Francis Turretin
Questa chiamata è un atto della grazia di Dio in Cristo con il quale egli chiama gli uomini morti nel peccato e perduti in Adamo attraverso la predicazione del vangelo e la potenza dello Spirito Santo, per ottenere l’unione con Cristo e la salvezza in lui ottenuta. In essa, devono essere considerati i due termini “da cui” (a quo) e “a cui” (ad quem). Il termine “da cui” (terminus a quo) è lo stato di peccato e condanna in cui noi ci troviamo (Ef. 2:1); oscurità (Ef. 5:8; I Pi. 2:9); il mondo (Gv. 15:19); e le cose che sono dietro (terrene e mundane; Fl. 3:13). Il termine “a cui” (terminus ad quem) è l’unione con Cristo (I Co. 1:9); santità (Ro. 1:7; I Co. 1:2; I Ts. 4-7); luce meravigliosa (I Pi. 2:9); il regno di Dio (I Ts. 2:12); eterna gloria in Cristo (I Pi. 5:10); vita eterna (I Ti. 6:12). Quindi è chiamata nello stesso tempo una “santa chiamata” (II Ti. 1:9), non solo a motivo del principio (perchè Dio autore della chiamata è santo; I Pi. 1:15), ma anche a motivo del suo fine (perchè tende alla santità) …
[Cosa dire dei reprobi?]
I reprobi, che prendono parte alla chiamata esteriore, vengono chiamati con il disegno e l’intenzione da parte di Dio che essi debbano prendere parte alla salvezza? E, se neghiamo questo, non segue che Dio non tratta seriamente con loro, ma ipocritamente e raramente; o che egli possa essere accusato di una qualche ingiustizia? Lo neghiamo.
La questione si trova tra noi e i Luterani, gli Arminiani e i difensori della grazia universale, i quali (per sostenere l’universalità della chiamata, quantomeno nella predicazione del vangelo nella chiesa visibile) sostengono che quanti sono chiamati con la parola sono chiamati da Dio con l’intenzione della loro salvezza. Perchè altrimenti Dio si prenderebbe gioco degli uomini e non li tratterebbe seriamente ma ipocritamente, offrendo loro una grazia che, tuttavia, non ha intenzione di conferire.
Ora, anche se non neghiamo che i reprobi (che vivono in comunione esterna con la chiesa) siano chiamati da Dio per mezzo del vangelo, tuttavia neghiamo decisamente che essi siano chiamati con l’intenzione che debbano essere resi veramente partecipi della salvezza (cosa che Dio sapeva non sarebbe mai avvenuta perchè nel suo decreto egli ordinò diversamente riguardo a loro). Nè dovremmo a questo riguardo pensare che Dio possa essere accusato di ipocrisia o dissimulazione, ma agisce sempre nel modo più serio e sincero.
Per rendere questo più chiaro, dobbiamo evidenziare: (1) la chiamata esterna è estesa ai reprobi come agli eletti, ma, in un modo differente, principalmente e direttamente agli eletti. Per il loro bene soltanto fu istituito il ministero del vangelo per raccogliere la chiesa ed aumentare il corpo mistico di Cristo (Ef. 4:12). Se essi fossero portati fuori dal mondo, la predicazione non sarebbe più necessaria perchè la parola di Dio non può tornare da lui a vuoto (Is. 55:11). Ma ai reprobi, è esteso secondariamente ed indirettamente perchè, poichè essi sono mescolati agli eletti (noti solo a Dio; II Ti. 2:19), la chiamata non può essere indirizzata indiscriminatamente agli uomini senza che anche i reprobi come gli eletti la condividano (affinché il fine preordinato da Dio possa essere ottenuto); come un pescatore getta la rete intende pescare solo buon pesce, ma indirettamente chiude nella sua rete quello cattivo mescolato a quello buono.
(2) Il fine della chiamata può essere considerato in due modi: sia dalla parte di Dio che dalla parte dell’oggetto (che è chiamato il fine di chi opera e il fine dell’opera stessa). Anche se ognuno è congiunto negli eletti, tuttavia negli altri essi sono separati (come nella proclamazione legale, il fine dell’oggetto è la vita per mezzo della legge, ma il fine di Dio dopo la caduta dell’uomo non può essere la felicità dell’uomo, che per il peccato è divenuta impossibile ad ottenersi per mezzo della legge; piuttosto il fine della legge è di radicare la convinzione della debolezza umana e di guidare l’uomo a Cristo; così nella chiamata del vangelo, il fine della cosa è la salvezza dell’uomo perchè per sua natura essa tende a portarlo a salvezza attraverso la fede e il pentimento; ma il fine di Dio non è diretto a tutti quelli che sono chiamati, ma solo a coloro ai quali Egli decretò di dare fede e salvezza).
Inoltre, il fine da parte di Dio o è comune a tutti i chiamati, o è speciale rispetto agli eletti o ai reprobi. E per quello comune, non dovremmo dubitare che è la dimostrazione del modo e della via della salvezza …
____________________
Francis Turretin fu un teologo riformato svizzero. Nato nel 1623 a Ginevra da una famiglia italiana, era nipote di Francesco Turrettini, che aveva lasciato Lucca nel 1574 per stabilirsi a Ginevra. Ricevette un’educazione scolastica in filosofia e teologia, e fu allievo, fra gli altri, di Giovanni Diodati. Dopo un periodo di studi a Parigi, dove partecipò al dibattito teologico contro le gravi deviazioni dall’ortodossia riformata sostenute da Moise Amyraut, tornò a Ginevra, dove occupò la cattedra di teologia e si impegnò come pastore della comunità italiana, posizione che mantenne fino alla sua morte nel 1687. La sua opera principale è la Institutio Theologiae Electicae, nelle cui circa 1800 pagine espose e difese la dottrina riformata, e che lo pone fra i più grandi teologi protestanti di sempre. Turretin fu autore anche della Formula Consensus Helvetica, nella quale difendeva la formulazione della doppia predestinazione del Sinodo di Dordt, l’ispirazione verbale della Bibbia e la redenzione particolare in contrasto alle deviazioni universalistiche degli amiraldiani.