, da nolente volente, da refrattaria accondiscendente, e la aziona e fortifica, affinché, come un buon albero, possa produrre un frutto di buone azioni.
Il punto di questo passaggio è che, quando è il beneplacito di Dio di conferire grazia al peccatore e mostragli la Sua benevolenza, Egli non soltanto fa sì che il Vangelo sia predicato esternamente, ma Egli realizza di fatto la grazia che Egli vuole conferire nei cuori degli uomini e così efficacemente li porta alla salvezza sotto la predicazione del Vangelo. E questo Egli lo realizza soltanto negli eletti.
Questo è perfino enfatizzato quando i Canoni rigettano gli errori di:
Coloro che insegnano: “L’uomo corrotto e animale può servirsi della grazia comune (la qual cosa per loro è la luce di natura), o i doni rimasti dopo la caduta, in modo tanto retto, che con codesto buon uso può gradualmente ottenere una maggiore grazia, cioè quella evangelica, o salvifica, e la stessa salvezza. Ed in questo modo Dio per parte Sua si mostra pronto a rivelare Cristo a tutti, dal momento che amministra a tutti sufficientemente ed efficacemente i mezzi necessari alla rivelazione di Cristo, alla fede, e al ravvedimento.” Che questo sia falso, infatti, oltre all’esperienza di tutti i tempi, la Scrittura ne testimonia. Salmo 147:19-20: Egli fa conoscere la sua parola a Giacobbe, i suoi statuti e i suoi decreti a Israele. Egli non ha fatto così con tutte le nazioni, e i suoi decreti, esse non li conoscono. Atti 14:16: Nelle età passate Dio ha lasciato camminare nelle loro vie tutte le nazioni. Atti 16:6-7: Essendo loro vietato [a Paolo con i suoi] dallo Spirito Santo d’annunziare la Parola in Asia. E: Vennero in Misia, e tentavano d’andare in Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro (Canoni III/IV:B:5).
Il cuore di questo passaggio è che il Signore non è pronto da parte Sua di rivelare Cristo a tutti. Senza una tale operazione rivelatoria, graziosa, di Dio, l’uomo naturale non può mai ottenere la salvezza, perché egli per natura è tenebre, e sebbene egli giunga a contatto con la predicazione del vangelo, non può ricevere la grazia di Dio mediante la sua luce e i suoi doni naturali. La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non la comprendono. Ma una tale operazione rivelatoria di Dio non procede insieme al vangelo a tutti quelli che odono, ma soltanto agli eletti a vita eterna. Da questa operazione, tuttavia, dipende tutto. In che modo, allora, il primo punto può sostenere che la predicazione del vangelo è grazia a tutti gli uditori e che Dio Si propone di conferire grazia ad ognuno di coloro che giungono a contatto col vangelo? E’ evidente, da qualsiasi punto di vista uno possa considerare questo primo delle tre dichiarazioni del Sinodo, che si trova in diretto conflitto con gli Standard delle chiese Riformate. Non può mai divenire una parte integrale di esse.
La Parola di Dio è molto più enfatica ed esplicita su questo punto. Perché essa parla non soltanto di un’operazione di Dio attraverso la predicazione del vangelo che sia salvifica, illuminante, rivelatoria, convertente, e vivificante, sui cuori degli uomini, ma, non meno enfaticamente, di un’operazione che nasconde e indurisce, da parte della giusta ira di Dio ed attraverso la predicazione dello stesso vangelo. Questo può essere provato con molti testi. Il Salvatore Stesso rende grazie al Padre che Lui, secondo il Suo beneplacito, ha nascosto queste cose dai savi e dai prudenti e le ha rivelato ai piccoli. Ed il contesto mostra molto chiaramente che Egli Si riferisce al frutto vero e proprio della Sua predicazione e delle Sue fatiche fino a quel momento, in particolare nelle città di Corazin, Betsaida, e Capernaum. Egli aveva predicato a loro il vangelo del Regno. Il risultato era stato che i savi e i prudenti lo avevano rigettato, e i piccoli lo avevano ricevuto con gioia. E come spiega il Signore questo doppio risultato della Sua predicazione? Dice Egli forse che Dio era stato grazioso verso tutti attraverso la Sua predicazione, ma che i savi hanno rigettato questo? Al contrario, il Salvatore ascende alle altezze del beneplacito di Dio, e spiega che il Suo beneplacito fu realizzato da Dio in coloro che non credettero, come in quelli che credettero. Dio aveva nascosto queste cose ai savi e ai prudenti, anche se il vangelo era stato predicato a loro come anche agli altri (Matteo 11:25-26). Giovanni 12:39-40 insegna esplicitamente che gli empi Giudei non potevano credere, perché Dio aveva accecato i loro occhi ed indurito i loro cuori, così che non fossero convertiti e guariti. Romani 9:18 asserisce enfaticamente che Dio è misericordioso con chi Egli vuole e anche che Egli indurisce chi Egli vuole. E non insegna anche chiaramente la Parola di Dio che sotto il ministero della Parola Dio dà uno spirito di torpore, occhi così che non vedano, ed orecchie così che non odano (Romani 11:7-10)? L’apostolo si gloria che i ministri del vangelo sono in ogni tempo un dolce sapore di Cristo a Dio, sia in coloro che sono salvati che in coloro che periscono, siano che sono un sapore di vita a vita o un sapore di morte a morte (II Corinzi 2:14-16).
Ma non abbiamo bisogno di citare altro. La Scrittura è piena di testimonianze simili. La prima è più che sufficiente per mostrare che il primo punto è un errore e che di certo non è una verità evidente che esso sia una mera interpretazione delle Confessioni. Esso non è insegnato né esplicitamente negli Standard delle chiese Riformate, né implicato. Né i suoi contenuti possono essere adattati nel messaggio più generale delle Confessioni e divenire una parte integrale di esse. Al contrario, esso è un diniego della verità che è sempre stata mantenuta dalle chiese Riformate ed incorporata nei loro Standard, e cioè che la grazia di Dio in ed attraverso la predicazione del vangelo è per gli eletti e per loro soltanto.
In conclusione richiamiamo alle nostre menti la linea Scritturale e Riformata della verità. Dio, con misericordia sovrana, scelse il Suo popolo prima della fondazione del mondo, a gloria eterna. Al loro posto e per conto loro Egli mandò il Suo unigenito Figlio, chè Egli potesse soffrire e morire per loro in modo vicario e così riconciliarli a Dio. Questi eletti divengono partecipi della salvezza meritata da Cristo, e ciò solo attraverso la grazia efficace. Costoro Egli li benedice e preserva mediante la potenza della Sua grazia, in modo che essi perseverano fino alla fine e nessuno può prendere la loro corona. D’altro canto, Dio rigettò altri perché divenissero vasi d’ira preparati alla distruzione. Alcuni di questi Egli li porta sotto la predicazione del vangelo, sì, perfino all’interno dei confini dello sviluppo storico del Suo patto, non per essere grazioso con loro, ma così che in ed attraverso di essi il peccato possa divenire manifesto in tutto il suo orrore e che Dio possa essere giusto quando giudica. Essi saranno battuti con doppie percosse e sarebbe stato meglio per loro se non avessero mai conosciuto la via della pace e della giustizia (II Pietro 2:20-21).
Il primo punto del 1924 è un supplemento alle Confessioni. Esso si trova in flagrante contraddizione ai principi fondamentali della fede Riformata. Ed è ben adattato per instillare nelle menti degli incauti e degli imprudenti il pernicioso veleno del Pelagianismo.
E, anche se i leader delle Chiese hanno il maggior peccato, tutti i membri delle Christian Reformed Churches sono responsabili di questi tre punti ed in dovere di rigettarli come ripugnanti alla sana dottrina!
CAPITOLO III: Continuo Sviluppo del Peccato
In questo capitolo è nostro proposito esaminare il secondo punto per determinare se possa essere considerato in conformità alla Scrittura e le Confessioni Riformate o meno.
Nel primo capitolo di questo booklet abbiamo chiaramente provato che è insostenibile la contenzione secondo la quale il secondo punto deve essere ricevuto come una mera interpretazione delle Confessioni, come sostengono i leader delle Christian Reformed Churches, e abbiamo dimostrato che, al contrario, anche questo secondo punto è un’addizione, un supplemento alla Confessione. Ed abbiamo formulato l’addizione come segue: “vi è un’operazione generale di grazia, di natura etica, da parte dello Spirito Santo, per la quale tutti gli uomini a prescindere dalla rigenerazione sono migliorati e riformati in una misura tale che non erompono in ogni sorta di peccato.” In nessuna parte delle Confessioni Riformate troviamo una presentazione della verità per come essa è espressa in questo supplemento. Il Sinodo, certo, si è appellato agli Articoli 13 e 36 della Confessione Belga, ma ha fatto questo con niente più che una mera apparenza di giustizia.
Tuttavia, non è sufficiente provare che questo secondo punto non è un’interpretazione delle Confessioni.
Ciò perché dei supplementi, come abbiamo affermato prima, potrebbero essere in armonia con le Confessioni e, quindi, Riformati. Le Confessioni Riformate possono essere espanse in modo tale che esse non sono corrotte in niente. E se dovesse apparire che il secondo punto, sebbene non sia né espresso né implicato nelle Confessioni, tuttavia è Riformato nei suoi contenuti, non dovremmo avere obiezioni nell’accettare la sua dichiarazione di verità, anche se protesteremmo, tuttavia, contro il modo in cui esso è stato adottato ed imposto sulle Chiese.
Ora confrontiamo la questione, per quanto riguardo questo secondo punto, se questo supplemento sia in armonia con la Parola di Dio e gli Standard Riformati o meno. E’ questo che ci proponiamo di investigare nel presente capitolo.
Per realizzare questo proposito sarà necessario, specialmente per quanto riguardo questa seconda addizione alla Confessione, che ci formiamo una corretta concezione del suo reale significato. Dobbiamo comprendere chiaramente quale è realmente l’insegnamento di questa seconda dichiarazione del 1924, prima che tiriamo una conclusione per quanto riguarda il suo essere Riformata o non Riformata.
Per evitare di apparire malvagi e per intercettare la possibile accusa che stiamo imponendo arbitrariamente la nostra interpretazione sul secondo punto, non ci confineremo ad un esame di questa dichiarazione in quanto tale, ma ci volgeremo alle Christian Reformed Churches per ricevere luce sulla questione: qual è il significato del secondo punto? Nessuno osi dire che ciò non è giusto. Solo che, appena lo facciamo, andiamo incontro a delusioni. Perché la medesima ambiguità e duplicità che ha caratterizzato la spiegazione che i leader di queste Chiese ci hanno offerto sul primo punto, essi la rivelano anche nell’interpretazione del secondo. Ancora una volta si è posti di fronte alla testa di Janus, l’idolo a due facce degli antichi Romani, che cambia continuamente volto. Da un lato, questi leader vorrebbero sostenere il principio Riformato che l’uomo naturale è del tutto incapace di fare alcun bene ed è inclinato ad ogni male a meno che sia rigenerato dallo Spirito di Dio, dall’altro vorrebbero proporci come un dato chiaro che quest’uomo totalmente depravato dopo tutto non è interamente corrotto. Il risultato è che le loro spiegazioni sono necessariamente ambigue e a doppia faccia. Nessun uomo può servire due padroni, nessuno può con successo sostenere due dottrine contraddittorie.
Come prova rimando il lettore al meglio che è sul mercato sui tre punti, il booklet del Prof. L. Berkhof. Si noti in che modo, da un lato, egli aborre la dottrina Pelagiana che nell’uomo naturale è rimasto qualche bene:
E’ davvero ridicolo che in connessione a ciò viene menzionato l’Arminianesimo. Sempre più sembra che l’Arminianesimo debba servire come uno spauracchio, per terrorizzare in modo innecessario il popolo. Si è creata l’impressione che questo secondo punto in realtà insegni che mediante la grazia comune l’uomo è migliorato in qualche modo spiritualmente. Ciò sarebbe davvero Arminiano. Ma è di certo sconcertante in che modo qualcuno possa leggere questo nella dichiarazione del sinodo. Perché il sinodo attribuisce il restringimento del peccato alle operazioni generali dello Spirito Santo, e queste secondo la credenza Riformata non causano mai un cambiamento nello stato di morte spirituale dell’uomo naturale. Esse non soltanto non vivificano colui che è spiritualmente morto, ma non lo portano di un solo passo più vicino alla vita. Ma a ciò deve essere aggiunto qualcos’altro. Il sinodo ha dichiarato enfaticamente che Dio restringe il peccato attraverso le operazioni generali dello Spirito Santo senza rinnovare il cuore. Il cuore, quindi, non è rinnovato, in altre parole, l’uomo in questo modo non è rigenerato. Questo naturalmente esclude ogni idea di miglioramento spirituale. Il popolo Riformato non riconosce un miglioramento spirituale precedente alla rigenerazione. Essi non devono avere nulla a che fare con la nozione della grazia preparatoria. Tuttavia, senza alcuna sembianza di prova, si allega che il sinodo abbia adottato la dottrina riguardante una grazia di questo tipo. No, il restringimento del peccato non porta l’uomo di un solo passo più vicino alla vita, fa soltanto riferimento al mantenimento e miglioramento della nostra vita naturale (p. 38).
Il professore è indignato. Ed io non so chi ha avuto il triste coraggio di suscitare la sua ira col presentare una veduta del secondo punto che egli considera ridicola. Ma posso assicurare il professore che non vi è ragione per cui accusare noi. Noi abbiamo sempre compreso in modo chiaro che il secondo punto non fa riferimento ad un cambiamento spirituale nel peccatore. Il miglioramento spirituale ed il bene spirituale sono tali da essere operati in noi soltanto attraverso lo Spirito del Signore Gesù Cristo. E noi abbiamo sempre compreso bene che il secondo punto non si riferisce affatto a questo. Il bene che si suppone sia nell’uomo naturale è al di fuori di Cristo, non ha niente a che vedere con la rigenerazione, non è operato dallo Spirito in quanto Spirito di Cristo. Non vi è affatto fraintendimento da parte nostra per quanto riguarda questo. Infatti, la nostra principale obiezione è proprio che il secondo punto insegna una certa bontà nell’uomo al di fuori di Cristo e a prescindere dall’opera di rigenerazione. Il professore, quindi, può stare tranquillo. Per il resto, poi, è evidente che nel precedente paragrafo egli sostiene la verità Riformata della totale depravazione dell’uomo.
Più enfaticamente egli difende la concezione Riformata nella sua descrizione dello stato naturale dell’uomo a pagina 35. Lì egli sostiene perfino che il secondo punto procede dall’assunzione, ed è basato sul presupposto, che l’uomo per natura è interamente corrotto e morto nel peccato. Egli scrive:
Questo punto procede sulla base di una presupposizione molto definita, a cui chiameremmo prima di ogni altra cosa l’attenzione. La supposizione è che l’uomo per natura è interamente corrotto, e che egli è dominato dal principio di inimicizia contro Dio ed il prossimo. Egli è alienato da Dio nel profondo della sua anima, e, di conseguenza, ogni suo atto, anche se potrebbe essere esternamente in armonia con certi principi secondari di giustizia, è corrotto in principio quale l’atto di un ribelle. A motivo del peccato la disarmonia governa nell’anima dell’uomo, una profonda corruzione morale ha preso possesso della sua intera vita. E questa corruzione non è dormiente, essa si sviluppa e fa procedere l’uomo di male in peggio.
Ora io sfiderei il professore a renderci chiara la verità dell’affermazione che il secondo punto presuppone questa totale depravazione dell’uomo naturale. Il secondo punto parla di un restringimento del peccato, di un controllo del processo di corruzione. Ma come può il processo di corruzione essere ancora controllato in qualcosa che è già del tutto corrotta? Serve a qualcosa aggiungere del sale ad un pezzo di carne che sia del tutto rovinata e marcia? In che modo, allora, la corruzione può essere controllata in una natura umana che è totalmente depravata? Di certo il secondo punto non può basarsi su un tale presupposto.
Tuttavia, per il resto, da queste parole del professore otterremmo l’impressione che il secondo punto è del tutto Riformato in dottrina, perchè sembra sostenere la totale depravazione dell’uomo nei termini più forti. Noi ci sentiremmo inclinati ad accettarlo e dare la nostra fiducia al professore.
Ma attenzione! Janus a breve si volgerà e mostrerà la sua altra faccia!
Il professore scrive a pag. 37:
Nel restringimento del peccato le operazioni generali dello Spirito Santo sono fondamentali in importanza. (E’ deplorevole che per mantenere questo secondo punto né la Scrittura né le Confessioni menzionano questo elemento fondamentalmente importante!—HH.) Esse mantengono i rimanenti della luce naturale che restano nell’uomo dalla caduta e attraverso cui egli ritiene “una qualche idea di Dio, delle cose naturali, del discrimine tra ciò che è onesto e ciò che è turpe, e dimostra una qualche ricerca della virtù e di una disciplina esterna” (che, tuttavia, l’uomo naturale, perfino nelle cose naturali e civili, contamina completamente e ritiene nell’ingiustizia. Strano che il professore sembra così avverso a citare l’articolo nella sua interezza, leggasi Canoni III/IV:4). Essi fanno sì che il seme della giustizia esterna porti frutto, ma non impiantano il seme della rigenerazione. Questa operazione dello Spirito non è un’operazione creativa ma assume il carattere di persuasione morale. Essa rende l’uomo in un certo grado ricettivo per la verità fintanto che essa (la verità) lo influenza ancora dalla sua propria coscienza. Essa presenta motivi alla volontà, imprime la sua coscienza, fa uso di inclinazione e desideri che sono presenti nell’anima, e fa sì che il bene esterno che ancora rimane giunga a svilupparsi.
In queste parole si può vedere l’altra faccia di Janus.
Secondo la prima presentazione l’uomo naturale è totalmente corrotto e interamente depravato e interamente dominato dal principio di inimicizia contro Dio ed il prossimo. Ed il secondo punto si supponeva essere basato su questa verità della totale depravazione. Ma sembra che il professore capiva che non poteva farci niente con una operazione restringente dello Spirito su una natura totalmente depravata. Ora, evidentemente, il secondo punto deve procedere da un’assunzione interamente differente, ovvero dall’assunzione che la natura dell’uomo non è interamente corrotta. Vari buoni elementi sono rimasti in essa dalla caduta. In questa natura che si suppone depravata il professore scopre i seguenti rimanenti di bene:
1. Un seme di giustizia esterna.
2. Ricettività per la persuasione morale.
3. Ricettività per la verità, che opera su lui dalla sua propria coscienza.
4. Una volontà che può ancora essere impressa da buone intenzioni, ed una coscienza che è ricettiva per le buone influenze.
5. Inclinazioni e desideri di cui lo Spirito Santo può fare uso nel restringimento del peccato. Buone inclinazioni e desideri, quindi.
6. Un rimanente di bene esteriore.
Non cercheremo di definire tutti questi vari termini. Ma deve essere ammesso dal professore stesso che questo restringimento del peccato e della corruzione non comincia con una natura che è interamente corrotta come al principio ha provato a farci credere. Indubbiamente egli ha percepito che ciò si dimostrerebbe piuttosto impossibile. La corruzione in una natura interamente corrotta non può essere più ristretta. Se una natura totalmente depravata non può essere in qualche modo migliorata e cambiata, il caso è disperato. Il professore ora quindi dà una descrizione e valutazione dell’uomo naturale piuttosto differente da ciò che prima ha professato essere la vera caratterizzazione. Egli migliora la condizione naturale della natura umana in modo considerevole prima che permette al suo processo di restringimento di iniziare. Egli non procede più sulla base del presupposto che l’uomo naturale è totalmente corrotto e interamente depravato, ma scopre nell’uomo, a prescindere dalla rigenerazione, un seme di giustizia esteriore che può generare e portare frutto, una certa recettività per la verità e buone inclinazioni, intenzioni, e desideri. Egli trova un considerevole bene nell’uomo naturale. Con una tale natura, con tutti questi rimanenti di bene, queste recettività, inclinazioni, intenzioni, e desideri, il professore può iniziare con le sue meraviglie riguardanti il restringimento. E la generale operazione dello Spirito Santo preserva tutto questo bene nell’uomo naturale, lo fa sviluppare e portare frutto, e in breve siete testimoni della magica performance dell’aver fatto fare ad un peccatore totalmente depravato delle buone opere!
Se prendiamo tutte queste differenti affermazioni del professore in considerazione, possiamo raggiungere certe conclusioni per quanto riguardo il reale significato ed insegnamento del secondo punto. Esse sono le seguenti:
1. Le operazioni generali, restrittive dello Spirito Santo sull’uomo naturale non sono rigeneranti, nè conducono alla rigenerazione. Il secondo punto stesso, a prescindere da ogni spiegazione, enfatizza questo molto chiaramente. Il professore ha trovato difficoltà nel constatare che avevamo frainteso la seconda dichiarazione del 1924 e che avevamo scoperto in essa la dottrina che l’uomo naturale è spiritualmente migliorato senza essere rigenerato. Egli ora vedrà che si sbaglia. Egli può essere certo che non abbiamo mai compreso il secondo punto come un riferimento ad alcun bene spirituale nell’uomo naturale, cioè, al bene che è il frutto dello Spirito di Cristo. Noi comprendiamo molto bene che il secondo punto attribuisce alla natura caduta un bene che non è dello Spirito della grazia salvifica. E’ questo elemento che costituisce esattamente la nostra obiezione principale contro il secondo punto.
2. Sono rimaste nell’uomo dalla caduta molti buoni elementi, che il professore racchiude sotto il termine “rimanenti di luce naturale.” Vi è nella natura caduta il seme della giustizia esteriore. (Il lettore comprenderà che questa è un’espressione figurativa, che può significare quasi ogni cosa, che è molto ambigua ed oscura, e che sarebbe estremamente difficile per il professore definire. Perché cos’è la giustizia esteriore? E’ essa una mera conformità esteriore alla legge di Dio, senza verità nelle parti interiori? Cos’è Fariseismo? Se lo è, deve essere considerata corrotta? E cos’è il seme di questa giustizia esteriore? Dove deve essere trovato? Nel cuore? In quel caso però la giustizia esteriore sarebbe anche interiore.) Vi è il rimanente di un bene esteriore, vi è la coscienza, vi sono le buone inclinazioni e desideri e intenzioni, vi è la ricettività per la verità, tutto questo è rimasto nell’uomo dalla caduta. Esse sono chiamate i rimanenti dell’immagine di Dio nell’uomo. E lo Spirito Santo Si appella a tutto questo bene mediante un’operazione di persuasione morale.
3. Vi è un’operazione dello Spirito Santo tale che influenza la natura di ogni peccatore, che non è rigeneratrice, ma in primo luogo restrittiva, che tiene a freno la potenza della corruzione nella natura del peccatore e così preserva il bene che è in lui. Questa operazione dello Spirito è la causa efficiente del fatto che la corruzione del peccato non opera attraverso, non rovina del tutto la natura dell’uomo caduto privandola di tutto il bene che è ancora rimasto in essa. Dobbiamo comprendere questo punto chiaramente. Se attraverso la caduta la natura dell’uomo fosse divenuta interamente corrotta, se non fosse rimasto in essa alcun bene, non vi sarebbe stato niente da preservare e da restringere. La corruzione del peccato avrebbe fatto tutta la sua opera. Ma ora è diverso. Vi è un rimanente della sua giustizia originale nel peccatore. Anche questo rimanente sarebbe presto corrotto, tuttavia, e questi rimanenti di luce sarebbero presto estinti dalla potenza ottenebrante del peccato se le operazioni generali dello Spirito Santo non esercitassero un’influenza restrittiva e preservante sulla natura depravata dell’uomo. Presto l’influenza corruttrice del peccato avrebbe realizzato la sua opera. Ma vi è, secondo il primo punto, una operazione generale restrittiva dello Spirito Santo tale che attraverso di essa questo bene (questo bene originale che l’uomo ha ritenuto dal primo Paradiso, e che, quindi, non è bene spirituale, non è frutto della grazia rigenerativa) è continuamente preservato dal divenire totale corruzione nell’uomo. Ciò si intende con restringimento del peccato. Ma questo non è tutto ciò che lo Spirito Santo realizza mediante questa operazione generale su ogni uomo. Egli fa di più secondo il Prof. Berkhof. Egli fa anche sviluppare questa giustizia esteriore e bene esteriore. Egli fa sé che il seme di giustizia in lui, il residuo della bontà originale che è ancora in lui, porti frutto. Egli fa ciò mediante la persuasione morale. Egli Si appella alle buone inclinazioni e desideri presenti nell’anima, Egli presenta alla volontà buone intenzioni. Egli opera sulla coscienza dell’uomo. E così il seme di giustizia si sviluppa e porta frutto. E questo frutto è il bene che l’uomo caduto compie in questa vita naturale e civile presente. Egli non giunge ad avere fede. Egli non riceve la vita eterna. Egli non fa del bene spirituale. Egli non è innestato in Cristo. Egli in realtà vive la vita del primo Paradiso, anche se in una forma indebolita, una vita che sta essendo mantenuta ed è vivificata dalle operazioni generali dello Spirito Santo. Così l’uomo naturale, a prescindere da Cristo, può compiere e compie buone opere in questo mondo. In una certa misura egli vive una buona vita nel mondo.
Così, secondo l’interpretazione del Prof. Berkhof, dobbiamo comprendere il significato del secondo punto. Il professore ammetterà che abbiamo rappresentato la sua veduta correttamente e chiaramente. Né è concepibile un’altra interpretazione di questo punto.
Rimane una sola questione. Come deve essere spiegato il fatto che questo bene originale, questo rimanente della sua condizione originale in Paradiso, è rimasto nell’uomo dal momento della ed attraverso la caduta? Il Professor Berkhof non risponde a questa domanda, né la risposta si trova nel secondo punto. Ma la risposta è fornita dal Dr. A. Kuyper Sr. nella sua opera: De Gemeene Gratie [La Grazia Comune—N.d.T.]. Egli spiega che un tale restringimento, controllo, operazione preservatrice ebbe luogo sulla natura dell’uomo dal momento della caduta in Paradiso. Se non vi fosse stata una tale operazione restrittiva della grazia comune, immediatamente dopo la caduta o in concomitanza con la caduta di Adamo ed Eva, la natura dell’uomo sarebbe divenuta totalmente corrotta lì e allora. Adamo si sarebbe trasformato in una sorta di diavolo, e la terra sarebbe stata trasformata in inferno. La vita e lo sviluppo della società umana sarebbe divenuta una totale impossibilità. Ma lo Spirito intervenne immediatamente mediante la Sua grazia restrittiva. Egli non permise alla natura umana di divenire interamente corrotta. Egli ha lasciato un seme della sua bontà originale nella natura dell’uomo. Egli ha contenuto l’ondata della corruzione nel cuore dell’uomo. L’uomo non è divenuto interamente tenebre. Egli non morì pienamente. Una qualche luce fu lasciata in lui. Una qualche vita rimase in lui. E così deve essere spiegato il fatto che, nelle cose naturali e civili, l’uomo vive una vita mondana relativamente buona, che egli si sforza ti trovare la verità, la giustizia, e la correttezza. Egli è in grado di fare del bene in questa vita presente.3
Dunque il significato e l’implicazione del secondo punto sarà chiaramente compreso, ed è esposto secondo la spiegazione stessa che il Prof. Berkhof ci offre. Egli non potrà più dire che non abbiamo compreso il significato di questa seconda dichiarazione del sinodo, né che abbiamo rappresentato la sua concezione di esso incorrettamente. Coll’adottare questo secondo punto il sinodo delle Christian Reformed Churches ha semplicemente elevato la teoria della Grazia Comune del Dr. A. Kuyper Sr. ad un dogma ecclesiastico.
E contro questa concezione noi abbiamo varie serie obiezioni sulla base della Scrittura e dei nostri Standard Riformati.
Prima di tutto desideriamo attirare l’attenzione su certi principi fondamentali che sono stati adottati in questo secondo punto, e che sono in diretto conflitto con l’intera presentazione della verità nella Parola di Dio e con la linea fondamentale del pensiero Riformato. In primo luogo, deve essere osservato che questa concezione è contraria alla verità dell’assoluta sovranità di Dio anche sopra le potenze del peccato e della morte e della corruzione. Essa procede da una concezione dualistica di Dio e del mondo, più in particolare di Dio e delle potenze delle tenebre. Essa rappresenta il peccato e la morte come potenze accanto a Dio, in una certa misura indipendenti da Lui, potenze che da sé stesse operano corruzione. Ma Dio tiene a freno queste potenze. Egli, quindi, restringe una potenza che esiste ed opera al di fuori e a prescindere da Lui. Ma questo è dualismo ed è contrario alla fondamentale concezione della Parola di Dio che presenta Dio sempre come assolutamente sovrano anche sopra le potenze del peccato, della morte e della corruzione. La corruzione del peccatore è morte, morte spirituale. E questa morte non è una potenza che opera da se stessa nella natura dell’uomo, ma è una servitrice di Dio, l’esecuzione della sentenza di condanna da parte di Dio nell’uomo. Dio infligge la punizione della morte sul peccatore colpevole in Paradiso. Inoltre la morte e la corruzione sono potenze che possono operare soltanto attraverso Dio. Ma se si sostiene questo, non si può più parlare di una potenza restrittiva dello Spirito, perché come potrebbe Dio frenare una potenza che opera soltanto per la Sua volontà e attraverso di Lui? La teoria della grazia restrittiva è fondamentalmente un diniego dell’assoluta sovranità di Dio. E’ dualistica.
In secondo luogo, Dobbiamo osservare che questa intera concezione implica un diniego della giustizia di Dio. Coloro che sostengono questa veduta sono proni ad enfatizzare che questa luce, questo residuo di bene, questa giustizia esteriore che è rimasta nell’uomo dalla caduta, è immeritata grazia da parte di Dio. Essa è, quindi, grazia comune. Molto bene, ma su quale base, per quanto riguarda la giustizia immutabile di Dio, l’uomo caduto riceve questa luce e vita e bontà, questa grazia comune? In Paradiso Dio minacciò: “Il giorno che tu ne mangi, di certo morirai.” Se Dio non eseguì questa sentenza lì ed in quel momento, se Egli perfino la impedì, che ne è della giustizia di Dio? Di certo, quando il figlio di Dio riceve la remissione del peccato, la redenzione e la vita eterna, queste benedizioni sono, da parte Sua, grazia immeritata, ma non deve mai essere dimenticato che esse sono state meritate da Cristo. Ma a quale base di giustizia possono fare riferimento coloro che sostengono che l’uomo naturale, al di fuori di Cristo, riceve benedizioni di grazia immeritata?
In terzo luogo, sarà molto evidente che il secondo punto è basato sul serio errore della grazia resistibile. L’operazione dello Spirito Santo per la quale Egli restringerebbe il peccato non è irresistibile. Perché poi di fatto questa corruzione e peccato non sono in realtà frenati, essi fanno progresso e si sviluppano del continuo. Ciò era evidente nella storia del mondo prediluviano. Ciò diviene molto evidente in tutta la storia, anche nella nuova dispensazione, perché l’intero sviluppo del mondo tende verso la realizzazione dell’Anticristo, la finale manifestazione dell’uomo del peccato, il figlio della perdizione. Se si chiede: in che modo questo progresso e sviluppo del peccato è possibile se lo Spirito Santo restringe la sua potenza corruttrice? Coloro che sostengono questa veduta rispondono: lo Spirito Santo alla fine rilascia la sua presa restrittiva dal peccatore e lo consegna all’ingiustizia. Se si chiede ancora: ma per quale ragione lo Spirito Santo consegna l’uomo al peccato? La risposta è inevitabilmente: perché il peccatore resiste questa operazione restrittiva dello Spirito e va di male in peggio. La potenza frenante dello Spirito non è efficace. L’uomo è più forte di Dio. Lo Spirito perde la battaglia con l’uomo naturale. Egli è sconfitto. O, come il Professor Berkhof stesso esprime questo, letteralmente: “lo Spirito lotta invano. Egli cerca di frenare la potenza del peccato e condurre gli uomini a ravvedimento, ma Egli lotta invano, Egli fallisce” (I Tre Punti, etc., p. 43). Per quanto riguarda tutti questi principi fondamentali il secondo punto è in modo evidente una deviazione dalla verità della Scrittura e dalla linea di pensiero Riformata.
Ma c’è di più.
La nostra principale obiezione al secondo punto per come interpretato dal Prof. Berkhof e per come compreso dalle Christian Reformed Churches è, in ultima analisi, che esso è un diniego della totale depravazione della natura umana caduta. Questo secondo punto è correlato al terzo come causa ad effetto. Esso apre la via, crea la possibilità per la dichiarazione del terzo punto. Il secondo dichiara che l’uomo naturale può fare buone opere, anche se solo in questa vita presente e nella sfera naturale e civile, il terzo punto fa riferimento alla fonte di queste buone opere, che sarebbe il bene che è lasciato nella natura umana attraverso la grazia comune. E, di fatto, questo secondo punto semplicemente insegna che la natura umana dalla caduta non è interamente corrotta e totalmente depravata, esso implica che sarebbe stata totalmente corrotta se la potenza restrittiva della grazia comune non fosse intervenuta. E, quindi, ripetiamo, il secondo punto è certissimamente un diniego della totale depravazione dell’uomo naturale.
Che i nostri oppositori ci mostrino, se possono, che siamo in errore. Essi di certo non possono obiettare che non abbiamo interpretato il secondo punto correttamente, secondo il suo reale significato e la sua reale implicazione. Dubitiamo a volte se i leader delle Christian Reformed Churches stessi comprendono le implicazioni di questo punto. Lo si consideri come si vuole, il secondo punto presuppone sempre che qualcosa della giustizia originale del Paradiso è lasciata nell’uomo, qualche integrità morale è rimasta in lui, qualche elemento di bene, che può essere preservato, qualche amore per il prossimo, qualche ricettività per la verità si può ancora trovare in lui. Se ciò non è presupposto non vi è niente da conservare, preservare, mantenere. E per questa ragione il secondo punto, in cui la teoria della grazia comune per come esposta dal Dr. A. Kuyper Sr. è stata pienamente adottata, implica un diniego della totale depravazione dell’uomo caduto.
Il Prof. Berkhof ed altri leader delle Christian Reformed Churches lo considerano un insulto il fatto che li accusiamo di Pelagianismo. Egli lamenta ripetutamente questa ingiustizia a coloro che sostengono i tre punti. Egli assicura i suoi lettori perfino con un certo disprezzo che una tale accusa è ridicola, e suggerisce che non la facciamo in buona fede. Ma io sfido apertamente il Prof. Berkhof o chiunque altro a discolparsi da questa accusa. Certo, noi ammettiamo francamente che questa accusa sarebbe ingiusta se sostenessimo che questo secondo punto dichiara in modo espresso che l’uomo da se stesso può ottenere la salvezza e il bene salvifico. Ciò, però, non lo abbiamo mai asserito. Tuttavia, anche se ciò è vero, noi sosteniamo che la dottrina di Arminio e Pelagio è in principio adottata nel secondo punto in connessione al primo. Il primo dichiara che la grazia di Dio ha a che fare con una offerta sincera a tutti, che la predicazione del vangelo è grazia comune. E questo è Arminiano. E qual è il punto peculiare al Pelagianismo? Il diniego della totale depravazione. L’uomo è inerentemente buono. Egli non è divenuto del tutto corrotto, morto nel peccato e nei falli attraverso la caduta, lo si può chiamare malato, pericolosamente malato, se volete, ma non morto. Il Pelagianismo non vuole avere niente a che fare con la dottrina che l’uomo naturale è del tutto incapace di fare alcun bene ed inclinato ad ogni male. Questa è anche la dottrina peculiare del secondo punto.
Lo ammetto, vi sono alcuni punti di distinzione tra il Pelagianismo puro e la seconda dichiarazione del 1924. Il primo insegna espressamente che l’uomo naturale può da se stesso raggiungere la più alta e salvifica conoscenza di Dio mediante un uso appropriato della sua volontà fondamentalmente buona; il secondo non insegna questo in modo chiaro, anche se il caso è aperto a dei sospetti, come sarà evidente se si considera il primo punto, che parla di un’offerta generale di salvezza, in connessione al secondo, che implica una certa ricettività per la verità. Ma noi concediamo che la seconda dichiarazione non afferma esplicitamente che l’uomo naturale può raggiungere la conoscenza spirituale di Dio e Cristo da se stesso. Il fatto rimane, però, che esso sostiene enfaticamente che l’uomo naturale, in virtù del bene che rimane in lui dal Paradiso dalla caduta, può vivere in una certa misura una buona vita mondana davanti a Dio. Il Pelagianismo attribuisce il bene che è rimasto nell’uomo dalla caduta al carattere della caduta stessa. Mediante la caduta l’uomo non si è interamente gettato nelle tenebre e nella corruzione e morte spirituale, in modo che in lui non rimanga niente di buono. Al contrario, la volontà dell’uomo è rimasta fondamentalmente intatta, buona e sana. Il secondo punto, tuttavia, spiega il bene che è nell’uomo dopo la caduta a partire da un’operazione restrittiva e preservatrice dello Spirito Santo. Il risultato, tuttavia, è in principio il medesimo in entrambi i casi: l’uomo non è interamente corrotto. Il Pelagianismo spiega il bene che si trova ancora in ogni uomo mediante una concezione individualistica della razza, ogni uomo sta in piedi o cade da se stesso. Esso nega la colpa e la corruzione originale. Il secondo punto, tuttavia, spiega questo bene nell’uomo naturale, nella razza, mediante una continua operazione, preservazione, restrizione, dello Spirito Santo. Ma di fatto entrambi hanno ciò in comune: essi postulano una certa bontà nell’uomo caduto, e negano la sua totale depravazione. Il secondo punto, in principio, è Pelagiano.
E, quindi, è semplicemente non vero quanto il Prof. Berkhof scrive a pag. 35 del suo booklet: “Questo punto procede sulla base di una presupposizione molto definita, a cui chiameremmo l’attenzione prima di tutto. La supposizione è che l’uomo per natura è interamente corrotto, e che egli è dominato dal principio dell’inimicizia contro Dio ed il prossimo.” Questa presentazione della cosa è semplicemente falsa. Noi sfidiamo il professore a sostanziare questa affermazione, per rendere chiaro in che modo la corruzione può mai essere controllata in una natura che è già del tutto depravata. Egli scoprirà che è un compito impossibile. Come abbiamo visto, il professore contraddice apertamente questa affermazione quando in un’altra pagina scrive che il seme della giustizia esteriore, del bene esteriore, la ricettività dell’uomo naturale per la verità, le buone inclinazioni e desideri, in breve, che molti buoni elementi rimangono fin dalla caduta, di cui lo Spirito Santo ne fa uso mediante le Sue operazioni generali. No, il secondo punto non è basato sulla presupposizione che menziona il Prof. Berkhof, ma su una direttamente opposta, ovvero che l’uomo naturale non è divenuto interamente corrotto attraverso la caduta. E soltanto in base a questa supposizione vi può essere spazio per la teoria dell’operazione generale dello Spirito mediante la quale questo bene è trattenuto dal divenire ulteriore e finale corruzione.
Siamo ora nella posizione di poter definire più correttamente il reale significato ed implicazione di questo secondo supplemento alla Confessione, come segue: “Vi è una generale operazione dello Spirito Santo per la quale il progresso della corruzione e del peccato nella natura umana sta essendo tenuto a freno in un modo tale che la natura caduta è stata preservata in Paradiso e sta costantemente essendo preservata dalla totale depravazione.”4
E per questa dichiarazione o supplemento alla Confessione il sinodo non offre alcun punto di prova.
La Confessione, di certo, parla dell’assoluta sovranità e controllo di Dio sui diavoli e gli empi. Dio tiene sempre le redini. Egli dirige, controlla, domina anche il peccatore, in un modo tale che quest’ultimo, perfino nelle sue opere peccaminose, può soltanto adempiere il sovrano consiglio di Dio. Egli non può fare come gli piace. Non è indipendente. L’Altissimo lo tiene nella Sua potenza. La Confessione, per come citata dal sinodo, si riferisce anche al potere della spada dei magistrati. Ma in nessun luogo la Confessione suggerisce una generale operazione dello Spirito Santo per la quale il progresso della corruzione nella natura umana è tenuto a freno. L’uomo, di certo, è costantemente sotto le briglie dell’Altissimo, in modo mediato ed immediato, in tutte le sue azioni, ma egli è sempre interamente corrotto. E deve essere considerato più che ridicolo quando il Prof. Berkhof scrive a pag. 37 del suo booklet: “Il secondo pensiero che troviamo espresso nelle dichiarazioni del sinodo è che Dio restringe il peccato mediante le generali operazioni del Suo Spirito. Ciò non è espresso con molte parole nella nostra Confessione, ma può facilmente essere dedotto da essa” (Italiche nelle ultime parole mie, HH). Come mai il professore non mette in evidenza in che modo questa teoria delle generali operazioni dello Spirito Santo può essere dedotta dalla Confessioni? Anche se egli la considera una cosa facile, egli poi fallisce di mostrarci la deduzione, anche se era ben consapevole del fatto che i membri del Sinodo del 1924 avevano protestato contro questa stessa espressione! Ma, in qualsiasi modo uno veda questa cosa, possiamo con sicurezza affermare senza paura di contraddirci che le Confessioni non contengono ombra di suggerimento che la natura caduta dell’uomo è preservata dal divenire interamente corrotta mediante le generali operazioni dello Spirito.
Nè i passaggi scritturali a cui fa riferimento il sinodo sostengono la dichiarazione del secondo punto. Il sinodo si appella a Genesi 6:3: “Ed il Signore disse, il mio Spirito non contenderà sempre con l’uomo.” La tacita e supposta esegesi del sinodo è: “Il mio Spirito non terrà sempre a freno il progresso della corruzione nella natura dell’uomo.” Ma senza alcuna sana base. L’esegesi del sinodo conduce ad un’assurdità, come Berkhof stesso mostra chiaramente a pag. 43 del suo booklet. Perché, il fatto è che lo Spirito prima del diluvio non aveva affatto ristretto lo sviluppo del peccato; l’intera razza era divenuta velocemente matura per la distruzione. E, in secondo luogo, la parola “contendere” non significa di certo lo stesso che “tenere a freno” o “restringere.” La semplice ed autoevidente spiegazione è che lo Spirito aveva conteso attraverso la Parola, per mezzo dei santi prediluviani, con l’empia generazione che visse prima del diluvio. Il risultato, però, non era stato un freno alla corruzione, ma un indurimento del cuore e un ulteriore sviluppo del peccato. Questa “lotta” dello Spirito non sarebbe durata per sempre. La fine stava arrivando. Il mondo sarebbe stato giudicato e distrutto nel diluvio.
Inoltre, il sinodo fa riferimento ad una tripletta di testi (Salmo 81:12-13; Atti 7:42; Romani 1:24, 26, 28), i quali tutti insegnano che Dio “consegna” il peccatore ad ogni specie di male ed iniquità e corruzione. Ora, con nessun tipo di esegesi si può dedurre da questi passaggi la dottrina di un’operazione generale dello Spirito Santo per la quale il progresso della corruzione è tenuto a freno nella natura umana caduta. I testi insegnano in maniera diretta l’esatto opposto, perché “consegnare” è l’opposto stesso di “restringere.” Né i testi presuppongono una tale restrizione mediante lo Spirito Santo necessariamente precedente al “consegnare.” Perché Romani 1 insegna molto chiaramente che vi è una costante e generale manifestazione dell’ira di Dio su ogni ingiustizia ed empietà degli uomini che sopprimono la verità nell’ingiustizia (v. 18). E quest’ira di Dio sopra e contro l’empietà degli uomini diviene manifesta specialmente in questo, che Dio consegna gli empi a peggior corruzione e ad un più profondo pozzo di peccato (vv. 24, 26, 28). E quest’ira di Dio manifestata nel “consegnare” il peccatore a sempre più peccato e corruzione è rivelata attraverso tutta la storia, dal suo principio stesso, secondo il capitolo, perché ha la sua ragione nel fatto che l’uomo, conoscendo Dio, non ha voluto glorificarlo come Dio né ha voluto essere grato, e questo è vero dal principio della storia al giorno presente. Quindi, il capitolo insegna esattamente l’opposto della dichiarazione del sinodo. Essa dichiara: che vi è una generale operazione di grazia da parte dello Spirito Santo per la quale la corruzione è tenuta a freno nella natura del’luomo. Ma il primo capitolo di Romani insegna: Che vi è una generale operazione di ira, rivelata da Dio dal cielo, per la quale l’uomo è consegnato di corruzione in più profonda corruzione. Chiunque può verificare la verità di questa spiegazione seguendo il ragionamento dell’apostolo Paolo in questo capitolo dal verso 18 alla fine.
Infine, il sinodo fa riferimento a II Tessalonicesi 2:6-7: “Ed ora voi sapete cosa trattiene chè egli possa essere rivelato al suo tempo. Perché il ministero dell’iniquità già è all’opera, soltanto finchè colui che lo ritiene sia tolto di mezzo.” La tacita assunzione del sinodo, nel far riferimento a questo passaggio, è, ovviamente, che “colui che è tolto di mezzo” è lo Spirito Santo, Che restringe il peccato così che l’uomo del peccato non può ancora essere rivelato. Ma questa spiegazione è del tutto impossibile, perché la Scrittura non scriverebbe dello Spirito Santo: “finchè sia tolto di mezzo.” Tuttavia ciò si riferisce alla stessa persona dell’espressione: “Colui che ora ritiene.” Il Prof. Berkhof nel suo libro dimentica di menzionare questo testo e non offre spiegazione. E’ mia convinzione che l’apostolo aveva in mente una persona definita, conosciuta ai Tessalonicesi, che stava in mezzo ed impediva la piena realizzazione della potenza e regno anticristiano. Ma questa particolare persona del tempo di Paolo è un tipo di tutte le persone e potenze e circostanze, che attraverso tutta la storia impediscono la realizzazione del regno anticristiano prima del tempo di Dio. Comunque sia, può essere considerata cosa certa che il testo non fa riferimento allo Spirito Santo e ad una generale operazione per la quale Egli restringe il progresso della corruzione nella natura dell’uomo.
Ulteriore prova il sinodo non ne adduce.
La Scrittura e le Confessioni, tuttavia, sono piene di passaggi che contraddicono direttamente la dichiarazione del sinodo concernente l’operazione generale dello Spirito Santo, per la quale il progresso della corruzione è tenuto a freno nella natura caduta dell’uomo.
Per quanto riguarda la Scrittura, abbiamo già indicato Romani 1, che insegna l’opposto stesso della dichiarazione del sinodo su questo punto. Inoltre, essa dichiara costantemente che l’uomo naturale è interamente tenebre, corrotto e malvagio, morto in falli e peccati. La valutazione di Dio dell’uomo naturale è che le immaginazioni del suo cuore sono malvagie, soltanto malvagie continuamente (Genesi 6:5; 8:21). Il Signore guarda giù dal cielo sui figli degli uomini per vedere se vi è qualcuno che comprende e cerca Dio, ma non ne trova alcuno. Sono tutti sviati, sono tutti divenuti impuri, non vi è nessuno che fa il bene, no, non uno (Salmo 14:2-3; 53:3-4). La Scrittura insegna che, anche se la Luce splende nelle tenebre, quest’ultime non la comprendono (Giovanni 1:5). La Parola di Dio enfaticamente dichiara di tutti gli uomini senza distinzione che la loro gola è un sepolcro aperto, che con le loro lingue hanno usato inganno, che il veleno di serpenti è sotto le loro labbra, che la loro bocca è piena di maledizione ed amarezza ed i loro piedi sono veloci a spargere il sangue (Romani 3:9-18). Essa ci insegna che la mente naturale è inimicizia contro Dio, che non è soggetta alla legge di Dio né può esserlo (Romani 8:5-8). Essa giudica che per natura siamo morti in falli e peccati, che in essi anche camminiamo, secondo il corso di questo mondo, secondo il principe della potenza dell’aria, lo spirito che ora opera nei figli di disubbidienza (Efesini 2:1-2). Essa ci condanna come per natura figli d’ira come gli altri, che abbiamo il nostro portamento nelle concupiscenze della nostra carne, adempiendo i desideri della carne e della mente (Efesini 2:3). Essa enfatizza che per natura il nostro intendimento è oscurato, che siamo alienati dalla vita di Dio attraverso l’ignoranza che è in noi a motivo della concupiscenza (Efesini 4:18-19). Essa dichiara che per natura noi siamo tenebre, e che è una vergogna perfino menzionare le cose che da noi sono fatte in segreto (Efesini 5:8, 12). Essa ci insegna che siamo stolti, disubbidienti, ingannati, che serviamo varie concupiscenze e piaceri, che viviamo in malizia ed invidia, odiosi ed odiandoci gli uni gli altri (Tito 3:3). Essa non parla di un’operazione generale dello Spirito Santo per la quale il peccato è trattenuto nel suo progresso di corruzione, ma di un’operazione di ira dal cielo per la quale il peccato è sviluppato (Romani 1:18-22). Ed infine essa chiama ad alta voce: “Colui che è ingiusto, che sia ingiusto ancora, e colui che è lurido, sia lurido ancora,” perché la giustizia di Dio deve essere manifesta contro ogni empietà ed ingiustizia degli uomini, ed il peccato deve divenire pienamente rivelato come peccato per davvero, così che Dio possa essere giusto ed ogni bocca possa essere chiusa (Apocalisse 22:11)!
Ma perchè citare altro? La Scrittura porta sempre la medesima testimonianza. E chi non lo sa? Chi non sente che non è la testimonianza della Parola di Dio ma della mera filosofia dell’uomo che vi sia una certa bontà nell’uomo naturale attraverso le operazioni generali dello Spirito Santo?
E forse che le Confessioni parlano mai un linguaggio differente?
Il contrario stesso è vero.
Esse enfatizzano che in Paradiso la nostra natura è divenuta così corrotta che siamo tutti concepiti e nati nel peccato; e di questa corruzione è detto che è così grande che siamo incapaci di fare alcun bene e che siamo proni ad ogni male (Catechismo di Heidelberg, D&R 7-8). Esse descrivono questa corruzione della nostra natura come “cecità, orribili tenebre, vanità, e perversità di giudizio nella mente” e raffigurano l’uomo caduto come “malizioso, ribelle, e duro nella volontà e nel cuore, e infine impuro in ogni affezione” (Canoni III/IV:1). Della razza umana esse dicono che è una corrotta e che produce una figliolanza corrotta. E di questa figliolanza corrotta dicono inoltre che è “concepiti nel peccato e nascono figli di collera, inetta ad ogni bene salvifico, propensa al male, morta nei peccati, e schiava del peccato; e senza la grazia dello Spirito Santo rigenerante, non vuole, né può tornare a Dio, correggere la natura depravata, o disporsi alla sua correzione” (Canoni III/IV:2). E’ vero che nell’uomo rimangono i rimanenti della luce naturale, ma perfino questa luce naturale è così corrotta dal peccato che egli la contamina interamente e la trattiene nell’ingiustizia, perfino nelle cose naturali e civili (Canoni III/IV:4). Certamente, l’uomo ha ritenuto pochi rimanenti dei suoi doni naturali, ma ciò non altera il fatto che tutta la luce che è in lui è tenebre (Confessione Belga, Art. 14). Ma perché moltiplicare le citazioni? E’ un fatto generalmente riconosciuto che le Confessioni Riformate enfatizzano la totale depravazione della natura umana. E da nessuna parte esse suggeriscono nemmeno qualche miglioramento o riforma di questa natura mediante una generale operazione dello Spirito.
Noi sosteniamo, quindi, contrariamente al secondo punto, sulla base della Parola di Dio e le nostre Confessioni, che in Paradiso la nostra natura divenne interamente corrotta e depravata, così che non vi è alcun rimanente della sua originale bontà o giustizia, interna o esterna. Noi comprendiamo, certamente, che la sua natura non fu distrutta, che egli rimase una creatura razionale e morale, e che, quindi, egli ritenne un rimanente dei suoi doni originali da un punto di vista puramente naturale. Egli non fu mutato in un’altra creatura. Egli è ancora un essere con mente e volontà. Ma in questa natura, in questa mente e volontà dell’uomo naturale caduto tutto è perverso da un punto di vista etico-spirituale. La sua conoscenza è mutata in tenebre, in modo che egli crede la menzogna, la sua giustizia è mutata in ingiustizia, la sua santità in corruzione. La sua intera natura è soggetta al dominio e al potere del peccato, che è inimicizia contro Dio. Non vi fu alcun freno a questa corruzione. La sua natura è corrotta esattamente per quanto lo poteva divenire.
Noi sosteniamo, in secondo luogo, che la corruzione e peccaminosità di questa natura caduta giunge a manifestazione in tutto il suo orrore e tenebre nei peccati veri e propri di ogni uomo, ma soltanto di pari passo con lo sviluppo organico della razza umana. Secondo come la razza si sviluppa e la vita diviene sempre più complessa e dà spazio ad altre e variegate relazioni, il peccato anche rivela se stesso come ciò che corrompe l’intera vita in tutte le sue fasi e relazioni, e la depravazione della natura umana giunge a più piena manifestazione. Il peccato di Adamo, come una radice, porta frutto in tutti i peccati veri e propri dell’intera razza, fino a che la misura dell’iniquità sarà colmata. Non vi è restrizione della corruzione della natura mana, né lo sviluppo organico del peccato è trattenuto nella storia.
In terzo luogo, non deve essere trascurato il fatto che questo sviluppo organico del peccato è limitato da vari fattori ed influenze. Esso è soggetto al governo di Dio che domina tutto, e Lui, di certo, consegna gli uomini all’ingiustizia e punisce peccato con peccato nel Suo giusto giudizio, ma dirige lo sviluppo del mondo peccaminoso in modo tale che il Suo consiglio è adempiuto. Esso è limitato da vari doni e talenti, da disposizione e carattere, da tempi e circostanze. Non tutti gli uomini commettono gli stessi peccati, ognuno pecca secondo il suo luogo nell’organismo della razza e nella storia. Il peccato dell’apostata Gerusalemme è più grande di quello di Sodoma e Gomorra. Esso è determinato da varie motivazioni, spesso contraddittorie, nel cuore ingannevole del peccatore, come la paura della punizione, la vergogna, l’ambizione, la vanagloria, l’amore naturale, le concupiscenze carnali, l’amore del denaro, la gelosia, l’invidia, la malizia, la vendetta. Queste varie motivazioni sono spesso in conflitto l’uno con l’altra ma rimangono tuttavia peccaminose, anche se un desiderio o motivazione peccaminosa spesso impedirà al peccatore di soddisfarne un’altra. Esso è diretto in canali certi dalle differenti forme di vita e di istituzioni sociali, la casa e la famiglia, il sistema economico, lo stato, e perfino la chiesa. Ma in tutti questi canali e sotto tutte queste influenze e fattori determinanti e dirigenti, la corrente del peccato si muove irresistibilmente ed ininterrottamente in avanti, mai arrestata o ristretta, costantemente svuotandosi nella misura di iniquità determinata dall’Altissimo, finchè la misura sarà colma. Allora il giudizio potrà venire, e gli amanti dell’iniquità saranno eternamente condannati a perire sotto la giusta ira di Dio. E soltanto quando siamo rigenerati dallo Spirito di Dio siamo liberati da questo terribile potere del peccato e ristorati al favore di Dio, così che possiamo essere santi e senza macchia dinanzi a Lui nell’amore!
CAPITOLO IV: Perverso in Tutte le sue Vie
Nel primo capitolo di questo libretto abbiamo visto che il supplemento alle Confessioni contenuto nel terzo punto del 1924 può essere brevemente espresso come segue: l’uomo naturale è in grado di fare del bene nell’ambito delle cose civili in virtù di un’influenza graziosa di Dio su di lui che non è rigenerativa.
Vi è una relazione molto stretta tra questa dichiarazione e le due che precedono. Il Punto I pone la fondazione di tutte e tre le dichiarazioni. Esso postula una generale operazione di grazia nei cuori di tutti gli uomini, una graziosa attitudine di Dio verso gli eletti e reprobi, che diviene manifesta specialmente nella promiscua predicazione del vangelo. Il Punto II sviluppa ulteriormente ed applica questa grazia generale o comune, affermando che consiste in un’operazione dello Spirito Santo per la quale la natura dell’uomo è guardata dal degenerare nella totale corruzione, dei rimanenti di bene rimangono in lui dal Paradiso, un seme di giustizia esteriore è preservato nella sua natura caduta, e per la quale questo seme di giustizia inoltre germina e porta frutto. Ci si doveva aspettare che queste due dichiarazioni dovessero essere seguite da una terza nella quale è espresso in modo definito che l’uomo naturale, sotto questa influenza dello Spirito Santo su di lui, compie vere e proprie opere buone in questo mondo presente, nella sfera delle cose naturali e civili.
A motivo di questa intima relazione tra i tre punti, e considerando le conclusioni che abbiamo raggiunto per quanto riguarda il primo e il secondo di queste dichiarazioni sinodali, naturalmente non ci aspettiamo che la nostra investigazione dei contenuti dottrinali del terzo punto ci condurrà alla conclusione che essa è Riformata. Se i primi due punti non possono essere considerati in armonia con la Scrittura e le Confessioni, ne consegue, dall’inseparabile connessione tra questi e il terzo punto, che quest’ultimo non può essere in accordo con la verità Riformata. Tuttavia, testeremo anche la verità di questo ultimo di questi tre supplementi in modo separato. Esso porterà alla luce solo più chiaramente quanto insostenibile sia la posizione di coloro che sosterrebbero la dottrina Riformata della totale depravazione come insegnata nelle nostre Confessioni, e allo stesso tempo affermano che l’uomo naturale è in grado di fare del bene.
Prima di tutto, allora, rivolgiamoci ai leader delle Christian Reformed Churches, per chiedere qual è, secondo la loro stessa interpretazione, l’implicazione del terzo punto.
Specialmente per quanto riguarda questo terzo punto è estremamente difficile ottenere una risposta definita alla domanda: qual è la corretta interpretazione di questa dichiarazione del sinodo? Di nuovo ci si trova dinanzi Janus, l’antico idolo Romano a due facce. Ma questa volta, specialmente se si chiede a questo strano oracolo quale è il bene che gli uomini naturali farebbero, egli continua a voltare faccia così rapidamente che si ottiene l’impressione che deve aver vergogna di entrambe le sue facce, quella Riformata e quella Pelagiana. Vedete, le Confessioni Riformate insegnano in linguaggio molto chiaro e conciso che l’uomo naturale è del tutto incapace di fare alcun bene. Di più. Esse dichiarano perfino che egli corrompe e contamina interamente la sua luce naturale e la trattiene nell’ingiustizia [ultime due enfasi del traduttore], perfino nelle cose naturali e civili. Ma il terzo punto dichiara l’opposto stesso, ovvero, che attraverso un’influenza di Dio su di lui l’uomo naturale è in grado di fare del bene civile. Non meraviglia che Janus arrossisce ed è del tutto imbarazzato e comincia a ruotare così velocemente che non si può più distinguere tra le sue due facce.
Lasciate che dia qualche illustrazione di quanto detto.
Cito dal Registro di Corte della Corte del Circuito della Contea del Kent. Il Dr. Beets siede come testimone e risponde ad un esame diretto come segue:
Domanda. Il reclamo di Herman Hoeksema, come egli afferma dal banco, che egli non concorda con questi tre punti, e quanto al terzo punto egli dice: “La questione è semplicemente se l’uomo naturale anche nel compiere questa giustizia civica sta compiendo del bene dinanzi a Dio, o se egli pecca. Questa è la questione. E allora io sostengo, qualsiasi cosa faccia l’uomo naturale, non importa cosa possa fare, fintanto che egli assume l’attitudine di odio contro il suo Dio e non ama il suo Dio con tutto il suo cuore e mente ed anima e forza, fintanto che quest’amore di Dio non è il motivo più profondo di tutto ciò che fa, è peccato dinanzi a Dio, non importa cosa faccia, in modo assoluto.” Cosa direbbe che questa è dottrina Riformata?
Risposta. Noi distinguiamo tra diversi tipi di bene, signore.
D. Bene, le chiedo se direbbe o no che questa è dottrina Riformata.
R. Io non assentirei a tutte le sue qualifiche, no, signore.
D. Perché non è dottrina Riformata quello che io ho letto?
R. Perché si spinge troppo in là in alcune delle affermazioni, non differenziando in modo sufficiente.
D. E’ dottrina Riformata che gli irrigenerati, non importa cosa facciano, peccano davanti a Dio?
R. Stavo per …
D. No, segua questa domanda.
R. Perché non mi permette di affermare che …?
D. Beh, dopo, ma si può dare una risposta a questo? Forse non mi sono spiegato sufficientemente.
R. Beh, non a tutte le domande si può rispondere solo con sì o no, signore. Mi piacerebbe fare delle qualifiche.
Da questa parte dell’esaminazione è perfettamente chiaro che il Dr. Beets si rifiutò di dare una risposta senza qualifiche alla domanda: gli irrigenerati peccano sempre? La domanda era molto definita. Non vi è niente nella domanda stessa per cui non si dovrebbe rispondere con un sì o con un no. Infatti, non vi è una terza via concepibile per dare risposta ad essa. Non rispondere alla domanda con sì o no è semplicemente evadere il punto. E questo è esattamente quanto fece il Dr. Beets.
In seguito, il Dr. Beets, avendo spiegato alla Corte che distingue tra quattro tipi di bene: naturale, civile, morale, e spirituale, l’esame continuò come segue:
D. Ma sul primo dei tre punti, se un non rigenerato compie quei primi tre punti che lei ha menzionato, pecca o no?
R. Le ho detto che la dottrina delle Chiese Riformate è che possiamo fare del bene naturale, bene civico o civile, e bene morale o ecclesiastico.
Di nuovo, il lettore noterà che il Dr. Beets cerca di evitare la domanda a riguardo di se l’uomo irrigenerato pecca sempre. Ma l’avvocato persiste. Egli era di certo convinto che una tale dottrina medievale della totale depravazione che sosterrebbe che l’uomo del mondo non potrebbe fare nient’altro che peccato non era la dottrina delle chiese Riformate. Quindi, egli batte ancora il soggetto:
D. Bene, chi può farlo?
R. Attraverso la grazia comune noi tutti possiamo fare queste cose.
D. Che siano salvati o meno?
R. Sì, signore.
D. Ciò significa che gli irrigenerati possono fare queste cose e non essere colpevoli di peccato?
R. Ovviamente, tutto il nostro bene, perfino il nostro bene naturale e civico e morale ed ecclesiastico, è tutto contaminato dal peccato dinanzi ad un Dio santo.
D. Ma possono gli irrigenerati fare del bene?
R. Questo è quanto la nostra chiesa insegna, signore. Bene civico.
D. Bene civico?
R. Sì, signore.
L’avvocato non è ancora soddisfatto, e ciò non meraviglia. Egli voleva una risposta alla domanda: gli irrigenerati peccano sempre? Ed egli percepisce di non aver ricevuto una risposta, non importa quanto abbia incalzato il suo testimone. Quindi, egli continua:
D. E direbbe che il reclamo di Herman Hoeksema, come l’ho letto qui, è in conflitto con quanto il sinodo ha stabilito?
R. Ho detto poco fa che non accetterei tutte le sue qualifiche. La sua affermazione è stata piuttosto generalizzante.
D. Cioè, egli sostiene che qualsiasi cosa l’uomo naturale possa fare, non importa cosa, fintanto che assume un’attitudine di odio contro Dio, fintanto che non ama il suo Dio con tutto il suo cuore e mente ed anima e forza, fintanto che l’amore di Dio non è il più profondo motivo di tutto ciò che fa, è peccato davanti a Dio, non importa cosa faccia, in modo assoluto. Direbbe che questo è … che lei è d’accordo con questo?
R. Cosa significa in modo assoluto, signore?
D. Beh, non lo so, sto usando il suo linguaggio.
R. Io pensavo che ero stato chiaro abbastanza nell’affermare che non accetto tutte le sue qualifiche.
Da ciò è perfettamente evidente che il Dr. Beets ancora non aveva risposto alla domanda se tutto ciò che l’irrigenerato fa è peccato dinanzi a Dio. Non molesterò più il Dr. Beets per ottenere una risposta alla nostra domanda riguardo al reale ed esatto significato del terzo punto. Soltanto, il pezzo di conversazione citato sopra è troppo interessante perché si permetta sia relegato nel dimenticatoio.
Interroghiamo il Prof. Berkhof su questo punto e cerchiamo di ottenere una risposta alla nostra domanda dal suo booklet sui tre punti.
Domanda 1: Secondo la sua concezione, professore, l’uomo naturale è del tutto incapace di fare alcun bene ed inclinato ad ogni male?
Risposta. Di certo egli lo è: “l’uomo naturale è del tutto incapace di fare ciò che è davvero buono. Perché questo procede sempre dalla radice della fede e dell’amore verso Dio, non è meramente esteriore ma nei suoi più profondi motivazioni è in accordo con la legge di Dio, e trova il suo fine ultimo nella gloria di Dio. Esso è bene nel pieno senso della parola. E siccome l’uomo per natura è morto nel peccato e nei falli egli non è in grado di compierlo” (p. 50).
Non male. Probabilmente potremmo sentirci in qualche modo sospettosi perchè il professore parla di “ciò che è veramente buono” come se uno potrebbe parlare anche di “ciò che è falsamente buono” e perchè egli modifica l’idea di “buono” mediante la frase “nel pieno senso della parola” come se un “bene nel senso mezzo della parola” anche fosse concepibile. E, quindi, rimaniamo in guardia. Tuttavia, il professore qui di certo sostiene la verità che l’uomo naturale è, da sé e per natura, incapace di fare il bene.
Domanda 2. Ma è questo uomo naturale, che è morto in peccati e falli ed incapace di fare ciò che è veramente buono, in grado di fare il bene dinanzi a Dio nella sfera delle cose civili, nelle diverse sfere della vita naturale?
Risposta. Certo, lo è; perchè “in un senso positivo il sinodo ha dichiarato che l’irrigenerato è in grado di compiere la giustizia civile o bene civile” (p. 50).
Domanda 3. Sarebbe in grado di definire questo bene che un uomo totalmente depravato è capace di fare?
Risposta. “Non è facile definire il bene che l’uomo irrigenerato può fare. Le sue opere possono essere chiamate buone, (a) in un senso soggettivo, fintanto che esse sono il frutto di inclinazioni ed affezioni che toccano le mutue relazioni degli uomini, che sono esse stesse relativamente buone, e in virtù dei rimanenti dell’immagine di Dio che sono ancora operanti nell’uomo; e (b) in un senso oggettivo, se essi con riguardo alla cosa in quanto tale sono opere prescritte dalla legge, e nella sfera della vita sociale corrispondono ad un proposito che è gradito a Dio” (pp. 50-51).
Domanda 4. Ma se lei attribuisce all’uomo naturale opere che hanno la loro origine nelle buone inclinazioni ed affezioni che sono, poi, in armonia con la legge di Dio e per un proposito che è accettevole a Dio, non nega lei, dopo tutto, la totale depravazione della natura umana?
Risposta. No, affatto, perché “se da un lato riconosciamo questo bene civico, non si nega che questo bene relativo è, allo stesso tempo, peccaminoso, se lo consideriamo da un altro punto di vista. Non è un bene nel senso pieno della parola, ma solo un bene relativo. Assomiglia in qualche modo al frutto appassito che si può trovare a volte su un albero o arbusto che è tagliato alla sua radice … perfino le opere migliori degli empi sono, da un punto di vista formale, e per quanto riguarda il modo in cui sono compiute, interamente peccaminose … Allo stesso tempo è un bene in un senso relativo. La mera asserzione che tutte le opere degli irrigenerati sono peccaminose, senza alcuna qualifica, fallisce di distinguere in maniera appropriata, contiene soltanto una parziale verità ed è caratterizzata da assolutismo, che è condannato dall’analogia della Scrittura, dalle nostre Confessioni e dalla teologia Riformata” (p. 53).
Domanda 5. Ma, professore, vuole insegnarci, quindi, che il peccato può essere relativamente buono e che il bene può essere relativamente peccaminoso? In questo modo non sta minando le fondazioni stesse di ogni etica e moralità?
Risposta. “Dobbiamo tenere a mente che il sinodo non ci ha dato alcuna definizione di questo bene civile, e, quindi, non può essere considerato responsabile per alcuna definizione o qualificazione. Esso ha soltanto dichiarato che gli irrigenerati sono in grado di compiere giustizia civile” (p. 52).
Domanda 6. Molto bene, professore, ma lei certamente interpreta questo terzo punto. E secondo lei questo bene civile è un bene peccaminoso o un buon peccato. Sarebbe in grado di spiegarci in che modo l’uomo naturale compie questo bene peccaminoso?
Risposta. E’ evidente dalla dichiarazione del sinodo, “che esso spiega questo bene civile da un’influenza che Dio esercita sull’uomo senza rinnovare il cuore. Se l’uomo fosse lasciato a se stesso non sarebbe nemmeno in grado di compiere questo bene civile. Deve essere attribuito alla briglia mediante la quale Dio governa l’uomo, e alle generali operazioni dello Spirito Santo sull’intelletto, volontà, e coscienza. Per questa ragione questo bene naturale non intitola l’uomo ad alcun reclamo di ricevere redarguizione” (p. 52).
Domanda 7. Ma, professore, ascriverebbe questo frutto appassito di un bene peccaminoso o un buon peccato ad un’operazione dello Spirito Santo che migliora l’uomo?
Risposta. Io insisto “la giustizia civile non può essere negata, a meno che si sceglie di chiudere gli occhi alla realtà della vita, e il popolo Riformato trova la spiegazione di questo in un’operazione della grazia comune di Dio” (p. 53).
E’ evidente che non otteniamo niente se permettiamo a Janus di continuare a girare intorno. Se si dice che l’irrigenerato non fa nient’altro che peccato, la risposta è: “sei fin troppo assoluto, perché l’uomo naturale compie di certo il bene nelle cose civili.” Se, ancora, si conclude: allora l’uomo non è totalmente depravato la risposta giunge “egli lo è, perché anche questo bene è peccato.” Non ci incastriamo, allora, disperatamente in una rete di contraddizioni? Faremo bene, quindi, a forzare Janus a giungere ad un punto fermo e a mostrarci soltanto la faccia che è ritratta nel terzo punto, in modo da poter determinare se le sue caratteristiche siano o meno in armonia con le linee Riformate tirate nella Scrittura e le Confessioni.
Cosa implica, allora, il terzo punto? Possiamo scoprire i seguenti punti:
1. Che l’uomo naturale è incapace di compiere del bene salvifico. Egli non può fare del bene spirituale, cioè, non può giungere a compiere quelle opere che il rigenerato compie attraverso lo Spirito di Cristo. Da se stesso non può giungere a conversione, non può amare Dio, non può mirare in tutte le cose alla gloria di Dio. Ciò è chiaramente espresso nel terzo punto. Il bene salvifico è incapace di compierlo. Dio non rinnova il suo cuore.
2. Tuttavia, quest’uomo naturale compie molte buone opere nel dominio di questa vita presente. Molte cose fa nella sfera della vita di famiglia, della vita sociale, e politica che sono realmente buone dinanzi a Dio, moralmente se non spiritualmente buone. Di fatto, mediante il bene che egli fa, il figlio di Dio è spesso svergognato.
3. Questo bene, tuttavia, non procede propriamente dall’uomo depravato in quanto tale. Se fosse lasciato a se stesso non sarebbe in grado nemmeno di compiere questa giustizia civile. Essa non procede dal suo cuore come sua fonte più profonda. Le buone opere degli empi sono non i frutti della sua corrotta natura, e, quindi, l’uomo naturale che fa questo bene in realtà non ha parte con le sue opere, e non ha diritto ad alcun riguardo.
4. Propriamente, questo bene è l’opera dello Spirito Santo, il frutto di un’influenza di grazia da parte di Dio che tocca l’uomo naturale. Egli influenza in tal modo la natura corrotta che nel caso dell’uomo naturale, irrigenerato, l’albero cattivo porta un frutto buono. Lo Spirito non penetra il cuore di quest’uomo naturale che porta frutti di buone opere nella sfera delle cose civili, e tuttavia Egli migliora in tal modo la natura, la mente, la volontà, la coscienza, Egli dirige in modo tale i pensieri, i desideri, le affezioni e le inclinazioni degli empi, che, con un cuore che si trova opposto a Dio ed è riempito di inimicizia contro di Lui, egli tuttavia vive secondo la legge di Dio e segue propositi che Gli sono graditi. Lo Spirito forza, obbliga le operazioni di quella natura empia nella giusta direzione come il timoniere forza un vascello ad andare contro vento. E così l’uomo naturale, nel quale mediante la potenza restrittiva dello Spirito Santo è rimasto molto di buono dal Paradiso, e che è costantemente preservato dalle medesime operazioni dello Spirito, alla fine, mediante questa influenza obbligante dello Spirito, giunge anche a compiere opere davvero buone, anche se soltanto nella sfera delle cose naturali e civili.
Egli vive una buona vita mondana dinanzi a Dio. Egli non pecca in modo necessario nel suo cammino di vita. Egli compie molto bene che è realmente buono dinanzi a Dio. Come le buone opere degli eletti le sue opere sono macchiate di peccato, ma nonostante questo esse sono buone. Attraverso la magica influenza della grazia comune l’albero corrotto porta un buon frutto. La rigenerazione è un miracolo, la grazia comune è magica. La stessa fontana emette acqua dolce e acqua amara!
E così il mondo delle tenebre è mutato in luce. Esso è pieno di uomini che sono totalmente depravati quanto alla loro natura, ma che sono in realtà buoni. Nella vita pratica vera e propria non trovate uomini che sono totalmente corrotti. La differenza tra i giusti e gli empi è, per quanto riguarda questa vita, completamente obliterata.
Con quanta enfasi i nostri oppositori intendono sostenere che l’uomo naturale è realmente in grado di fare del bene dinanzi a Dio in virtù di questa influenza obbligante dello Spirito Santo sarà ancora più evidente da una comparazione tra questa dottrina del sinodo del 1924 e le vedute espresse su questo soggetto prima che il sinodo tenne le sue sessioni. Noi avevamo scritto come segue: E cos’è, allora, la giustizia civile? Secondo la nostra veduta, l’uomo naturale discerne le relazioni, leggi, regole della vita e comunione, etc., per come esse sono ordinate da Dio. Egli vede la loro proprietà ed utilità. Ed egli adatta se stesso ad esse per un tornaconto personale. Se in questo tentativo ha successo, il risultato è un atto che mostra una somiglianza esteriore e formale alle leggi di Dio. Allora abbiamo la giustizia civile, un rispetto per la virtù e per il portamento esteriore. E se questo tentativo fallisce, come frequentemente accade, la giustizia civile scompare ed il risultato è esattamente l’opposto. Il suo errore fondamentale, tuttavia, è che egli non cerca Dio, né mira a Lui e alla Sua gloria, perfino in questo riguardo per la virtù e un portamento esteriore. Al contrario, egli cerca se stesso, sia individualmente che in comunione con altri peccatori e con il mondo intero, ed è suo proposito affermare se stesso perfino nel suo peccato contro Dio. E questo è peccato. Ed in realtà la sua opera ha anche effetti malvagi su se stesso e le altre creature. Perché le sue azioni in relazione agli uomini e alle altre creature sono compiute secondo la stessa regola e con simili risultati. E così accade che il peccato si sviluppa costantemente e la corruzione aumenta, mentre rimangono ancora un adattamento formale alle leggi ordinate da Dio per la vita presente. Tuttavia l’uomo naturale non raggiunge mai alcun bene etico. Questa è la nostra veduta (Langs Zuivere Banen, pp. 72-73).
Questo noi scrivemmo prima del sinodo del 1924. Il Sinodo era a conoscenza di questo. Esso ha condannato la nostra veduta ed ha sostituito la sua per come espressa nel terzo punto. E a motivo della nostra veduta di questa cosiddetta giustizia civile esso ci ha espulso dalle Christian Reformed Churches (nel 1926 il sinodo ha approvato l’azione della Classe di Grand Rapids Est). Ciò prova chiaramente quanto fortemente le Christian Reformed Churches intendono enfatizzare che l’uomo naturale non pecca sempre in tutte le sue vie, ma è realmente in grado di fare ciò che è buono dinanzi a Dio nella sfera di questa vita presente in virtù dell’influenza della grazia comune di Dio.
Contrariamente a questa veduta abbiamo molte obiezioni di natura dottrinale generale.
Prima di tutto può essere osservato che questa veduta di certo abbassa lo standard di vita morale ed etico, di cosa è buono e cosa è male. Cercare di sostenere, da un lato, che l’uomo è interamente depravato e, dall’altro, che egli è in grado di compiere buone opere conduce alla veduta che il bene può essere male e il male bene allo stesso tempo. Conduce alla concezione della relatività di bene e male. Il Prof. Berkhof parla di un bene che è allo stesso tempo peccaminoso e del peccato che è relativamente buono. Egli parla di bene nel pieno senso della parola e di “ciò che è veramente buono,” implicando naturalmente che un atto etico può essere anche mezzo buono e mezzo cattivo. Ed egli considera perfino la veduta che sostiene che l’uomo naturale può solo peccare come un assolutismo che deve essere condannato. Io considero questa introduzione della nozione della relatività nella sfera dell’etica e della moralità assolutamente perniciosa, ed i malvagi effetti di questa veduta sono osservati fin troppo chiaramente nella vita reale del popolo di Dio nel mondo. Ogni linea di distinzione sta essendo obliterata sulla base di questa filosofia. Una sfera di transizione, una comune sfera di vita, è creata da essa, una sfera dove il giusto e l’empio hanno comunione l’uno con l’altro e vivono la medesima vita. Una concezione molto superficiale è formata mediante questa filosofia della relatività del bene e male, di cosa è buono dinanzi a Dio. La vera coscienza del peccato è pressoché impossibile alla luce di questa concezione, ed il vero timore del Signore è sradicato.
Quando uno considera questa veduta nelle sue tendenze reali e fondamentali, non si può fare a meno di rabbrividire con orrore e timore per il futuro di una chiesa che segue questa direzione. E’ esattamente la veduta che Berkhof condanna come caratterizzata da assolutismo che la Scrittura ovunque sostiene come la verità. Qualcosa è o bene o male, non relativamente, ma in modo assoluto. Il peccato è ingiustizia. Il bene è ciò che procede dalla fede, è compiuto secondo la legge di Dio, e mira alla glorificazione del Suo nome. Tutto il resto è peccato. La luce e le tenebre non sono concezioni relative. Dio è il solo criterio per ciò che è buono. Ed Egli è l’Assoluto. Soltanto ciò che è in armonia con la Sua volontà è buono, non in modo relativo ma assoluto. Tale è la testimonianza della Scrittura. Ma il terzo punto abbassa lo standard etico di vita, amalgama luce e tenebre, fa che la Chiesa sia ingoiata dal mondo. E’ detrimentale al timore di Dio nella vita. E gli effetti di questa teoria della grazia comune sono già chiaramente visibili nella vita della chiesa.
In secondo luogo, nella misura in cui questo bene che è compiuto dagli empi è ascritto ad un’operazione dello Spirito Santo sull’uomo naturale, essa è sia deterministica che un attacco alla santità stessa di Dio. E’ la seconda perché cos’altro è se non un attacco alla santità stessa di Dio quando questo bene peccaminoso dell’uomo naturale, questo frutto appassito di quest’albero sradicato è presentato come un effetto di un’operazione dello Spirito Santo? Tuttavia è dichiarato in modo enfatico che le buone opere dell’uomo naturale non sono le sue proprie ma sono i frutti dell’operazione dello Spirito Santo. L’uomo da se stesso è morto nei falli e nei peccati, egli è come un albero che è tagliato dalla sua radice, è certamente incapace di portare buon frutto. E, quindi, il bene che egli fa procede non dal suo cuore, ma dallo Spirito Santo, Che porta buon frutto da un albero cattivo. Questi frutti, tuttavia, che sono il risultato diretto dell’operazione dello Spirito di Dio, non sono radicati nell’amore di Dio ma nell’amore di sé, essi non mirano alla gloria di Dio, ma all’affermarsi di un uomo peccaminoso contro Dio. Il Prof. Berkhof stesso ammette questo. Tuttavia lo Spirito Santo produce questi frutti! Egli è in realtà il solo autore!
Di certo, da questo punto di vista il terzo punto è un diniego di, anzi mi si lasci dire, un attacco alla santità di Dio. Ma esso è anche deterministico nel senso stretto della parola. Perché questa operazione dello Spirito, che obbliga l’uomo naturale a fare del bene, distrugge letteralmente la sua natura morale e lo rende un mero strumento nel potere dello Spirito. Si ricordi che mediante questa operazione dello Spirito Santo l’uomo naturale non è rinnovato. Il suo cuore non è mutato. Egli si suppone rimanga del tutto incapace di fare alcun bene ed inclinato ad ogni male. Perfino le sue supposte buone opere non provengono dal suo cuore. Egli non si propone di fare del bene. Non ama il bene, ma lo odia. Egli in realtà non compie il bene, ma lo compie lo Spirito Santo. I suoi atti non sono suoi. Il Prof. Berkhof non mette in evidenza questo aspetto della teoria come il Dr. A. Kuyper nel suo De Gemeene Gratie (La Grazia Comune). Quest’ultimo esprime in modo letterale ed enfatico che l’Ego proprio dell’uomo naturale non è coinvolto affatto nelle sue buone opere. Secondo lui l’uomo naturale è proprio come la nave che è diretta dalla volontà del timoniere, cioè, egli è eticamente morto, non è affatto un agente morale. E che questa sia anche la veduta del Prof. Berkhof lo si realizza quando quest’ultimo scrive: “quindi (i.e., siccome questo bene dell’uomo naturale deve essere attribuito ad un’influenza di Dio su di lui), questo bene naturale non dà all’uomo alcun titolo di redarguizione.” Egli non è redarguito per le sue buone opere. Ma questa concezione è possibile soltanto se procediamo dall’assunzione che l’uomo naturale in realtà non è il soggetto etico delle sue proprie buone opere. Lo Spirito Santo lo obbliga, determina lui e le sue opere. Quindi, egli non ha redarguizione, ma con tutte le sue buone opere è gettato nella perdizione eterna!
E ciò costituisce la nostra terza obiezione. La concezione del terzo punto è positivamente immorale ed è un attacco alla rettitudine e giustizia di Dio, una perversione dell’ordine morale, quando insegna che l’uomo naturale compie buone opere che non sono mai redarguite. Dio è giusto. E la giustizia di Dio implica e richiede che Egli punisca il male e redarguisca il bene. Colui che nega o altera questo, sta semplicemente sovvertendo l’ordine morale. Tuttavia per difendere il terzo punto e la teoria della grazia comune ciò diviene necessario. L’uomo naturale compie molto bene. Ciò è enfatizzato. Egli spesso sorpassa il figlio di Dio nelle buone opere e lo fa vergognare. Giudicato dallo standard del terzo punto e dalla teoria della grazia comune non dovrebbe essere difficile scoprire uomini in questo mondo che non fanno nient’altro che bene tutta la loro vita. Essi non commettono peccati grossolani, vivono temperatamente e castamente, si sacrificano perfino per il benessere del mondo e dell’umanità. Giudicati alla luce della teoria della grazia comune, tali persone in realtà non fanno nient’altro che bene per tutta la loro vita. Il loro cammino nel mondo è buono dinanzi a Dio. Il Signore bolla la loro opera come buona. E poi una volta che hanno speso l’intera loro vita nel fare del bene, essi sono gettati nella perdizione eterna! Dove è, allora la giustizia di Dio? E’ Dio mutabile? Forse che Egli approva le opere degli empi in questa vita per poi condannarle come corrotte nel giorno del giudizio? In questo modo la giustizia di Dio è attaccata e negata e l’ordine morale del mondo è sovvertito. Perché ciò che dinanzi a Dio è buono è buono per sempre e deve di certo essere redarguito col bene!
Tuttavia, la nostra principale obiezione a questa intera teoria è che alla fine è fondamentalmente Pelagiana. Essa in realtà è un diniego della totale depravazione dell’uomo. Perché quando mettiamo da parte tutti i ragionamenti sofisticati e i disperati tentativi di mostrare in che modo un uomo totalmente depravato sia in grado di fare buone opere ed un albero interamente corrotto possa ancora portare buon frutto, resta il crudo fatto che mediante questa teoria l’uomo per come si rivela veramente in questo mondo non è totalmente depravato ed interamente corrotto. La reale veduta di questo terzo punto, in connessione al secondo, può essere brevemente e correttamente espressa dicendo che l’uomo sarebbe stato interamente depravato ed incapace di fare alcun bene, se non vi fosse alcuna influenza della grazia comune. Ora, però, egli non è interamente corrotto. Si può, quindi, ancora sostenere che questa veduta non è Pelagiana perché insegna chiaramente che l’uomo naturale è incapace di dare alcun bene spirituale, ma il fatto rimane che secondo questa teoria egli vive una buona vita mondana dinanzi a Dio, buona quanto quella del rigenerato, se non migliore. L’antitesi è obliterata e il divario tra la chiesa ed il mondo è rimosso, e la prima è giustificata nello sposare una causa comune con il secondo nelle cose di questa vita presente. Proprio come in principio il primo punto nega la verità che la grazia è particolare, così gli ultimi due punti negano la verità Riformata che l’uomo per natura è interamente depravato, incapace di fare alcun bene ed inclinato ad ogni male. Ed è soltanto mediante un bel pò di sofismi che questa reale implicazione del terzo punto può essere negata.
Che non vi sia base per questa concezione nelle Confessioni delle chiese Riformate, nemmeno nelle poche citazioni fatte dal sinodo, lo abbiamo chiaramente mostrato nel primo capitolo di questo libretto. Le Confessioni fanno menzione di rimanenti di luce naturale, ma non parlano mai di un’influenza di Dio sull’uomo naturale mediante la quale è migliorato o riformato. Le Confessioni insegnano che in virtù di questa luce naturale l’uomo ha ritenuto qualche conoscenza di Dio e delle cose naturali, della differenza tra il bene e il male, ma esse non affermano mai, o nemmeno suggeriscono per implicazione, che l’uomo naturale compia davvero buone opere. Le Confessioni dichiarano che, in virtù di questa luce naturale, l’uomo caduto dimostra una qualche ricerca della virtù e di una disciplina esterna (aliquod virtutis ac disciplinae externae studium ostendit) ma in nessun luogo esse esprimono o implicano che può compiere buone opere. E per quanto riguarda questa cosiddetta giustizia civile può essere osservato non soltanto che il termine non si trova nelle Confessioni Riformate, ma perfino che esse negano l’idea stessa. Ciò è evidente appena lo stesso articolo che è citato soltanto parzialmente dal sinodo è letto nella sua interezza. Perché esso dichiara che l’uomo naturale è incapace di usare questa luce naturale rettamente perfino nelle cose naturali e civili (ut ne quidem eo in naturali bus ac civili bus recte utatur), anzi di più, quale che essa effettivamente sia, la contamina totalmente in vari modi, e la detiene nell’ingiustizia (quinimo qua lecumque id demum sit, id totum variis modis contaminet, atque in injustitia detineat).
Le Confessioni non insegnano che qui vi è un’influenza di Dio sull’uomo per la quale è mantenuto un portamento ordinato nella vita pubblica, ma che i magistrati e il potere della polizia sono necessari per questo proposito (Art. 36). Le Confessioni dichiarano chiaramente che tutta la luce che è in noi, perfino la luce naturale, è tenebre eticamente e spiritualmente (Art. 14). Le Confessioni dichiarano senza qualifica che l’uomo irrigenerato è del tutto incapace di fare alcun bene ed inclinato ad ogni male (Catechismo D&R 8). E non un singolo passaggio delle formule di unità può essere addotto come prova della contenzione che vi è un’influenza di Dio, un’operazione dello Spirito Santo, che migliori il peccatore al di fuori dell’opera di rigenerazione. Ed io sfido apertamente il Prof. Berkhof o chiunque a mostrare dove le Confessioni parlano di tali operazioni.
La Scrittura supporta ancora meno tale teoria. Il sinodo si pone in una posizione che suscita pietà mediante le sue supposte prove dalla Scrittura per supportare questo terzo punto. Prima di tutto, ha scoperto nella Scrittura tre esempi di uomini che erano irrigenerati e di cui la Scrittura dichiara che fecero ciò che era giusto agli occhi del Signore. I tre esempi sono quelli di Jehu, il generale che divenne re d’Israele, e di Jehoash ed Amaziah, re di Giuda. Di Jehu leggiamo che il bene che fece consistette nello sterminio dell’intera casa di Achab, come Dio gli aveva comandato. Leggiamo che fece bene nell’eseguire il comandamento di Dio per quanto riguarda questo. Ma allo stesso tempo leggiamo che Jehu non si allontanò dai peccati di Geroboamo e che non camminò, non si curò di camminare nella legge del Signore con tutto il suo cuore (II Re 10:29-30). Ed il suo sterminio della casa di Achab è successivamente ritenuto come spargimento di sangue che sarà rivendicato sulla casa di Jehu (Osea 1:4). Dinanzi a che tipo di caso, allora, ci troviamo? E compì egli forse questo bene morale o etico sotto una certa influenza dello Spirito Santo? La sua natura peccaminosa fu in qualche maniera riformata o migliorata prima di poter intraprendere il compito di sterminare la casa di Achab? No affatto! Il contrario stesso è vero. Jehu non si curava di Jehovah e del Suo servizio. Ciò è evidente dal fatto che non si allontanò dalle vie e peccati di Geroboamo. La sua motivazione nell’eseguire il comando di Dio nello sterminare la casa di Achab era radicalmente differente. Jehu era ambizioso. L’amore del potere e della gloria, un desiderio di distinguersi e di rendersi superiore, lo controllava. Ed il comando di Jehovah di distruggere la casa di Achab per lui era il modo di realizzare la sua ambizione. La speranza della corona regale lo ispirava. E l’abilità naturale di Jehu era adatta a raggiungere la sua ambizione. Quindi non c’è bisogno di essere sorpresi che fece bene, cioè, che eseguì il comando del Signore in modo completo e veloce. Ma non vi era alcun valore morale positivo in tutta la sua opera. Da un punto di vista etico, non importa quanto bene egli eseguì la Parola di Jehovah, la sua opera fu peccaminosa, radicata nell’amore di se stesso e che mirava alla sua propria gloria e alla realizzazione della sua ambizione. Una speciale operazione dello Spirito Santo nel cuore di Jehu per restringere il peccato di certo era del tutto non necessaria per questo proposito, e la Scrittura non parla d’essa nemmeno con una sola parola.
Nè leggiamo di una tale operazione di grazia comune in connessione ai casi di Jehoash ed Amaziah. In entrambi i casi i re si adattarono esteriormente alla legge del Signore per quanto riguardava il loro regno. Essi mostrarono un riguardo per un portamento esteriore ordinato nel governare sul loro popolo. Nel caso di Jehoash ci è detto distintamente che il re si comportò correttamente agli occhi del Signore fintanto che fu sotto l’influenza della potente personalità del sacerdote Jehoiada. Ma in nessuno dei due casi leggiamo, nemmeno per implicazione o suggerimento, che vi fu un’operazione dello Spirito su questi re, un’influenza miglioratrice da parte di Dio della loro natura peccaminosa che fece sì che l’albero cattivo portasse un frutto buono.
Inoltre, il fatto stesso che il sinodo fa riferimento a questi esempi mostra in modo sufficiente quanto disperato sia il caso del terzo punto. Non insegna che vi è una tale influenza di Dio su tutti gli uomini, mediante la quale essi sono in grado di fare del bene civile? Concesse, allora, meramente a motivo dell’argomento, che le illustrazione di Jehoash ed Amaziah suggeriscano una tale operazione di grazia comune, dov’è la prova di una simile operazione dello Spirito su tutti gli altri empi re di Israele e Giuda? L’operazione dello Spirito di cui parla il sinodo non compare molto comunemente o generalmente. Ma tutte queste e simili illustrazioni mostrano semplicemente che l’uomo caduto mediante la sua luce naturale, senza alcuna operazione di grazia comune, e mentre rimane del tutto peccaminoso in tutte le sue opere e perverso in tutte le sue vie, può mostrare, per svariate ragioni e motivazioni che sono sempre peccaminose, qualche riguardo per un portamento esteriormente ordinato e può adattarsi nella sua vita esteriore alla legge di Dio.
Il sinodo si riferisce anche ad alcune espressioni dirette nella Sacra Scrittura che si suppone insegnino che l’uomo naturale è in grado di fare del bene. Prima di tutto chiama la nostra attenzione a Luca 6:33: “E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che ringraziamento ne avete? Perché i peccatori anche fanno lo stesso.” Ma per quanto riguarda questo passaggio, la citazione stessa del quale rivela quanto debole è il caso del sinodo, possiamo osservare: (1) che il Signore in queste stesse parole non parla affatto di alcun bene etico o morale che i peccatori fanno dinanzi a Dio, ma della pratica generale dei peccatori di favorirsi l’uno con l’altro. Essi fanno del bene l’uno all’altro, cioè, favoriscono coloro che fanno loro del bene. (2) Che è il proposito stesso di Gesù di mettere in evidenza ai Suoi discepoli che non vi è alcun valore etico o morale in questa pratica dei peccatori, perché essi fanno del bene soltanto a coloro dai quali sono favoriti, il che è puro egoismo, e, quindi, eticamente sbagliato. (3) Che questa pratica moralmente ed eticamente errata, di certo non può essere ascritta ad un’influenza di Dio su questi peccatori, né nel testo vi è il più pallido suggerimento di una tale influenza. Il testo, quindi, non offre supporto alcuno al terzo punto.
Il secondo passaggio a cui il sinodo fa riferimento, tuttavia, sembra avere un maggior peso. E’ Romani 2:14: “Perché quando i Gentili, che non hanno la legge, fanno per natura le cose contenute nella legge, questi non avendo la legge sono legge a se stessi.” Il Prof. Berkhof, nel suo libretto sui tre punti, offre una breve interpretazione di questo testo. Egli contende che per “le cose contenute nella legge” (letteralmente: “le cose che sono della legge,” secondo il greco originale) devono essere intese le cose che sono richieste dalla legge. In supporto di questa interpretazione, egli si appella a Romani 10:5 e Galati 3:12. In Romani 10:5 leggiamo: “Perché Mosè descrive la giustizia che è della legge, che l’uomo che fa quelle cose vivrà mediante esse.” Ed in Galati 3:12: “E la legge non è dalla fede, ma l’uomo che le compie vivrà in esse.” Entrambi questi passaggi insegnano chiaramente che l’uomo che fa le cose richieste dalla legge è giusto e vivrà. Egli acquista la giustizia che è della legge. Se, quindi, la contenzione del Prof. Berkhof è corretta, che in Romani 2:14 l’espressione “le cose che sono della legge” significa le cose che la legge richiede, come in Romani 10:5 e Galati 3:12, segue anche con logica di ferro che Paolo insegna nel primo passaggio che i Gentili sono giusti e vivono mediante le opere della legge. Perché egli dichiara che i Gentili fanno per natura le cose che sono della legge. Ma questa interpretazione confuta se stessa, perché è evidente dal contesto al capitolo 2 che l’apostolo si propone di provare l’opposto stesso, ovvero, che nessun uomo è giustificato mediante le opere della legge. Tutti hanno peccato e sono condannati. Tutti periscono, che abbiano peccato con o senza la legge. I Gentili non hanno la proclamazione esterna della legge. Tuttavia essi peccano e dovranno darne conto. E ai versi 14 e 15 l’apostolo non contraddice questa affermazione dicendo che i Gentili osservano la legge e fanno del bene, ma spiega semplicemente in che modo è possibile che coloro che non hanno la legge possono tuttavia peccare, essere considerati responsabili, ed essere giudicati. In tutta la loro vita e cammino essi mostrano che hanno l’opera della legge scritta nei loro cuori (v. 15).
Qual è l’opera della legge? Dichiarare ciò che è buono e ciò che è male. Tirare le linee di demarcazione tra luce e tenebre. Proclamare la volontà di Dio concernente la nostra vita. Quest’opera della legge, questa luce naturale, mediante la quale possono discernere tra il bene e il male, i Gentili l’hanno nei loro cuori. Essi sono legge a se stessi (v. 14). E così essi per natura compiono le cose della legge, cioè, fanno le cose che la legge esterna fa nel mezzo di Israele: tirano le linee di demarcazione tra il bene e il male. Tuttavia, anche se essi mostrano l’opera della legge scritta nei loro cuori e rivelano chiaramente che discernono tra giustizia e ingiustizia, tra luce e tenebre, tuttavia essi seguono le tenebre e sguazzano nella più terribile iniquità, come l’apostolo ha esposto nel primo capitolo (vv. 18-32). E, quindi, essi sono responsabili, perché peccano coscientemente, quali esseri morali, e periranno senza la legge. L’interpretazione del Prof. Berkhof deve di certo essere rigettata quale interamente contraria al significato dell’apostolo. Ed il sinodo erra seriamente quando offre questo passaggio come prova della contenzione che vi è un’operazione generale dello Spirito Santo sugli uomini per la quale sono messi in grado di fare del bene.
Inoltre, quale peso argomentativo vi è in questi pochi passaggi del sinodo quando considerati alla luce della testimonianza sopraffacente della Parola di Dio che dichiara che l’uomo naturale non fa mai alcun bene? La Scrittura non parla mai di un bene relativo o di un male relativo. E’ assoluta. Non insegna mai che l’uomo naturale è soltanto incapace di fare del bene salvifico ma capace di fare del bene morale, naturale, o civile. Essa dichiara sempre l’opposto stesso, ovvero, che tutti gli uomini, Giudei e Gentili, sono sotto peccato e in ogni tempo perversi in tutte le loro vie. Se qualcuno crederà ed accetterà questa verità non ha da mettersi a rovistare nella Scrittura per cercare di trovare pochi passaggi isolati a supporto di questa fede. Né vi è alcun bisogno di distorcere il significato di alcuni testi per trarre da loro un significato che non esprimono. Al contrario, scoprirà che tutta la Parola di Dio lo supporta nella sua credenza, e ciò mediante una chiara testimonianza che non lascia dubbio quando al suo significato.
Rimanderò il lettore solo a pochi passaggi, selezionati a caso.
Essi sono corrotti, hanno fatto opere abbominevoli, non vi è nessuno che fa il bene. Il Signore ha guardato dal cielo sui figli degli uomini, per vedere se vi fosse qualcuno che comprendesse, e cerchi Dio. Sono tutti sviati, sono tutti diventati luridi, non vi è nessuno che fa il bene, no, non uno (Salmo 14:1-3).
E proprio come loro non ritennero opportuno ritenere Dio nella loro conoscenza, Dio li ha consegnati ad una mente reproba, per fare ciò che non è conveniente. Essendo ripieni di ogni ingiustizia, fornicazione, malvagità, cupidigia, malizia, pieni di invidia, omicidio, dibattito, inganno, malignità, mormoratori, maldicenti, odiatori di Dio, sprezzanti, orgogliosi, vanagloriosi, inventori di cose malvagie, disubbidienti ai genitori, senza intendimento, violatori di patto, senza affezione naturale, implacabili, spietati. I quali, conoscendo il giudizio di Dio, che coloro che commettono tali cose sono degni di morte, non sono le fanno, ma hanno piacere in coloro che le fanno (Romani 1:28-32).
Si noti specialmente in quest’ultimo passaggio l’influenza di Dio sugli empi di cui esso parla, e per la quale essi sono consegnati ad una mente reproba, ovvero l’opposto stesso dell’influenza di cui parla il terzo punto.
Cosa allora? Siamo noi migliori di loro? No, in alcun modo, perchè abbiamo prima provato che sia Giudei che Gentili sono tutti sotto peccato. Come è scritto, Non vi è nessuno giusto, no, non uno. Non vi è nessuno che intende, non vi è nessuno che cerca Dio. Sono tutti sviati, sono tutti divenuti inutili, non vi è nessuno che fa il bene, no, non uno. La loro gola è un sepolcro aperto, con le loro lingue essi hanno usato inganno, il veleno di aspidi e sotto le loro labbra la cui bocca è piena di maledizione ed amarezza, i loro piedi sono veloci a spargere sangue, distruzione e miseria sono nelle loro vie, e la via della pace non l’hanno conosciuta, non vi è timore di Dio dinanzi ai loro occhi (Romani 3:9-18).
Ma perchè citare altro? Questi passaggi non emettono un suono incerto, essi portano una testimonianza chiara concernente le vie dell’uomo naturale, non vi è bisogno di interpretazione a meno che non li si distorce con una teoria umana riguardante il bene che i peccatori farebbero. Per il resto il lettore può essere rimandato a Romani 8:5-8; 14:23; Efesini 2:2-3; 4:17-19; Tito 3:3; Giacomo 3:11; I Pietro 4:3 e molti altri passaggi. E voi dovete essere convinti che il sinodo del 1924 nella sua terza dichiarazione ha contraddetto e condannato non soltanto noi, ma anche le Sacre Scritture stesse. La costante testimonianza della Scrittura è che l’uomo naturale è perverso in tutte le sue vie.
Infine, noi neghiamo in maniera assolutamente enfatica che vi sia un’influenza di Dio sull’uomo naturale al di fuori della rigenerazione per la quale egli sia messo in grado di fare del bene dinanzi a Dio in un senso etico e morale. Noi neghiamo che l’uomo naturale faccia mai ciò che è buono dinanzi all’Altissimo. Con questo non neghiamo che l’uomo per natura e mediante la luce che è in lui quale creatura morale e razionale non cerchi di adattarsi nella sua vita e cammino alla legge di Dio in un senso esteriore. Egli è in grado in generale di discernere la legge di Dio e di riconoscere che la via di questa legge è buona per lui e per la comunità in cui vive. Nello stato di giustizia egli si trovava nel mezzo del mondo come viceré di Dio, come re-servitore sulla creazione terrestre, così che tutte le creature potessero servirlo e che con esse egli potesse servire il suo Dio. Ma la sua relazione a Dio attraverso il peccato fu sovvertita nel suo opposto stesso. Da amico di Dio si mutò in Suo nemico. La sua conoscenza divenne tenebre, la sua giustizia ingiustizia, la sua santità corruzione ed odio di Dio. Ma la sua relazione alla creazione, benchè rovinata e disturbata, non fu distrutta. Quindi il tentativo costante del peccatore è di mantenersi nel mezzo della creazione terrestre ed in connessione ad essa come un servo di Satana e nemico di Dio. Egli vuole che la creazione lo serva, ma con questa creazione egli vuole servire il peccato.
Anche questa creazione, tuttavia, è soggetta alle ordinanze del Signore. E fintanto che l’uomo è in grado mediante la sua luce naturale di scoprire queste ordinanze di Dio nella creazione, e nella misura in cui discerne e riconosce che è espediente per lui regolare la sua vita in conformità esteriore a queste ordinanze, vi è in lui una qualche ricerca della virtù ed un portamento esternamente ordinato. In questo tentativo di adattarsi alle leggi di Dio esteriormente egli a volte ha successo in parte e per una certa durata di tempo. Alla fine, però, il suo cuore peccaminoso e la sua mente ottenebrata lo ingannano e lo conducono fuori strada, così che egli calpesta perfino queste ordinanze di Dio, che sono per il beneficio della sua vita, sotto i piedi. Fintanto che ha successo egli vive in modo temperato e casto, mantiene pace ed ordine nella casa, nella sua vita sociale e politica, e prospera nel mondo. Quando fallisce, però, e la concupiscenza della carne inganna il suo cuore anelante, la sua vita è caratterizzata da intemperanza e ghiottoneria, da adulterio e dissipazione e ubriachezza, distrugge la casa, opera per la caduta della vita sociale e causa guerre e rivoluzioni. Ma, sia che abbia successo o fallisca, egli vive ed opera sempre secondo un principio di inimicizia contro Dio, e non ottiene mai ciò che è buono dinanzi a Dio. Soltanto quando è convertito, cambiato nella profondità del suo cuore, mediante quel miracolo divino di grazia che è chiamato rigenerazione, egli conosce ed in principio compie ciò che è accettevole a Dio, perché allora tutto il suo diletto è ancora una volta nella legge del Signore!
I Tre Punti della Grazia Comune
Adottati dal Sinodo della Christian Reformed Church nel 1924
(e le formulazioni di Hoeksema delle nuove dottrine in essi insegnate)
1. Relativamente al primo punto, che concerne l’attitudine favorevole di Dio nei confronti dell’umanità in generale e non soltanto verso gli eletti, il Sinodo dichiara essere stabilito in accordo con la Scrittura e le Confessioni che, a parte la grazia salvifica di Dio mostrata solo a quelli che sono eletti a vita eterna, vi è anche un certo favore o grazia di Dio che Egli mostra alle Sue creature in generale. Ciò è evidente dai passaggi scritturali citati e dai Canoni di Dordrecht, II:5, e III/IV:8-9, che trattano dell’offerta generale del Vangelo; e d’altro canto è evidente anche dalle citazioni dagli scrittori Riformati del più fiorente periodo della Teologia Riformata che i nostri padri Riformati del passato hanno favorito questa veduta.
(Dio manifesta una certa grazia nella predicazione del Vangelo non soltanto agli eletti a vita eterna, ma a tutti coloro che odono la predicazione del Vangelo senza distinzione.)
2. Relativamente al secondo punto, che riguarda la restrizione del peccato nella vita dell’individuo e della comunità, il Sinodo dichiara che vi è una restrizione del peccato secondo la Scrittura e la Confessione. Ciò è evidente dalle citazioni dalla Scrittura e dalla Confessione Belga, articoli 13 e 26, che insegnano che Dio per le operazioni generali del Suo Spirito, senza rinnovare il cuore dell’uomo, impedisce la libera eruzione del peccato, per mezzo delle quali la vita umana nella società rimane possibile; e d’altro canto è anche evidente dalle citazioni dagli scrittori Riformati del più fiorente periodo della Teologia Riformata, che da tempi antichi i nostri padri Riformati erano della stessa opinione.
(Vi è una generale operazione di grazia, di natura etica, da parte dello Spirito Santo, per la quale tutti gli uomini a prescindere dalla rigenerazione sono migliorati e riformati in una misura tale che essi non erompono in ogni genere di peccato.)
3. Relativamente al terzo punto, che riguarda la questione della giustizia civile compiuta dai non rigenerati, il Sinodo dichiara che secondo la Scrittura e le Confessioni, i non rigenerati, anche se incapaci di fare qualsiasi bene salvifico, possono fare del bene civico. Ciò è evidente dalle citazioni dalla Scrittura e dai Canoni di Dordrecht, III-IV:4, e dalla Confessione Belga, art. 36, che insegnano che Dio, senza rinnovare il cuore, influenza in tal modo l’uomo che egli è capace di fare del bene civico; e d’altro canto ciò è evidente dalle citazioni dei padri Riformati del più fiorente periodo della Teologia Riformata che da tempi antichi essi erano della stessa opinione.
(L’uomo naturale è in grado di fare del bene in cose civili in virtù di un’influenza di Dio su di lui che non è rigenerativa.)
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