Angus Stewart
(Lievemente modificato da una recensione di un libro su John Wesley apparsa nel British Reformed Journal)
John Wesley, A Biography
Author: Stephen Tomkins
Oxford: Lion Publishing, 2003
Paperback, 208 pp.
ISBN 0 7459 5078 7
In 24 brevi capitoli, Stephen Tomkins ci ha fornito un’interessate biografia dell’eretico John Wesley (1703-1791). Questo libro è tanto più di valore perché è stato scritto da qualcuno che simpatizza con Wesley ed il suo “vangelo” del libero arbitrio dell’uomo.
Wesley è stato un uomo di nota in base a qualsiasi standard, “un uomo di rara abilità, passione ed impegno ed energia unica” (p. 199). In 87 anni, percorse oltre 400.000 chilometri per predicare oltre 40.000 sermoni (p. 199). Egli era un uomo di una volontà indomabile, si alzava alle 4 del mattino ogni giorno sfidando impavidamente il clima avverso e le folli ostili. E’ con meraviglia che uno legge delle sue fughe dal mezzo di folle adirate (pp. 110-120). Tomkins scrive che nei suoi ultimi anni era ampiamente accolto con “venerazione,” ed era “quasi un tesoro nazionale” (p. 183). Nel 1790 vi erano 61.811 Metodisti negli Stati Uniti e 71.463 nel Regno Unito (p. 190). Oggi, vi sono qualcosa come 33 milioni di Metodisti in tutto il mondo. Lo scorso 2003 è stato il trecentenario della nascita di Wesley, e gli sono stati resi tributi da ogni parte del mondo, alcuni dei più esuberanti da parte di alcuni presunti Calvinisti. Di sicuro, quindi, si può dire che John Wesley è stato un fedele servo di Dio, ed ha sposato ed onorato la causa di Gesù Cristo?
Il credente Riformato non è abbagliato dal fatto che qualcuno sia stato molto popolare ed acclamato dagli uomini. Al contrario, egli “giudica ogni cosa” alla luce della “mente di Cristo” (I Corinzi 2:15-16) rivelata nella sacra Scrittura e riassunta nelle confessioni di fede Riformate. Noi rendiamo a John Wesley testimonianza del fatto che egli aveva zelo per Dio, ma era uno zelo secondo conoscenza (Romani 10:2)? Noi ci stupiamo nel considerare la sua capacità di resistenza: cavalcare da Londra a Bristol, fino nel Galles e nell’Irlanda dell’Ovest, e poi a Newcastle e nella Scozia del nord. Ma ci ricordiamo che anche un altro, che è perfino più assiduo, va sempre “su e giù per la terra” (Giobbe 1:7). Wesley studiava in modo estremamente arduo, e leggeva perfino mentre era a cavallo. Ma la Scrittura ci parla di alcuni che “cercano sempre di imparare, e non sono mai capaci di giungere alla conoscenza della verità” (II Timoteo 3:7). E non disse “guai” il nostro Signore agli scribi e Farisei perché viaggiavano “per mari e monti per fare un proselito,” perché essi lo rendevano “due volte tanto figlio dell’inferno”(Matteo 23:15)? La domanda è questa: quale era il vangelo che Wesley predicava? Era il vero vangelo (forse con alcune debolezze), o era un “altro vangelo,” “che non è un altro” (Galati 1:6-7)? Il libro di Tomkins è sufficiente a fornirci abbastanza informazioni per dare risposta a questo quesito. Wesley cita perfino Whitefield dire che loro due “predicavano due differenti vangeli” (p. 94).
Il vangelo di Wesley era il falso vangelo della salvezza per mezzo del libero arbitrio del peccatore. Il libero arbitrio, nonostante tutto il suo parlare della grazia di Dio, era il fattore decisivo nella salvezza. Nell’amare il libero arbitrio, Wesley odiava la predestinazione e la chiamava “blasfemia.” Egli dichiarò: “Essa rappresenta il Dio santissimo peggio del Diavolo, più falso, più crudele, più ingiusto” (p. 78).
Tuttavia, i Canoni di Dordt affermano che il “decreto di elezione e riprovazione” è “rivelato nella Parola di Dio” e “anche se gli uomini dalle menti perverse, impure ed instabili lo torcono a loro propria distruzione, tuttavia alle anime sante e pie essa fornisce un’indicibile consolazione” (I. 6). Da quale parte questa affermazione della fede Riformata pone Wesley? Non con le “anime sante e pie,” ma con gli “uomini dalle menti perverse, impure ed instabili” che “torcono” la verità della predestinazione “a loro propria perdizione.”
Nella sua “Conclusione,” il Sinodo di Dordt “avverte i calunniatori a considerare il terribile giudizio di Dio che li attende.” Wesley di certo appartiene a questa categoria perché lui è colpevole precisamente dei peccati che la “Conclusione” procede ad enumerare:
portare falsa testimonianza contro le confessioni di così tante Chiese (inclusa la Chiesa di Inghilterra nella quale egli visse e morì] … turbando le coscienze dei deboli; e … affaticandosi a rendere sospetta la società dei veri fedeli.
Si ricordi che Wesley non era semplicemente un membro di chiesa ma un ufficiale ecclesiastico, e che il credo della sua chiesa (l’articolo 17 dei Trentanove Articoli) insegnava l’elezione. Inoltre, egli era un fondatore di società (e di una denominazione) e vedeva se stesso come un ristoratore del Cristianesimo primitivo! Se gli insegnanti di chiesa riceveranno un più severo giudizio (Giacomo 3:1), dove pone ciò Wesley? Un falso apostolo del libero arbitrio.
Con la sua fede nel libero arbitrio, non soltanto la predestinazione, ma anche le dottrine della totale depravazione, dell’espiazione particolare e definita, della grazia irresistibile, e della perseveranza dei santi erano annullate (pp. 71, 96, 171), contrariamente agli articoli 9, 15, e 17 dei Trentanove Articoli. Ad una Conferenza Metodista del 1770, la dottrina del libero arbitrio lo condusse a sposare un’eresia ancora più cruda: giustificazione per opere (pp. 171-173). In breve, Wesley tagliò la formula che la conferenza aveva approvato, ma “quasi immediatamente dopo” stampò una difesa delle minute originali (p. 173). Tomkins non fa riferimento all’argomento, oggetto di controversia, riguardante il diniego da parte di Wesley della giustizia di Cristo imputata nella giustificazione [N. d. T. che egli chiamò “imputed nonsense,” ovvero “nonsenso imputato”].
La corruzione di Wesley della volontà di Dio nella grazia sovrana combacia con il suo fraintendimento della volontà di Dio nella provvidenza. Wesley credeva nell’aprire la Bibbia a caso per essere guidato in giunture critiche del suo percorso (pp. 54, 78), come anche suo fratello Charles (pp. 68-69). Egli si riduceva perfino a consultare la sorte (pp. 54, 75, 78), a sogni (p. 133) ed intuizioni (p. 71). Questo modo non scritturale di comprendere la guida divina lo condusse in ulteriori problemi.
Wesley e Whitefield raggiunsero un armistizio sul decreto di Dio, accordandosi nel “lasciar riposare i dogmi dormienti,” come dice Tomkins. Ma un bel giorno, Wesley “si sentì internamente chiamato a parlare contro la predestinazione” (p. 71, italiche mie). Tomkins continua: “Dopo aver argomentato a lungo sul punto, [Wesley] pregò ad alta voce (di nuovo sotto impulso divino) che se aveva ragione Dio doveva mandare un segno.” Le persone cominciarono a cadere a terra e ad urlare (pp. 72-73). Per Wesley, il Dio Onnipotente stava “sigillando con la sua approvazione divina” il suo messaggio (p. 73). “In un’occasione” scrive Tomkins, Wesley interpretò perfino il suo recupero da una malattia “come un redarguizione [da parte di Dio] per aver predicato contro i Calvinisti” (p. 98)!
Se il misticismo lo condusse a predicare contro la predestinazione, il consultare la sorte lo portò a pubblicare cose contro di essa: “egli si ridusse a trarre la volontà di Dio fuori da un cappello e gli fu detto ‘stampa e predica,’ e lui lo fece” (p. 78). Cosa farne di tutto questo? Il Signore “mise uno spirito di menzogna nella bocca” di John Wesley (I Re 22:23), ed Egli volle, nella Sua sovranità sulla sorte (Proverbi 16:33), che le menzogne di Wesley fossero stampate per ingannare i reprobi (II Tessalonicesi 2:10-12) e per mettere alla prova gli eletti. Non contento di attaccare la verità della predestinazione meramente nella sua predicazione e nei suoi libri, Wesley usava anche “inni” come anche suo fratello Charles, contro di essa (p. 93).
La dottrina di Wesley riguardo alla completa santificazione per mezzo del libero arbitrio dell’uomo combacia con il suo insegnamento della giustificazione per mezzo del libero arbitrio dell’uomo, anche se non con gli articoli 9 e 15 dei Trentanove Articoli. Egli stava già insegnando il perfezionismo nel “Santo Club” all’Università di Oxford nel 1733 (p. 38). Negli anni 1739-1740, attraverso una disputa con i Moravi, egli arrivò al punto in cui avrebbe “castigato chiunque avesse negato la perfezione, come gli antinomiani che erano contenti di accettare la loro peccaminosità” (p. 88). Questa era una dottrina in cui Wesley “credeva appassionatamente” (p. 156). Tomkins vede il perfezionismo come una grande “preoccupazione” di Wesley, “il cuore stesso” della sua “spiritualità.” “La fede, diceva Wesley, era la porta della religione; la santità, ‘la religione stessa’” (p. 197). Dunque egli “predicava” la santificazione completa e “combattè a lungo per essa” (p. 156).
La teologia del libero arbitrio si ripercuoteva anche nella sua visione della chiesa. Anche se era un ministro ordinato nella Chiesa di Inghilterra, egli organizzò una connessione di società (in parallelo alla chiesa istituita) governate da regole e regolamenti, cioè dal suo libero arbitrio (pp. 166-167). I laici Metodisti stavano essendo usati da Dio, insegnava Wesley, e così nel 1739 egli “diede il suo permesso” a farli continuare a predicare (p. 82), contrariamente agli articoli 23 e 36 dei Trentanove Articoli. Quando un predicatore laico amministrò la comunione nel 1755, Charles afferma: “John non fu grandemente preoccupato” (contrariamente all’articolo 23 dei Trentanove Articoli). Wesley “suggerì che questa era la conclusione logica dello stabilire come predicatori dei laici: ‘In effetti lo abbiamo già ordinato’” (p. 150). Questo è il pendio scivoloso della disubbidienza, perché se una persona non ordinata può predicare (la cosa più importante, cf. I Corinzi 1:17), come gli può essere impedito di amministrare i sacramenti (la cosa meno importante)?
Le donne predicatrici seguirono negli anni ’60 del 1700 (pp. 159-160), e Wesley dava loro delle regole (p. 167). Sarah Crosby “viaggiò approssimativamente 1600 chilometri in un anno, parlando ad oltre 200 incontri pubblici e 600 incontri di comitive e classi” (p. 175). Mary Bosanquet, un’altra donna predicatrice, “sposò nel 1781 John Fletcher, un amico stretto e difensore di Wesley, e la coppia operò virtualmente come ministri uniti nella sua parrocchia di Madeley” (p. 190). Come Tomkins dice, Wesley “era un pragmatista,” questo “era il suo più profondo istinto” (p. 160). Si ricordi anche che quando Wesley era un ragazzo, sua madre, Susanna, “conduceva nella preghiera e leggeva sermoni” e storie missionarie a 200 membri—uomini inclusi—della congregazione di suo marito Samuel nella loro casa parrocchiale affollata nei pomeriggi domenicali, quando lui era via a Convocazione (p. 16).
Wesley ed i Metodisti corruppero anche l’adorazione di Dio con le loro “testimonianze” (p. 81) ed il canto di inni. L’apostolo del libero arbitrio attaccava i salmi con le sue versioni “censurate” d’essi nella liturgia che aveva redatto per i Metodisti Americani. Tomkins scrive: “egli espurgò i Salmi, trovando l’onestà dell’adorazione biblica ‘altamente impropria per le bocche di una congregazione Cristiana’” (p. 187). In altre parole, il libero arbitrio di Wesley non poteva sopravvivere alla nuda verità dell’assoluta sovranità di Dio e alle terribili imprecazioni sui malvagi che sono presenti nei Salmi.
Sia John che Charles scrissero inni, e il secondo ne scrisse qualcosa come tra 4000 e 10.000 (p. 95). John pubblicò il primo innario d’America nel 1736 (p. 51). Tomkins scrive:
Questi inni erano di vitale importanza per il Metodismo. Essi erano usati per radunare le folle per la predicazione all’aperto, esse erano una parte popolare delle società di adorazione, e scrissero l’insegnamento Metodista nella memoria dei cantanti e anche nei loro cuori … Essi erano anche armi nella guerra sulla predestinazione e la perfezione, e molta della propaganda settaria di Charles sopravvive negli inni cantati in tutto il mondo oggi (pp. 95-96, italiche mie).
Tomkins aggiunge: “John non aveva problemi nel fermare la congregazione nel mezzo del loro canto per chiedere loro se intendevano realmente col cuore quanto stavano cantando” (p. 96). Un modo per catturare una congregazione in una trappola Arminiana e perfezionista! Si scrivano inni anti-Calvinisti “esuberanti ed emozionali” (p. 95), si conduca quelle assemblee nel canto, si spieghi poi loro il significato, e le persone sono prese al laccio. Il fondamentalista dell’Ulster Ian Paisley una volta ha affermato che poteva trarre tutti i cinque punti del Calvinismo dagli inni degli Wesley. John e Charles si rivolterebbero nelle loro tombe!
Gli incontri di risveglio Metodisti erano spesso accompagnati da fenomeni carismatici. Vi erano persone che gridavano (pp. 65, 71, 105, 108) o ridevano (p. 157), con i bambini che spesso avevano “parti principali” (p. 175) sia nel piangere (p. 155) che nel ridere (p. 157). Alcuni cadevano prostrati a terra (pp. 72, 79, 105, 156-157) ed altri avevano visioni e rivelazioni (p. 156).
Era una cosa rara? No. Tomkins scrive: “questo tipo di cose accadevano quasi ogni giorno” (p. 71).
Ma questo accadeva dove Wesley stesso predicava? Sì, la sua predicazione provocava “fenomeni carismatici” (p. 65), inclusi “pianti e convulsioni” (p. 103). Quindi la sua predicazione era un “evento rumoroso” (p. 72). Tomkins scrive che i “fenomeni carismatici … circondarono Wesley per tutta la sua vita” (p. 39).
Ma Wesley non opponeva queste cose? No. Egli era “impressionato,” “dilettato” e “interamente ottimista” nei riguardi dei fenomeni carismatici (pp. 73, 157) e vedeva questi comportamenti “molto favorevolmente” (p. 105). Wesley “promuoveva … i doni carismatici” (p. 195) e “sposava” sogni e visioni “senza riserve” (p. 65).
Certo! Perché non soltanto altri Metodisti (pp. 60, 102, 123, 161), ma anche Wesley stesso aveva sogni (p. 133). Egli credeva anche in guarigioni miracolose (pp. 162-163) ed evidentemente credeva che in un’occasione risuscitò un morto, o quantomeno uno “pericolosamente malato”. Riguardo all’ultimo, Wesley lanciò la sfida: “Attendo di udire chi proverà falso o spiegherà filosoficamente questo fatto” (p. 106).
Tomkins rintraccia la fede di Wesley nel paranormale ai suoi giorni giovanili. Mentre John era alla Charterhouse School a Londra, la sua famiglia pensò che il presbiterio di Epworth, dove vivevano, stava essendo visitato da un poltergeist che chiamavano “Vecchio Jeffrey” (pp. 18-20). Le storie riguardanti gli spiriti furono trasmesse a John, il quale ne rimase “affascinato” (p. 19). Tomkins scrive:
John era del tutto convinto. Egli evidentemente aveva un senso innato per il soprannaturale, e il Vecchio Jeffrey lo portò in superficie. Intrigato dai racconti familiari, più tardi li collezionò e li pubblicò …. Le sue lettere familiari spesso ripetevano storie di fantasmi di cui aveva sentito parlare. Quando poi andava a casa, scrisse un racconto preso dal diario di Samuel e dalle collezioni di famiglia … Negli anni seguenti egli avrebbe accolto le manifestazioni paranormali che provocava la sua predicazione in un modo che sconvolgeva perfino i suoi più stretti colleghi (p. 20).
Altri “bizzarri fenomeni religiosi del Metodismo” includono l’uomo “che aveva il dono di predicare nel suo sonno”.
Egli cantava un inno, recitava un testo e poi predicava un sermone di sei punti, qualche volta cominciando a disputare con un uomo di chiesa che veniva ad interromperlo (p. 144).
Poi c’era il predicatore laico Wesleyano che parlava in lingue e la ragazza posseduta da un demone che si riprese prima che Wesley fosse in grado di farcela a raggiungere la sua casa (p. 144).
Tomkins riassume il ruolo dei fenomeni carismatici nel Metodismo:
L’importanza della disposizione del Metodismo a sposare il miracoloso e il carismatico non è sempre stata riconosciuta, ma fu cruciale. Essa fu, anche se non affatto uniformemente, una religione di sogni e visioni, guarigioni, convulsioni, adorazione estatica, esorcismi e messaggi e guide da parte di Dio. Tali fenomeni erano eccitanti per i partecipanti ed attiravano molti spettatori. Essi erano spesso decisivi nelle conversioni Metodiste ed avevano un ruolo continuo nelle loro vite spirituali (p. 85).
Tomkins vede giustamente Wesley ed il suo Metodismo come un precursore del movimento Pentecostale (pp. 196, 198-199). Lì era dove, negli anni a venire, il suo vangelo del libero arbitrio doveva necessariamente portare molti dei suoi seguaci.
Inoltre, la fusione di libero arbitrio ed emozionalismo nel moderno Pentecostalismo ha molto in comune con Wesley, che sottolineava di “guardarsi all’interno” e di “sentire” l’amore di Dio (p. 66) e che “metteva molta enfasi sui suoi sentimenti come prova dello stato della sua anima” (p. 62). Anche l’amore di John Wesley per i mistici medievali ed il suo debito dei confronti degli “emozionali” Moravi (p. 46) calza bene in questo discorso. Essi mettevano molta “enfasi sull’esperienza e i sentimenti nella vita spirituale.” Vi è molto da dire su questo riconoscimento da parte di Tomkins: “la spiritualità Morava … [ebbe] un impatto incalcolabile sulla forma del Metodismo” (p. 46).
Tomkins conclude che Wesley “certamente ” era una “rete di contraddizioni” (p. 195) i cui racconti della sua opera e vita contengono “un vertiginoso grado di rotazioni” (p. 196). Ciò si applica alla sua religione, spiritualità, condursi in quanto uomo di chiesa, politica e perfino le sue relazioni col sesso opposto (pp. 195-197).
Nel 1751, Wesley sposò Molly Vazeille, ma il loro matrimonio era “distaccato ed infelice” (p. 167). In un capitolo che tratta del periodo 1759-1763, Tomkins afferma:
La vita privata di Wesley era lontana dall’essere perfetta in questo periodo. Egli vedeva poco sua moglie e non riceveva lettere da lei. Egli le diede il beneficio del suo parlare chiaro, scrivendole con una lista di colpe che voleva emendare nei suoi confronti e desiderando per lei ‘la benedizione che ora desideri sopra ogni altra—cioè, un ravvedimento non finto e profondo (pp. 158-159).
Tomkins scrive delle sue “piene di romanticismo” (p. 196) con donne sia prima che dopo il suo matrimonio con Molly. La sua conclusione è che
le relazioni personali di Wesley con le donne erano, perfino per gli ammiratori, un’ ‘inescusabile debolezza.’ Egli sicuramente non era—con tutto il dovuto rispetto a Molly Wesley—un adultero [nel senso che non ebbe mai rapporti sessuali con altre donne]… tuttavia soffriva di un fallimento nel discernere tra il romantico e il pastorale, che rovinava le sue romanze e gettava un’ombra sul suo pasturato (p. 197).
Wesley plagiò un’opera contro la schiavitù scritta da un Quacchero ed un libro di Samuel Johnson in supporto della tassazione da parte britannica delle colonie americane (pp. 177-178). Augustus Toplady “denunciò pubblicamente la sua disgraziata frode” e “risuonò contro la bancarotta intellettuale di Wesley in The Old Fox Tarr’d and Feather’d” (p. 179). Tomkins scrive:
Wesley era un plagiarista seriale, e semplicemente non vedeva nulla di male nel rigurgitare le opere di altre persone. In quanto scrittore, egli inseriva gli scritti di altre persone nei suoi con la stessa felicità con cui senza avvertire nessuno inseriva i suoi in quelli degli altri come editore (p. 178).
Wesley si impegnò nelle stesse pratiche vergognose in campo teologico. Tomkins scrive:
Protestando il suo odio per la controversia, Wesley andò sul ring nel Marzo del 1770 con un colpo straordinario, perfino per lui: condensò e distorse il libro di Toplady di 134 pagine Predestinazione Assoluta in un trattato di 12 pagine, che terminava con le parole: ‘La somma di tutto ciò è questa: uno su venti uomini è eletto, diciannove su venti sono riprovati. Gli eletti saranno salvati, facciano quello che vogliono, i reprobi saranno dannati, facciano quanto possono. Il lettore o crede questo o sarà dannato. Testimonio di mia mano, A.T’ (p. 170).
Tomkins afferma: “Ora questa frode aveva dimostrato Wesley un criminale degno di essere trasportato in America se non impiccato” (p. 170). Wesley non rispose a Toplady, e questo “fu anche giusto, perché è difficile vedere cosa avrebbe potuto dire in sua difesa” (p. 171).
Tomkins cita molto “una lettera molto straordinaria [da parte di John Wesley] a suo fratello Charles nel 1766” nella quale “egli mette la sua anima a nudo nel modo più commuovente:”
In una delle mie ultime [lettere] stavo dicendo che non sento che l’ira di Dio dimora su me, né posso credere che sia così. E tuttavia (questo è il mistero) Io non amo Dio, Non l’ho mai amato. Quindi Io non ho mai creduto, nel senso Cristiano della parola. Quindi Io sono soltanto un onesto pagano … e tuttavia che è stato così tanto usato da Dio! E sono così coinvolto che non posso né andare avanti né indietro! Di sicuro non vi è mai stato un esempio così nell’intera storia del mondo! Se mai avessi avuto quella fede, non mi sarei mai sentito così strano. Ma non ho mai avuto alcun’altra evidenza del mondo eterno ed invisibile rispetto a quella che ho ora, e cioè nessuna, se non una che brilla fiocamente dai raggi di luce della ragione. Io non ho testimonianza diretta (non dico nemmeno del fatto che sia un figlio di Dio, ma) di qualsiasi cosa che sia invisibile o eterna.
E tuttavia non oso predicare altrimenti, sia riguardo alla fede, o all’amore, o alla giustificazione, o alla perfezione. E tuttavia io trovo in me una diminuzione piuttosto che un aumento di zelo reale per l’opera di Dio ed ogni parte d’essa. Sono portato avanti, non so come, in modo che non posso stare fermo. Voglio che tutto il mondo giunga a quanto io non conosco (p. 168, italiche mie).
Cosa dobbiamo farne di una tale bizzarra confessione? Qui l’apostolo del libero arbitrio, ora nei suoi sessanta, confessa che non ama Dio, non crede o ha la testimonianza diretta della sua figliolanza divina o perfino di cose invisibili o eterne, e che non l’ebbe mai. “Io non amo Dio, Non l’ho mai amato … Desidero che tutto il mondo giunga a cosa io non conosco” (p. 168, italiche mie). Può essere che Wesley non ha mai avuto interesse nel sangue del Salvatore?
La teologia eretica di Wesley rivelò se stessa molto chiaramente nel suo emendamento (molto significativo dottrinalmente) dei Trentanove Articoli per i Metodisti Americani (1784). Tomkins scrive:
Egli lasciò fuori 15 dei Trentanove Articoli emendandone estensivamente il rimanente. Gli articoli mancanti includevano ‘Cristo Soltanto Senza Peccato’ [15], perché negava la perfezione dei Cristiani, ‘Predestinazione ed Elezione’ [17], per ovvie ragioni, e, molto degno di nota, ‘Opere Prima della Giustificazione’ [13], che, con la sua affermazione esagerata [sic] riguardo al contrasto tra prima e dopo la giustificazione, era forse un evangelicalesimo troppo duro per i gusti maturi di Wesley (p. 187).
Un ulteriore paragone tra i Trentanove Articoli e gli Articoli Metodisti Americani della Religione (1784)—entrambi trovati in The Creeds of Christendom di Philip Schaff (vol. 3)—rivela altre omissioni straordinarie. La confessione del Credo degli Apostoli, del Credo di Nicene, ed il Credo Atanasiano non c’è più (8), probabilmente a motivo delle “dannazioni troppo sicure di sé lanciate contro alcuni” dell’ultimo (p. 187). Più di metà dell’articolo sul peccato originale (9) è rimosso, perché parla dell’inevitabile conflitto tra la carne e lo Spirito. L’Articolo 18, “Dell’ottenere la salvezza eterna solo per mezzo del nome di Cristo” è andato via, come anche la seconda metà dell’articolo 19 “Della chiesa” che afferma che Roma non ha solo errato nelle cerimonie, “ma anche in materia di fede.” Gli articoli sull’ordinazione (36) e contro la predicazione dei laici e l’amministrazione dei sacramenti da parte dei laici (23) furono omessi per ovvie ragioni.
Affermazioni chiave sono tagliate, per esempio, il diniego di “passioni” in Dio (1), e l’eterna generazione del Figlio “eternamente generato dal Padre” (2).
Almeno una difesa per le altre omissioni potrebbe essere fatta. La discesa di Cristo all’inferno non è chiaramente espressa nell’articolo 3. Le omelie (35, 11), l’Erastianesimo degli articoli 31 (“i Concili generali non possono essere convocati senza il comandamento e la volontà dei principi”) e 37 (il “governo principale” degli affari “ecclesiastici o civili” da parte del monarca), e la provenienza inglese degli articoli 35, 36 e 37, difficilmente sarebbero stati adatti alla nuova situazione americana.
Ma le omissioni dottrinalmente significative sono un distintivo ed un segno sicuro dell’apostasia di John Wesley. Le sue eresie alla fine risultarono nello “smantellamento” del credo, come spesso è il caso.
Tomkins scrive che Wesley “è stato uno dei padri fondatori dell’evangelicalesimo, ma per i suoi ultimi 20 anni egli coerentemente si ritirò dalle sue ferme certezze” (p. 196). Ciò è dove la teologia del libero arbitrio lo condusse! Ovviamente! Il libero arbitrio stesso è la fine delle certezze del vangelo, e i seguaci di Wesley oggi si stanno ritirando—perfino più coerentemente di lui—dal vangelo!