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Argomenti Addizionali: In Risposta a Varie Obiezioni Battiste

Herman Hanko

(Capitolo 8 di: Herman Hanko, We and Our Children: The Reformed Doctrine of Infant Baptism [Noi ed i Nostri Bambini, La Dottrina Riformata del Battesimo degli Infanti], Reformed Free Publishing Association, ed. 2004, Grand Rapids, Michigan)

Benedizioni Eterne vs Temporali

Nel difendere il battesimo dei soli credenti, alcuni ci tengono a sottolineare il fatto che le benedizioni che Dio diede ad Israele nell’antica dispensazione erano benedizioni temporali connesse alla terra temporale e terrena di Canaan. Abbiamo avuto occasione di far notare che ciò comporta un fraintendimento della relazione intercorrente tra le due dispensazioni, ed anche il non riconoscere che queste benedizioni “temporali” e “terrene” erano figure di realtà celesti e spirituali che sarebbero state l’eredità della chiesa dal momento in cui sarebbe venuto Cristo. Su questo soggetto Giovanni Calvino scrive un paragrafo interessante nel suo commentario a I Corinzi 10:1:

Tuttavia, qui ci si presenta dinanzi una questione più complessa, perché è certo che il profitto arrecato da quei doni, di cui Paolo fa menzione, era di natura temporale [le parole “e terreno” sono aggiunte dopo “era temporale” dall’editore di Calvino in una note a piè di pagina per correggere la traduzione, H. Hanko]. La nuvola li proteggeva dal calore del sole, e mostrava loro la via: questi sono benefici esterni riguardanti la vita presente. Allo stesso modo, il loro passaggio attraverso il mare fece sì che essi sfuggissero completamente alla crudeltà di Faraone e al pericolo della morte. Il beneficio del nostro battesimo, d’altro lato, è di natura spirituale. Perché allora Paolo fa diventare dei benefici terreni dei sacramenti, e cerca di trovare qualche mistero spirituale in essi? Rispondo: non fu senza una buona ragione che Paolo cercò in miracoli di questa natura più che un mero vantaggio esterno, per la carne, e questo perché, anche se Dio li intese per arrecare beneficio al Suo popolo per quanto riguardava la vita presente, ciò che Egli aveva principalmente in vista era dichiarare e manifestare Se Stesso come loro Dio, e sotto questa figura far comprendere la salvezza eterna.

La nuvola, in varie istanze, è chiamata il simbolo della Sua presenza. Poiché, quindi, per mezzo di essa Egli dichiarò che era presente con loro come Suo popolo peculiare e scelto, non vi può essere dubbio che, in addizione ad un vantaggio terreno, in esso si ebbe, inoltre, un segno di vita spirituale. Dunque vi era un duplice scopo nell’adoperare questa figura, come anche quella del passaggio attraverso il mare, perché una via fu aperta per loro nel mezzo del mare, così che potessero sfuggire al braccio di Faraone; ma ciò a cosa fu dovuto se non alla circostanza che il Signore, avendoli presi sotto la sua tutela e protezione, creò per difenderli? Quindi, da questo essi conclusero che erano l’oggetto della cura di Dio, e che Egli si era incaricato di salvarli. Inoltre dunque, la Pasqua, che fu istituita per celebrare il ricordo della loro liberazione, fu tuttavia, allo stesso tempo, un sacramento di Cristo. Come mai? Perché Dio si era manifestato, sotto un beneficio temporale, come un Salvatore. Chiunque consideri attentamente queste cose, si accorgerà che non vi è assurdità nelle parole di Paolo. Anzi, di più ancora, egli percepirà sia nella sostanza spirituale che nel segno visibile una corrispondenza straordinaria tra il battesimo dei giudei ed il nostro [enfasi aggiunta].1

Da questo brano è chiaro che Calvino ha compreso correttamente che i tipi e le ombre dell’Antico Testamento prefiguravano la salvezza. Calvino arriva a dire che il battesimo di Israele per mezzo della nuvola e del mare ha una corrispondenza straordinaria col nostro battesimo. Questa corrispondenza si estende anche al battesimo dei figli e degli infanti che erano coi loro genitori nell’attraversare il Mar Rosso. Il punto, comunque, è che non può essere stabilita alcuna differenza cruciale tra benedizioni temporali ed eterne senza che in questo modo si separi interamente l’antica dispensazione dalla nuova e si cada nell’errore del dispensazionalismo.

Istruire i Bambini del Patto

La posizione di coloro che sono veramente Riformati è che uno dei marchi (o segni) della vera chiesa è la disciplina Cristiana. La disciplina Cristiana va esercitata insieme alla pura predicazione della Parola e alla corretta amministrazione dei sacramenti. Quando la Parola non è predicata in modo puro dal pulpito di una chiesa, e quando i sacramenti sono corrotti, anche la disciplina Cristiana è corrotta e non è più esercitata in modo proprio. Ciò denota un declino generale nell’intera vita spirituale della chiesa. Dove il vangelo è predicato e i sacramenti sono amministrati secondo il comandamento di Cristo, lì è esercitata anche la disciplina Cristiana. Il risultato è che quelli che si manifestano come malvagi e impenitenti sono tagliati fuori dalla chiesa. Quelli che non camminano nelle vie del patto di Dio si manifestano come odiatori del patto e nemici di Dio. Essi devono essere e sono tagliati fuori, se la chiesa è fedele.

Tutto questo non significa che la chiamata dei membri della chiesa, o degli anziani e diaconi [lett. officebearers] in modo più particolare, sia quella di andare in giro per la congregazione per cercare costantemente di scoprire chi sono gli eletti e chi sono i reprobi. Nella chiesa di Cristo non vi deve essere uno spirito di sospetto e di cattivo giudizio. E’ per questa ragione, anche, che nella chiesa deve essere praticata (e sono sicuro che i Battisti facciano lo stesso) quello che i nostri padri chiamavano il “giudizio di carità.” Cioè, noi siamo chiamati a giudicare come credenti quelli che sono all’interno della chiesa di Cristo fino a quando essi non danno evidenza di non esserlo. Senza un tale giudizio di carità, la vita nella chiesa è impossibile, e l’amore (o carità) che i santi dovrebbero mostrare l’uno nei confronti dell’altro va tristemente perso.

I genitori guardano ai loro figli con lo stesso giudizio di carità, perché essi sanno e sono convinti che Dio si compiace di salvare la Sua chiesa dal mezzo dei loro figli. Quando, dunque, essi generano figli, lo fanno nella fiducia che i figli sono davvero un eredità del Signore, e che colui la cui faretra è piena d’essi è benedetto. I genitori oggi possono cantare, proprio come la chiesa dell’Antico Testamento [Salmo 128:3]:

Gai bambini, figlie e figli,
la tua mensa attornieran,
Quali ulivi, belli e forti
Pien di spe’ prometteran.2

Quando i genitori istruiscono i loro figli, essi lo fanno sapendo che la loro istruzione sarà benedetta, perché è santificata nei cuori dei loro figli dalla potenza dello Spirito.

A questo punto particolare, i Battisti Riformati si trovano davanti ad un’insormontabile problema. Dal momento che essi considerano i loro bambini non rigenerati ed inconvertiti, possiamo molto legittimamente rivolgere loro questa domanda: Perché insegnate ai vostri figli le vie del Signore? Essi hanno dato varie risposte a questa domanda. Alcuni, apertamente Arminiani, dicono semplicemente che essi insegnano ai loro figli perché in questo modo essi sono condotti a Cristo. Questa istruzione porrà davanti a loro le richieste del Vangelo, ed in questa maniera si spera che i figli saranno condotti ad accettare Cristo, professare fede in Lui, e così entrando a far parte della chiesa.

Altri Battisti, invece, sostengono di essere Riformati. Cioè, essi affermano di credere nelle dottrine della grazia, i cinque punti del Calvinismo. Essi non possono rispondere come fa l’Arminiano, dicendo che sperano che i loro figli ricordino alcune delle cose che sono state loro insegnate da piccoli in modo che, se un giorno al Signore piacesse di salvarli e condurli alla conversione, quegli insegnamenti ritorneranno loro in mente e dopo la loro conversione arrecheranno loro dei benefici. Questa risposta non è possibile. Il problema è che essa non è una risposta che prende propriamente in considerazione la verità della totale depravazione. Totale depravazione significa che un individuo totalmente depravato non è soltanto completamente privo della grazia di Dio, non è solo incapace di fare qualsiasi cosa che agli occhi di Dio risulti gradevole, ma che è anche impossibile che questo individuo sia in alcun modo ricettivo delle cose di Dio. E’ difficile comprendere come l’istruzione data ad un bambino totalmente depravato, ed inconvertito, possa realmente arrecargli qualche beneficio.

Consapevoli di questa difficoltà, alcuni Battisti hanno assunto questa posizione: prima dell’opera della rigenerazione vi è, nei cuori di quelli che odono il vangelo, che siano bambini o adulti, una certa opera preparatoria di grazia. Essa, indipendentemente dalla rigenerazione, è sufficiente a preparare nell’inconvertito un certo tipo di terreno favorevole, e di mettere in grado quelli che ricevono tale grazia di decidere per o contro Cristo. Nella Scrittura, tuttavia, non vi è assolutamente niente che offra supporto a questa veduta di una grazia preparatoria. Essa è un’introduzione della veduta Arminiana dell’opera della salvezza: Dio dà grazia a tutti affinchè ognuno possa avere un libero arbitrio col quale scegliere per o contro Cristo.

Quanto è meglio invece adottare la veduta scritturale! Il battesimo da se stesso non infonde la rigenerazione, la vita di Cristo, ma è un segno ed un sigillo di quell’opera di Dio con la quale Egli dà ai Suoi eletti un nuovo cuore. Quel miracolo che è significato e sigillato nel battesimo ha luogo anche nei cuori dei bambini eletti del patto. In ogni istruzione che questi bambini ricevono, i genitori, così come gli insegnanti nelle scuole e coloro che svolgono qualche ufficio ecclesiastico, possono impartire tale istruzione con la fiduciosa sicurezza che Dio renderà efficace quella parola e quella istruzione.

Il Battesimo dei Servitori di Abraamo

Alcuni pensano di trovare nella circoncisione dei servitori di Abraamo in Genesi 17:9-14 un prova efficace contro il battesimo degli infanti.

Altro esempio della tendenza pedobattista di leggere il Nuovo Testamento nell’Antico è il modo in cui è trattato il racconto dell’istituzione della circoncisione in Genesi 17. Quale sarebbe l’evidenza, ai versi da 10 a 14, che ad alcuno dei maschi nella famiglia di Abraamo, o ai figli delle sue concubine, fu richiesto di fare una confessione di fede personale nel Dio di Abraamo prima di essere circoncisi? Quale evidenza ci suggerisce che un uomo nato dalla discendenza di Abraamo potesse interdire i suoi figli dalla circoncisione se egli non esercitava la fede di Abraamo? Se, d’altro canto, verrà concesso che non a tutti i maschi della famiglia di Abraamo era richiesto di confessare la fede nel Dio di Abraamo, allora chiediamo: forse che Abraamo, che era la sola persona la cui circoncisione è esplicitamente detta essere il segno e il sigillo della sua fede (Romani 4:11), esercitò fede al loro posto come capo del gruppo e unica persona con la quale il patto fu stabilito? Se è così, e questa dovrebbe essere l’interpretazione più naturale di Genesi 17, ciò proverebbe fin troppo per i Pedobattisti, perché significherebbe che anche ora i servi potrebbero essere battezzati meramente in virtù del fatto che il capo della famiglia è un credente.3

Questa posizione è dovuta semplicemente ad un fraintendimento della natura dell’Antico Testamento. Si deve ricordare che la famiglia di Abraamo era la chiesa dell’antica dispensazione. Quella famiglia includeva tutti quelli che erano in casa. Abraamo era il profeta, il sacerdote e il re. La linea del patto fu continuata con lui. Egli era responsabile per l’intera famiglia sulla quale Dio lo aveva stabilito come capo, come anche per la sua cura e nutrimento spirituale. Dunque, quando Dio diede il segno della circoncisione come segno del Suo patto, esso doveva essere amministrato nella chiesa di quel tempo da Abraamo. Tutti quelli che appartenevano a quella chiesa dovevano portare quel segno, proprio come più tardi sarebbe stato in Israele, e poi nella chiesa nella nuova dispensazione, quando il segno è il battesimo.

Vi è anche evidenza del fatto che tra questi servi di Abraamo vi fossero dei veri credenti. Si consideri la storia del servitore di Abraamo che fu mandato a Nahor per cercare una moglie ad Isacco (Genesi 24). Durante tutto il corso di questa avventura, il servitore mostrò di essere un sincero ed obbediente figlio di Dio che cercò di fare la Sua volontà, e guardò a Lui affinchè lo dirigesse in ogni passo da fare. Questo servo potrebbe benissimo essere stato Eliezer, il quale temeva Dio.

Nella casa di Abraamo era esercitata anche la disciplina. Quando Ismaele derise Isacco, Abraamo fu obbligato a mandarlo via. Che questa fu una scomunica è confermato da Paolo in Galati 4:29-30: “Ma, come allora colui che era generato secondo la carne perseguitava colui che era generato secondo lo Spirito, così avviene al presente. Ma che dice la Scrittura? ‘Caccia via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non sarà erede col figlio della libera.’”

Circoncisione Maschile

Un’obiezione contro il battesimo degli infanti spesso sollevata da coloro che sostengono il battesimo dei soli credenti è che nell’Antico Testamento soltanto i maschi erano circoncisi, mentre nel Nuovo Testamento sono battezzati sia maschi che femmine. L’argomento è in sostanza questo: Se il battesimo ha preso il posto della circoncisione, allora dovrebbe esservi una correlazione tra l’amministrazione del segno nell’Antico Testamento e nel Nuovo Testamento per quanto riguarda i partecipanti. Dunque nell’Antico Testamento il segno del patto dovrebbe essere stato amministrato a ragazzi e ragazze come il battesimo lo è nel Nuovo Testamento.

Nel rispondere richiamiamo l’attenzione del lettore su vari punti.

Senza dubbio, in parte, la differenza nel segno ha a che fare con la natura dell’antica dispensazione. Nell’Antico Testamento Dio scelse come segno del patto la circoncisione. Nella Scrittura non ci è detto il motivo per il quale Dio scelse questo segno e non altri che pure avrebbe potuto scegliere, e qualsiasi risposta a questa questione risulterebbe in qualche modo speculativa. Tuttavia, vi potrebbero essere due ragioni per cui Dio scelse la circoncisione come segno del patto nell’antica dispensazione.

Primo, il segno della circoncisione era un segno di sangue. Nell’antica dispensazione fu sparso molto sangue, perché Dio voleva costantemente ricordare al Suo popolo che senza spargimento di sangue non vi era remissione dei peccati (Ebrei 9:22). Un segno di sangue avrebbe rinforzato questo insegnamento.

Secondo, in stretta connessione allo spargimento di sangue, la natura del segno effettuato sull’organo della generazione era per l’Israele credente un ricordo costante che essi non erano capaci di generare la discendenza del patto attraverso la generazione naturale, la concezione, e la nascita. Essi potevano generare soltanto figli carnali, morti nel peccato. Per generare i figli della promessa, i veri figli del patto, ci voleva un’opera di grazia, il miracolo della grazia che Dio compie in entrambe le dispensazioni, antica e nuova.

Ora se è giusto che questa è, almeno in parte, la ragione per la quale Dio scelse la circoncisione come segno del patto nell’Antico Testamento, dunque il fatto che questo segno fosse applicato soltanto ai maschi è ragionevole. Tuttavia, ciò non deve essere costruito come un infelice corollario della natura del segno scelto da Dio. Il fatto è che la linea del patto era perpetuata attraverso i maschi. Essi occupavano una posizione di speciale importanza nell’Antico Testamento, ed era sufficiente che loro portassero il segno del patto. Se si leggono le genealogie nell’Antico Testamento non si può fare a meno restare impressionati dal fatto che vengono menzionati soltanto i maschi. Fa eccezione la genealogia in Matteo 1, dove sono menzionate cinque donne. Queste donne furono figure uniche nella linea del patto. Tamar generò la discendenza della promessa con un atto di adulterio; Rahab e Ruth erano straniere, e inoltre Rahab era una prostituta pubblica nella città di Gerico; Bathsheba era la moglie di Uria che Davide rapì da Uria con adulterio e omicidio; Maria era la madre di Cristo. Ma nel resto della Scrittura le genealogie sono limitate ai maschi.

E’ interessante notare che, generalmente, i teologi Riformati hanno assunto la posizione che la femmina era come inclusa nel maschio e dunque partecipava in questo modo al sacramento veterotestamentario.4 Nel Nuovo Testamento, invece, le femmine sono elevate ad una più alta posizione nel patto di Dio, perché anch’esse, insieme ai maschi, ricevono lo Spirito sparso da Cristo. A Pentecoste Pietro cita la profezia di Gioele che enfatizza proprio questa verità: “… e i vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno … in quei giorni spanderò del mio Spirito sopra i miei servi e sopra le mie serve …” (Atti 2:17-18 [enfasi aggiunta]).

Non è strano, quindi, che nel Nuovo Testamento il segno del battesimo sia dato a maschi e femmine. Dobbiamo notare, inoltre, che il battesimo è il segno appropriato per la nuova dispensazione, perché come l’acqua purifica la sozzura dal corpo, così il sangue di Cristo ci purifica da ogni peccato.

Bambini alla Tavola del Signore

Un’altra obiezione sollevata contro la posizione dei Pedobattisti è che nell’Antico Testamento ai bambini era permesso di partecipare alla pasqua, ma nella nuova dispensazione ad essi viene generalmente vietato di partecipare alla cena del Signore.

Si assume che i bambini saranno presenti e parteciperanno alla celebrazione della pasqua …

Se la nostra interpretazione è corretta allora quelli che sottolineano così tanto l’analogia circoncisione/battesimo dovrebbero anche sottolineare un po’ di più l’analogia Pasqua/Cena del Signore. Se successivamente alla circoncisione gli infanti erano presenti alla pasqua e vi prendevano parte, allora perché i nostri amici Pedobattisti Riformati negano la Cena del Signore agli infanti? Se l’analogia è valida in un caso, dovrebbe esserlo anche nell’altro.5

Fred Malone, altro difensore del battesimo dei soli credenti, argomenta, sulla base di Esodo 12:24, che i bambini partecipavano alla festa di pasqua. Egli conclude:

Qual è il mio punto? Assumendo che ai bambini nell’Antico Patto era permesso di partecipare alla Festa della Pasqua non appena essi erano in grado di consumare gli elementi, e assumendo che ai bambini nel Nuovo Patto non sia permesso di partecipare alla Cena del Signore fino a quando non siano evidenziate fede salvifica ed auto-esame, le mie domande sono: Cosa è cambiato nell’applicazione del concetto della famiglia pattale dall’Antico Patto al Nuovo Patto? Perché il bambino del patto partecipa alla Pasqua e non alla Cena del Signore? Il bambino del Nuovo Patto ha forse meno benedizioni di quello dell’Antico Patto? Quali sono ESATTAMENTE le benedizioni pattali per il bambino del Nuovo Patto?6

Nei loro libri questi due scrittori non citano molti passaggi a supporto dell’idea che i bambini partecipavano alla pasqua. Kingdon usa passaggi in cui era comandato a tutti i membri maschi di comparire davanti al Signore nel tabernacolo e nel tempio, come Esodo 23:17 e Deuteronomio 16:16. Egli fa anche riferimento ad Esodo 12:26-27 e Deuteronomio 6:20-25 e dice: “Si assume che i bambini saranno presenti e partecipino alla celebrazione della pasqua. E quando i vostri figli vi chiederanno ‘Che significa per voi questo rito?’ risponderete: ‘Questo è il sacrificio della Pasqua dell’Eterno.’”7 Malone si riferisce ad Esodo 12:24, dove Dio dice: “E osserverai questo come un ordinanza per te ed i tuoi figli in perpetuo.”

Vi sono varie osservazioni che dovrebbero essere fatte riguardo a questa linea di ragionamento.

Primo, il fatto che Dio comandò al popolo ed ai loro figli di osservare l’ordinanza della pasqua per sempre (Esodo 12:24) non significa necessariamente che ogni bambino piccolissimo partecipasse alla festa. L’enfasi è sul fatto che Israele doveva osservare questa festa durante tutte le sue generazioni. In ogni caso, l’età dei bambini non è menzionata.

Secondo, neppure il fatto che ai maschi era comandato di comparire davanti al Signore per celebrare questa festa ci dice qualcosa riguardo all’età dei bambini. Alcuni richiamano l’attenzione al fatto che il testo parla di tutti i maschi, ma ciò non significa necessariamente tutti i bambini e gli infanti. Infatti, Keil, commentando Esodo 23:17 (senza che ciò abbia niente a che fare con la questione del battesimo) scrive: “Il comandamento di comparire, cioè, di fare un pellegrinaggio, al santuario, era ristretto ai membri maschi della nazione, probabilmente quelli al di sopra dei 20 anni di età, che erano stati inclusi nel censimento (Numeri 1:3). Ma questo non impedì l’inclusione delle donne e dei ragazzini (cf. I Samuele 1:3, e Luca 2:41).”8

Terzo, è certamente vero che i bambini dovevano chiedere ai loro genitori cosa significasse quel rito, e che i genitori dovevano spiegarlo ai loro bambini. La pasqua era celebrata in famiglie dove i bambini erano naturalmente presenti e avrebbero osservato il pasto. Questo non implica necessariamente che essi partecipavano al pasto, ma il comandamento di spiegare il suo significato era una parte della loro preparazione in vista di una loro partecipazione ad esso in un tempo futuro. Lo stesso è vero nella nuova dispensazione. Quando la chiesa celebra la cena del Signore, i nostri bambini sono presenti con noi. Essi ci chiedono cosa significano queste cose, e noi spieghiamo loro il significato del sacramento. Questa è la nostra responsabilità ed il nostro obbligo. Ma questo non significa che loro prendono parte al sacramento.

Quarto, in connessione con la visita di Gesù con i Suoi genitori a Gerusalemme, Edersheim scrive: “Una rigorosa osservanza della legge, il partecipare personalmente alle ordinanze, e quindi alle feste a Gerusalemme, incombeva sulla gioventù solo a partire dai tredici anni di età.”9 Vi sono poche autorità superiori a Edersheim riguardo ai costumi dell’Antico Testamento.

La nostra conclusione è che anche se la questione dell’età in cui i bambini celebravano la pasqua non può essere determinata con certezza assoluta, vi è evidenza che indica che i bambini non vi partecipavano fino ad una certa età.

Questa posizione è coerente anche col significato dei due sacramenti. Il sacramento del battesimo significa l’entrata nel patto di Dio. Siccome questa è un’opera in cui il bambino eletto di Dio è completamente passivo, esso è effettuato quando i figli dei credenti sono infanti, e soltanto una volta. Il sacramento della cena del Signore indica che, durante il suo soggiorno terreno, il credente ha bisogno del nutrimento spirituale del corpo e del sangue di Cristo. La cena del Signore è quindi amministrata regolarmente. Partecipare ad essa è un atto di fede cosciente. Soltanto al credente spiritualmente maturo, cioè capace di esaminare se stesso, e di accostarsi alla tavola del Signore, e di confessare che la sua salvezza è solo in Cristo Gesù, può essere permesso di avvicinarsi.

Il Battesimo di Giovanni

I Battisti enfatizzano molto il fatto che Giovanni il Battista battezzasse soltanto adulti. Kingdon scrive:

Il principio della connessione con la nascita è chiaramente abrogato nel battesimo di Giovanni. Il suo fu un battesimo di ravvedimento (Marco 1:4). Egli ammise al battesimo soltanto quelli che confessavano i loro peccati (Matteo 3:16). Quelli in grado di poter confessare i peccati chiaramente non sono infanti … Se Giovanni battezzava soltanto quelli che potevano confessare i loro peccati, e se i discepoli del nostro Signore adottavano la stessa pratica, perché dovrebbe essere così difficile credere che la Chiesa apostolica non praticava il battesimo degli infanti?

Secondo l’argomento Pedobattista, Giovanni avrebbe dovuto battezzare gli infanti come gli adulti, perché avrebbe, da giudeo, accettato il principio del “te e la tua discendenza.” Tuttavia egli non battezzò infanti. Come spiegano questo i Pedobattisti? Io suggerisco che in base alle loro stesse premesse si trovano in una situazione molto complicata. Essi potrebbero dire, in primo luogo, che siccome Giovanni non battezzava infanti senza un chiaro comandamento di non farlo, agiva senza divina autorizzazione. Ciò è impensabile alla luce della sua missione come messaggero di Dio (Marco 1:2).

In secondo luogo, i Pedobattisti potrebbero argomentare che il principio non funzionava nel caso del suo battesimo di ravvedimento. Se scelgono di argomentare in tal maniera devono mostrare perché lo stesso principio non dovrebbe applicarsi al battesimo Cristiano, il quale è anche, tra le altre cose, un battesimo di ravvedimento (Atti 2:38).10

Da un lato, non è sorprendente che i Battisti abbiano una concezione sbagliata del ministerio di Giovanni il Battista, perché la loro incapacità di cogliere la relazione tra l’antica e la nuova dispensazione li condurrebbe, abbastanza naturalmente, anche a fraintendere il ministero di Giovanni il Battista. Ed il loro fraintendimento della natura della sua opera li condurrebbe anche a fraintendere la natura del suo battesimo.

Giovanni il Battista occupava un posto unico nella realizzazione storica del patto di Dio. Gesù fa notare questo in Matteo 11 dove chiama Giovanni il più grande di tutti i profeti (vv. 9-11), e tuttavia afferma che il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di Giovanni. Il più grande di tutti i profeti, ma minore del più piccolo nel regno dei cieli! Come può mai essere così?

La risposta è che Giovanni visse in un periodo di transizione tra l’Antico ed il Nuovo Testamento, come predecessore del Signore Gesù Cristo. In quanto tale, la sua posizione era unica. Egli faceva parte dell’Antico Testamento, ma annunziava l’avvento del Nuovo. Egli nacque, predicò e morì nell’Antico, ma nessuno si trovò tanto vicino quanto lui alla venuta del Nuovo, che arrivò in tutta la sua gloria attraverso l’opera di Cristo. Egli predicò agli sgoccioli dell’Antico e sulla soglia del Nuovo.

La chiamata di Giovanni aveva un aspetto positivo ed uno negativo. Da un punto di vista positivo la sua chiamata era quella di preparare la via per il Cristo ed annunziare la Sua venuta come colui il quale avrebbe stabilito il regno dei cieli. Questo è quanto Giovanni fece in tutto il suo ministero, che alla fine culminò nelle commoventi parole: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie via il peccato del mondo” (Giovanni 1:29). Quando Giovanni aveva indicato Gesù al popolo, la sua opera era terminata e il suo ministero completato.

Quell’opera di preparazione della strada del Signore aveva anche un aspetto negativo. Anche se il ministero di Giovanni è discusso in tutte le narrative evangeliche, questo aspetto è particolarmente enfatizzato in Matteo 3. Giovanni faceva parte dell’Antico Testamento, e, in quanto tale, si trovava ancora nella dispensazione dei tipi ed delle ombre, quando l’intera economia di Israele prefigurava la realtà del regno dei cieli che doveva venire. Quell’ antica economia dispensazionale di tipi ed ombre era divenuta corrotta a causa della malvagità dei leader religiosi e politici. L’empio Erode Antipa sedeva sul trono di Davide, e la nazione si trovava sotto il tallone schiacciante di una potenza straniera. Gli scribi ed i Farisei ipocriti controllavano la vita religiosa ed ecclesiastica della nazione, così che il tempio, con tutti i suoi sacrifici e cerimonie, era governato da uomini non credenti. La casa di Dio era stata resa un covo di ladri, e i precetti della legge erano nascosti al di sotto di ordinanze e leggi inventate dagli uomini. L’intera struttura tipica della vita di Israele era appesantita da invenzioni umane, e la giustizia ottenuta con le opere era promossa come la via della salvezza.

Nessuna meraviglia, dunque, che il ministero di Giovanni assunse quella forma. Egli si sforzava nel deserto di chiamare il popolo via dal tempio e dalla sua forma morta di adorazione. In virtù del fatto che predicava nel deserto presso il Giordano, egli diceva, in effetti, a quelli che erano sulla via per Gerusalemme: “Non andate a Gerusalemme, dove ogni cosa è decaduta e corrotta, e dove la decadente forma di adorazione sta per passare via per sempre. Unitevi a me, qui, separandovi da quell’inutile sistema, perché sta per sorgere un nuovo giorno.” Egli annunziò che la scure fu posta ai piedi dell’albero, l’albero della vita cerimoniale e tipica di Israele, perché, ora che la realtà era venuta, Dio era pronto a mettere da parte l’intera economia dei tipi e delle ombre.

Dunque, la responsabilità peculiare del ministero di Giovanni era quella di annunziare che il regno dei cieli era vicino, e che il giudizio stava per sopraggiungere sulla casa apostata di Israele. L’intero sistema mosaico stava per essere abolito, perché la figura stava per fare spazio alla realtà. E la nazione intera stava per riempire la coppa dell’iniquità così che il giudizio poteva venire sulla casa di Israele, ed il vangelo, attraverso l’opera di Cristo, potesse divenire davvero cattolico nel radunare una chiesa da ogni nazione, tribù, e lingua.

Su questo sfondo Giovanni predicava, e nel contesto di questa verità Giovanni effettuò la sua opera. Se si comprendono queste cose, le seguenti verità riguardanti il suo battesimo risulteranno chiare:

Primo, contrariamente all’opinione di quelli che obiettano, il principio della salvezza dei credenti e la loro discendenza era ancora vigente. Ciò è così perché il periodo era ancora quello dell’antica dispensazione, ed il principio rimase operativo, come lo era sempre stato. Il rito della circoncisione era ancora il segno del patto, perché non era ancora giunto il momento del regno dei cieli. Giovanni predicò con grande fatica, avvertì e battezzò, all’interno del contesto della verità dell’Antico Testamento, che Dio stabiliva il Suo patto coi credenti e la loro discendenza spirituale. Ciò era talmente vero che sia Giovanni che Gesù furono circoncisi secondo la legge.

Secondo, Matteo 3 non ci dice se i bambini fossero presentati nel deserto o se furono o meno battezzati con i loro genitori. Vi è qualche indizio che i bambini erano presenti e perfino battezzati. Ci è detto che “Gerusalemme, e tutta la Giudea” si recava da Giovanni (Matteo 3:5). Se è vero che la parola “tutta” certamente non si riferisce ad ogni singola persona (cosa che non accade mai nelle Scritture), significa “ogni tipo di persona, rappresentativa dell’intera area,” e ciò implicherebbe certamente che uomini, donne e bambini andavano per udire Giovanni. Ciò ci è suggerito anche in Matteo 14:21 e 15:38, dove ci è detto che anche donne anziane e bambini erano presenti nel deserto, anche se soltanto gli uomini sono inclusi nel numero di quelli che erano nutriti. In ogni caso, non possiamo esserne certi. Non possiamo essere certi che Giovanni battezzava i bambini, ma non possiamo essere sicuri nemmeno che egli non battezzava bambini. Non possiamo trarre conclusioni sulla base del silenzio delle Scritture a riguardo.

Terzo, la questione più pressante nella mente di Giovanni, quando gli scribi ed i Farisei si recavano a lui, era l’importanza di avvertirli di una fondamentale verità, una verità che Dio aveva enfatizzato durante tutto l’Antico Testamento, ma che necessitava di nuova enfasi: che i figli di Abraamo non erano mai stati, e non lo erano nemmeno ai suoi giorni, i figli della carne. “E non pensate di dir fra voi stessi: “Noi abbiamo Abrahamo per padre;” perché io vi dico che Dio può far sorgere dei figli ad Abrahamo anche da queste pietre” (Matteo 3:9).

Questo è quanto Calvino ha da dire su Matteo 3:9:

Egli dunque sottrae loro la malvagia fiducia con la quale si erano ingannati. Il patto, che Dio aveva fatto con Abraamo, era da loro impiegato come uno scudo per difendersi da una cattiva coscienza: non che essi rimettevano la loro salvezza nella persona di un uomo, ma essi credevano che Dio aveva adottato tutta la posterità di Abraamo. Nel frattempo essi non consideravano che nessuno può arrogarsi il titolo di essere “la discendenza di Abraamo,” (Giovanni 8:33) se non quelli che seguono la sua fede, e che senza fede il patto di Dio non ha alcuna influenza nel procurare la salvezza. E anche l’espressione in voi stessi non è senza significato: perché anche se essi non si vantavano di parole, cioè che erano figli di Abraamo, erano interiormente compiaciuti di questo titolo, come gli ipocriti non si vergognano di praticare più grandi e grossolane imposizioni su Dio che sugli uomini.

… Il significato delle parole, dunque, è questo: “Dio ha fatto un patto eterno con Abraamo e la sua discendenza. Su questo vi sbagliate. Mentre siete peggiori dei bastardi, voi immaginate che soltanto voi siete i figli di Abraamo. Ma Dio farà sorgere una nuova discendenza ad Abraamo, che ora non è ancora apparsa.” Egli dice col caso dativo, figli AD ABRAAMO, per informarci che la promessa di Dio non fallirà, e che Abraamo, che confidava in essa, non fu ingannato, anche se la sua discendenza non si trovava in essi. Quindi, dall’inizio del mondo il Signore è stato fedele alla promessa che fece loro, che egli avrebbe esteso misericordia ai loro figli, anche se rigettò gli ipocriti.11

E’ un principio perenne del patto di Dio che “non tutti quelli che sono d’Israele sono Israele,” ma che i figli della promessa sono contati come discendenza (Romani 9:6). Giovanni in maniera particolare enfatizzò questo punto, perché il regno dei cieli era alle porte, e la sola strada nel regno dei cieli è la via del ravvedimento. Non che ciò fosse un principio differente da quello che era sempre stato. Quanto spesso, infatti, l’Antico Testamento ha enfatizzato proprio questo? Con l’arrivo della realtà però, questa verità fondamentale deve essere sottolineata. L’intera economia dei tipi e delle ombre deve essere messa da parte, e con essa passerà via anche il modo di trattare di Dio con la nazione come un tipo della chiesa. Un mero appello al fatto di essere la discendenza di Abraamo non ha alcun valore nel regno dei cieli. Il ravvedimento, questa è la cosa importante.

Quarto, Giovanni battezzava alla luce dell’enfasi sul ravvedimento. Il battesimo non era qualcosa di estraneo al popolo, perché erano abituati a molte cerimonie che includevano lavaggi, aspersioni, e varie purificazioni. La circoncisione era ancora valida, perché il nostro Signore Stesso fu circonciso. Ma il giorno delle cose nuove stava arrivando, ed il battesimo stava per prendere il posto della circoncisione. Il ravvedimento per il perdono dei peccati era ora il marchio di coloro che entravano nel regno dei cieli. Il battesimo era un segno e sigillo di questo. Siccome era giunta la realtà, il segno era più chiaro. Il segno di sangue della circoncisione e dell’incapacità di generare la discendenza della promessa non fu più necessario, perché la Discendenza ora era lì per operare tutte le cose necessarie alla salvezza. Così il battesimo era amministrato insieme alla circoncisione fino a che la circoncisione non fu tolta di mezzo del tutto, e cioè quando il regno giunse pienamente con lo spargimento dello Spirito del Signore esaltato. Dunque l’enfasi è sul significato del battesimo; il punto non è la questione del battesimo degli infanti.

E’ esattamente la continuità tra la circoncisione ed il battesimo che mette in evidenza anche la continuità del principio dei credenti e loro discendenza. Gesù rende questo chiaro quando prende i piccoli fanciulli a Sé e sottolinea: “di tali è il regno dei cieli” (Matteo 19:14). Anche Pietro sottolinea questo, nello stesso giorno di Pentecoste: “Perché la promessa è per voi ed i vostri bambini” (Atti 2:39).

Un Patto Eterno

Si è detto molto sul fatto che anche se la parola “eterno” è usata nelle Scritture per descrivere la natura del patto, tuttavia essa non significa sempre “eterno,” ma a volte ha connota semplicemente un lungo periodo di tempo. I Battisti argomentano che quando Dio disse ad Abraamo che avrebbe stabilito un patto eterno con Abraamo e la sua discendenza (Genesi 17:7), ciò significa soltanto che Dio avrebbe stabilito un patto che sarebbe durato per un lungo periodo di tempo.

Ho già brevemente affrontato questa questione al capitolo 6. Qui aggiungerò soltanto qualche ulteriore osservazione. E’ vero che la parola ebraica veterotestamentaria non significa sempre “per sempre” o “eterno,” ma ciò non indica che non ha mai questo significato. Il significato basilare “per un lungo tempo” può significare, e spesso significa, “per un lungo tempo che si estende da prima della storia e nel futuro oltre la storia, un futuro senza fine.” Questo è il significato del Salmo 90:2: “Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e il mondo, anzi da sempre e per sempre tu sei DIO.”

Le molte volte che la parola eterno appare nella Scrittura insieme alla parola patto sicuramente prova senza dubbio che ciò che si intende è “eterno” nel senso di “tempo senza fine.” Secondo la concordanza di Young, la parola ebraica è resa con “eterno” almeno 59 volte nella Authorized Version,12 e, tra queste, 14 volte è associata al patto di Dio. Si considerino i seguenti passaggi: “Inclinate l’orecchio e venite a me, ascoltate e la vostra anima vivrà; e io stabilirò con voi un patto eterno, secondo le misericordie stabili promesse a Davide” (Isaia 55:3). Isaia disse queste parole dalla prospettiva profetica della cattività dei figli di Giuda. La natura del “patto eterno” è questa: “le misericordie stabili promesse a Davide,” un chiaro riferimento al Salmo 89. Il chiaro riferimento è al patto stabilito e adempiuto con ed in Cristo.

Lo stesso è vero di Isaia 61:8-9: “Poiché io, l’Eterno, amo il giudizio, odio il furto per offrire l’olocausto, io dirigerò la loro opera in verità e stabilirò con loro un patto eterno. E la loro discendenza sarà conosciuta fra i Gentili e la loro progenie fra i popoli; tutti quelli che li vedranno li riconosceranno, che essi sono la discendenza che il Signore ha benedetto.” Qui, molto chiaramente, Dio parla di un patto eterno che ha come sua caratteristica il fatto che “la loro discendenza sarà conosciuta fra i Gentili.” E’ impossibile far riferire questo all’Israele nazionale e parlare di un patto stabilito per un lungo tempo nell’antica dispensazione soltanto.

Un altro passaggio interessante è Ezechiele 37:26-27: “Inoltre stabilirò un patto di pace con loro: sarà un patto eterno con loro, li stanzierò, li moltiplicherò e metterò il mio santuario in mezzo a loro per sempre. Il mio tabernacolo anche sarà con loro; sì, io sarò loro DIO ed essi saranno mio popolo.” Chiaramente ciò si riferisce alla realizzazione del patto di Dio di cui si parla in Apocalisse 21:3: “Ed io udii una gran voce dal cielo dire: Ecco, il tabernacolo di Dio è con gli uomini, ed egli dimorerà con loro, ed essi saranno Suo popolo, e Dio Stesso sarà con loro, e sarà loro Dio.”

Non può essere negato che il riferimento al patto fatto in Ezechiele è esattamente lo stesso di quello che Apocalisse 21 dice essere adempiuto alla venuta del nostro Signore, quando tutte le cose saranno fatte nuove. Ma anche allora, il patto di cui si parla è un “patto eterno.” Ci vuole un considerevole nervo esegetico, quindi, per insistere che “il patto eterno” di cui si parla in Genesi 17:7 è un patto che durerà soltanto “per un lungo periodo,” cioè, soltanto per il periodo dell’antica dispensazione. Questo è realmente impossibile quando consideriamo questo passaggio in Galati 3:16, dove il testo dice che il patto stabilito con “Abraamo e la sua discendenza” è un patto stabilito con Cristo, perché Cristo è la discendenza di Abraamo. Se quel patto è stabilito con Cristo, allora di sicuro è un patto eterno, e non un patto che dura soltanto per un periodo dell’antica dispensazione.

Un altro passaggio che sicuramente stabilisce che la parola “eterno,” in riferimento al patto di Dio, si riferisce alla nuova come alla vecchia dispensazione, è questo: “Quanto a me, questo è il mio patto con loro, dice il Signore: ‘Il mio Spirito che è su di te, e le mie parole che ho posto nella tua bocca, non si dipartiranno dalla tua bocca, né dalla bocca della tua discendenza, né dalla bocca della discendenza della tua discendenza,’ dice il ‘Signore, da ora e per sempre’” (Isaia 59:21). Questo passaggio deve essere compreso alla luce del verso precedente, che parla della venuta del Messia: “E il Redentore verrà a Sion, ed a coloro che si volgono dalla trasgressioni in Giacobbe, dice il Signore.” Questo testo parla del periodo in cui il Redentore di Israele verrà e darà lo Spirito a tutto il popolo di Dio a Pentecoste. Ma quello Stesso Spirito sarebbe stato nella bocca di quelli che sono il vero Israele di Dio, la loro discendenza, e la discendenza della loro discendenza, per sempre. Quello spargimento dello Spirito è il patto di Dio col Suo popolo.

Passaggi che Parlano della Salvezza di Infanti

La posizione che abbiamo assunto in questo libro è che Dio salva i credenti e i loro figli eletti. Questa posizione include il fatto che i figli eletti dei credenti sono, di regola, salvati nell’infanzia. Questa non è una deduzione che facciamo da noi stessi, che ciò sia vero è evidenziato nella Scrittura stessa.

In I Corinzi 7 Paolo sta ammonendo quelli che sono sposati con un non credente di rimanere, per quanto sia possibile, con loro: “E la donna che ha un marito che non crede, se egli gradisce di dimorare con lei, non lo lasci” (v. 13). Ma qui a Paolo interessa rispondere ad un’obiezione a questo comandamento di rimanere con uno sposo/a non credente, e cioè che un marito o una moglie non credente possa implicare che i figli nati da un tale matrimonio siano impuri. Il fatto stesso che vi fosse questa obiezione presuppone che i genitori credenti, in normali circostanze, quando entrambi sono credenti, assumevano che i loro figli erano “puri.” Ma Paolo, sotto l’ispirazione dello Spirito, fa notare che anche quando soltanto uno dei genitori è credente non può essere detto che i figli sono impuri, ciò sarebbe falso. Egli scrive: “Perché il marito non credente è santificato dalla moglie, e la moglie non credente è santificata dal marito: altrimenti i vostri figli sarebbero impuri, ma ora essi sono santi” (v. 14). Dunque, Paolo argomenta che anche i figli nati da un’unione matrimoniale in cui uno dei due è un non credente sono santi.

E’ stato argomentato che la parola “santi” qui non significa “santificati,” ma soltanto “separati dal mondo e nati all’interno della chiesa.” Fatto sta che un tale uso della parola “santi” non si trova da nessun’altra parte nella Scrittura. Uno che è santo è lavato nel sangue di Cristo e santificato dallo Spirito di Cristo.

In Ezechiele 16:20-21 i figli nati da genitori israeliti sono chiamati da Dio “i miei figli.” E’ esattamente perché questi bambini sono figli di Dio che il peccato di offrirli agli idoli, un peccato di cui Giuda era colpevole, era incredibilmente terribile. “Inoltre avete preso i vostri figli e le vostre figlie, che sono nati per me, e li avete sacrificati affinchè fossero divorati. E’ questa vostra prostituzione una cosa da niente che avete colpito i miei figli, e li avete abbandonati e fatti passare attraverso il fuoco per essi?” Che i pagani bruciassero i loro figli come sacrifici agli idoli era una cosa terribile, ma per il popolo di Giuda fare questo era molto peggio. Essi prendevano figli “nati per Dio” figli che Dio chiama “miei figli,” e sacrificavano questi figli di Dio a Baal ed Ashteroth. Che essi erano figli di Dio può soltanto significare che essi erano adottati da Dio nella Sua famiglia, che Egli era loro Padre che li aveva generati per essere Suoi figli attraverso il miracolo della rigenerazione, e che essi erano figli che erano salvati.

Vi sono pochi passaggi nella Scrittura che più chiaramente di Geremia 1:5 insegnano che Dio salva i figli eletti dei credenti nell’infanzia: “Prima che ti formassi nel ventre ti conobbi; e prima che venissi fuori dal grembo ti santificai, e ti ordinai come profeta alle nazioni.” Nel chiamare Geremia al suo ufficio, il Signore parla, primo, di un’ordinazione divina dall’eternità (“Prima che ti formassi nel ventre, ti conobbi”), poi il Signore parla di preparazione dal tempo della concezione di Geremia (“e prima che venissi fuori dal grembo ti santificai, e ti ordinai come profeta alle nazioni”), e questo perché Dio lo aveva ordinato per essere un profeta. La santificazione di cui il testo parla non può significare nient’altro che l’opera della grazia salvifica effettuata da Dio nel profeta in preparazione alla sua chiamata. Dio enfaticamente afferma che questo ebbe luogo durante il tempo che Geremia era nel grembo di sua madre.

Di Abijah, figlio di Geroboamo, la Scrittura dice che la ragione per cui fu preso precocemente dalla famiglia di Geroboamo era perché era l’unico nell’intera famiglia in cui “tu trovato qualcosa di buono” (I Re 14:13). Se non possiamo dire, naturalmente, a che età ciò accadde, in ogni caso fu quando era ancora un bambino. Ed in quel bambino Dio aveva operato la Sua opera di grazia. Il bambino non aveva mostrato fede cosciente, né confessato quella fede, ma era stato salvato. Siccome era stato salvato, fu riscattato dalla casa empia di Geroboamo.

Paolo descrive Timoteo come qualcuno che, dal tempo in cui fu un piccolo infante, conobbe le sacre Scritture. Paolo non vuole meramente dire che sua madre Eunice e sua nonna Lois gli avevano fatto prendere familiarità con la Scrittura fin dall’infanzia, anche se questo è sicuramente vero. Ma il testo dice che Timoteo stesso aveva conosciuto dall’infanzia quelle scritture che lo avevano reso “saggio a salvezza attraverso la fede che è in Cristo Gesù” (II Timoteo 3:15).

Mosè, anche se rimase in casa dei suoi genitori soltanto fino al momento in cui fu svezzato, in quei primi pochi anni fu istruito dai suoi genitori, e ritenne l’istruzione ricevuta per tutto il tempo in cui fu alla corte del Faraone, sotto l’influenza della empia vita nel palazzo reale. Il solo modo in cui ciò fu possibile è che Dio aveva operato nel cuore di Mosè fin dalla sua infanzia per rendere quell’istruzione, ricevuta nei suoi primi due o tre anni, efficace per la salvezza.

L’ultimo passaggio che consideriamo è Luca 1:39-45:

E in quei giorni Maria si levò e andò in fretta presso il paese sulla collina, in una città di Giuda, ed entrò nella casa di Zaccaria, e salutò Elisabetta. E accadde che, quando Elisabetta udì il saluto di Maria, il bimbo saltò nel suo grembo, ed Elisabetta fu ripiena dello Spirito Santo, e parlò a voce alta, e disse: Benedetta sei tu tra le donne, e benedetto è il frutto del tuo grembo. E da dove mi proviene questo, che la madre del mio Signore debba venire a me? Perché, ecco, appena la voce del tuo saluto ha risuonato alle mie orecchie, il bimbo ha saltato nel grembo dalla gioia. E benedetta è colei che ha creduto, perché vi sarà un adempimento di quelle cose che le furono dette dal Signore.

Varie cose sono chiare da questo testo. Primo, il testo menziona due volte il fatto che la voce di Maria fu la causa immediata del salto di gioia di Giovanni all’interno del grembo di sua madre. Quindi, fu la voce di Maria che comunicò a Giovanni, che si trovava all’interno di sua madre, che Cristo Stesso era presente. Secondo, anche se la risposta di Giovanni alla voce di Maria fu certamente miracolosa, essa era anche l’inizio della sua opera di annunzio della venuta di Cristo, un’opera che avrebbe completato al battesimo di Cristo nel deserto di Giudea. Quest’opera Giovanni poteva compierla soltanto da rigenerato e qualificato precursore di Cristo, il Messia. Terzo, Elisabetta, ripiena dello Spirito Santo, fu capace di interpretare questo salto di gioia dentro di lei come un annunzio della venuta e della presenza del Cristo. Non vi era altro modo in cui lei avrebbe potuto sapere che Maria doveva essere la madre del Signore. Infine, il salto di gioia di Giovanni fu evidenza della sua rigenerazione. Non soltanto Giovanni incominciò la sua opera, ma la incominciò con gioia, una gioia che poteva provenire soltanto da un cuore rigenerato.

Qualcuno potrà argomentare che l’intero evento fu miracoloso, e difatti è così. Due cose devono essere dette. Primo, Dio è certamente capace di rigenerare un bambino del Suo patto prima della nascita. Qui abbiamo evidenza che Egli lo fa. Secondo, il miracolo del salto di gioia di Giovanni è, se possiamo dire in questo modo, un miracolo minore a paragone di quello della rigenerazione che Dio effettua nei cuori del Suo popolo.

I genitori del patto iniziano a dare istruzione pattale ai loro figli dal momento in cui essi nascono. Essi fanno così non nella fervida speranza che quando questi bambini diventano più grandi ricorderanno quello che è stato loro insegnato e quindi solo allora andranno a Cristo. I genitori invece lo fanno perché essi credono che Dio è all’opera nei cuori di questi bambini eletti del patto, e che l’istruzione pattale è usata da Dio per operare fede cosciente e salvezza in loro, per quanto piccoli essi possano essere.

Gli psicologi che si interessano del benessere mentale degli infanti ci consigliano di stare molto attenti a quali sensazioni vengono ricevute da un infante. La musica dolce, piacevole, armoniosa, ha un effetto pacifico sull’infante. Sulle pareti della culla devono essere usati dei colori pastello, piuttosto che dei rossi o dei neri aggressivi. Non è possibile, allora, che se una madre canta un Salmo mentre stringe il bimbo tra le braccia ciò possa avere un certo effetto spirituale sul cuore del bambino? Chi può dire come Dio opera nel cuore del bimbo rigenerato attraverso le preghiere della famiglia all’ora dei pasti, o attraverso il canto della congregazione in chiesa, il sacramento del battesimo, la pia conversazione dei fratelli? Lo Spirito opera potentemente e vigorosamente, chi può resistergli? Non possono dei debolissimi mezzi portare a compimento la Sua volontà mentre lo Spirito applica influenze spirituali sul cuore rigenerato di un bambino del patto? Certo che sì!

La Scrittura spesso parla di cose che noi respingiamo piuttosto facilmente. La nostra scarsa considerazione per la fede di un infante è tale soltanto perché apprezziamo poco la potente ed irresistibile opera di Dio nella salvezza.

I genitori del patto, quindi, hanno la chiamata ad istruire i loro figli fin dal momento in cui il bimbo nel grembo materno è suscettibile ad influenze esterne. Una casa pia, in cui l’intera vita è condotta nel timore di Dio, non può fare altro che esercitare una potente influenza su un bambino non ancora nato.

Allo stesso tempo, quell’istruzione, mentre essa è perpetrata durante gli anni ed è data a tutti i bambini nella casa, è istruzione che insegna, conforta, e ammonisce, ma che mette anche in guardia dal male e dalle sue conseguenze. I genitori del patto, incapaci di dire in quale dei loro figli Dio abbia operato la Sua opera di rigenerazione, insegnano a tutti allo stesso modo. Così è in chiesa, come anche a scuola ed in casa. Ma gli avvertimenti non devono essere trascurati. Quando i nostri figli peccano, dobbiamo ammonirli ad essere dispiaciuti per il loro peccato, a confessarlo a Dio e a quelli contro cui hanno peccato, e a cercare perdono nella croce di Gesù Cristo. Dunque, ai figli si deve insegnare il ravvedimento e la conversione giornaliera, e così infatti viene fatto. Ma se i bambini rifiutano di obbedire ai loro genitori e a Dio, che li ha posti in una casa del patto, devono essere avvertiti che il giudizio di Dio è su di loro e la Sua ira è verso di loro fino a quando continueranno nella loro via malvagia. Potrebbe senz’altro accadere che arrivi un giorno in cui, con grande tristezza nel cuore, i genitori debbano dire ad un loro figlio che è diventato grande: “Devi lasciare questa casa, perché tu mostri di disprezzare il patto di Dio e rifiuti di camminare nella via del patto di Dio. Dunque, fino a quando rimarrai impenitente, tu non puoi più godere dei privilegi di una casa del patto.”

Le preghiere dei genitori per questo figlio continuano, perché per loro questo è un grande dolore, ma anche nel loro dolore essi hanno il conforto di sapere che i propositi di Dio sono sempre adempiuti, e che Dio porta a compimento tutto il Suo beneplacito. E’ un miracolo di grazia che Dio si compiaccia di salvare anche uno soltanto dei nostri figli. Se Lui, graziosamente e misericordiosamente, ne salva di più, sappiamo che i nostri deboli mezzi sono stati spesso ostacoli piuttosto che aiuti, e che la nostra salvezza e quella dei nostri bambini è soltanto dal Signore.

Battesimo nella Chiesa Primitiva

Spesso è argomentato che la posizione Battista risalga al giorno di Pentecoste, e che il battesimo degli infanti all’interno della chiesa è soltanto un’aberrazione portata al suo interno dal Cattolicesimo Romano, ed una corruzione della verità della Scrittura. Tuttavia, questo non è vero. Vi sono alcune interessanti osservazioni in un libro scritto da Joachim Jeremias.13

L’autore fa notare che l’uso neotestamentario della parola “famiglia” è lo stesso di quello dell’Antico Testamento, e che Paolo usava la stessa formula nel Nuovo Testamento in riferimento al battesimo. Egli conclude che ciò significa “Paolo e Luca non avrebbero potuto in alcun modo usare oikos [famiglia] se avessero voluto dire che erano stati battezzati soltanto degli adulti.”14

Jeremias dice, inoltre, che questo era il modo in cui il padre della chiesa Ignazio (II sec. d. C.) usava la parola “famiglia,” e con essa egli si riferiva al padre, alla madre ed ai bambini di ogni età all’interno della famiglia, compresi i servitori. Egli conclude:

Se desideriamo comprendere i testi biblici correttamente, dobbiamo liberarci radicalmente dal modo di pensare individualistico moderno, e considerare in particolar modo il fatto che nell’antichità la famiglia rappresentata dal padre era sentita come un’unità in un modo molto più marcato di oggi. Le persone all’interno del gruppo avevano un senso di solidarietà, mutua responsabilità ed unità. Tutte le questioni importanti venivano decise dal padre della famiglia e la sua decisione era vincolante per tutti. In modo particolare la casa era un’unità proprio in relazione a Dio.15

Egli poi aggiunge, in modo significativo: “Il modo in cui la solidarietà della famiglia era ritenuta scontata spiega inoltre perché non si vedeva il motivo per enfatizzare o giustificare in modo speciale il battesimo dei bambini.”16

Jeremias mette in evidenza la presenza di vari padri della chiesa che, nella chiesa primitiva, parlarono del battesimo degli infanti. Ippolito (198-236 d. C.) parlò della festività di Pasqua come un periodo in cui le famiglie erano ammesse alla chiesa attraverso il battesimo. Ciò includeva i bambini e gli infanti, che erano troppo giovani per rispondere a domande battesimali.17 Tertulliano (150-230 d. C.), parlò della partecipazione di alcuni nonni nel battesimo di infanti.18 Vi è forte evidenza che Policarpo, un martire dei primi anni del secondo secolo, fu battezzato da infante, come anche Policrate.19 Secondo Jeremias, Origene (185-254 d. C.) parlò, in tre luoghi distinti, del battesimo degli infanti come una consuetudine della chiesa. Egli riporta anche una citazione da Ireneo (115-202 d. C.): “Perché Lui [Gesù] è venuto per salvarli tutti da Se Stesso: tutti quelli, dico, che attraverso Lui sono rinati a Dio: infanti, piccoli bambini, ragazzi, persone mature ed anziane.”20

Jeremias prosegue dicendo che il Concilio di Cartagine (251 d. C.) decise all’unanimità che i bambini dovessero essere battezzati quanto prima possibile dopo la loro nascita. Egli fa notare che gli ordini della chiesa e le decisioni conciliari di quel tempo diedero evidenza che vi era una tendenza a posporre il battesimo a causa dell’idea superstiziosa che il battesimo perdonasse il peccato, ma entro la fine del quarto secolo il battesimo degli infanti era di nuovo praticato nella chiesa primitiva quasi universalmente.21

Se alcuni nella chiesa primitiva negavano il battesimo degli infanti, tali dinieghi si trovavano principalmente tra le sette che si separavano dalla chiesa, come i Montanisti e i Donatisti.

Se da un lato la tradizione della chiesa non è decisiva nella risoluzione delle controversie, tuttavia la chiesa, da Pentecoste in poi, ha confessato la sua fede nell’insegnamento della Scrittura riguardo al battesimo degli infanti. Un diniego della dottrina è un’aberrazione. Ciò deve essere sostenuto anche se negli anni a venire Roma assunse una veduta non biblica del sacramento e cominciò ad insegnare la rigenerazione battesimale. Non dobbiamo rigettare la dottrina biblica del battesimo degli infanti perché la chiesa romana l’ha corrotta, come anche noi non rigettiamo la dottrina biblica del sacramento della cena del Signore perché la chiesa di Roma lo corrompe insegnando la transustanziazione.

Una Considerazione di Galati 3

A causa dell’importanza di Galati 3 nell’intera discussione, concluderò questo libro con una trattazione di questo capitolo.

Nel considerare questo capitolo dovremmo ricordare che l’apostolo scrisse quest’epistola alle chiese di Galazia avendo in mente la minaccia che incombeva su di esse da parte dei giudaizzanti. Dopo che Paolo ebbe stabilito quelle congregazioni durante il suo primo viaggio missionario, alcuni giudaizzanti giunsero nella congregazione e promossero la dottrina della salvezza per mezzo della legge. Il loro punto immediato era che la circoncisione era necessaria per essere salvati. La circoncisione era necessaria, essi argomentavano, perché solo un israelita naturale poteva ereditare la salvezza. Questo non precludeva la possibilità ai Gentili di essere salvati, perché anche i Gentili erano stati salvati nell’antica dispensazione, ma la sola via in cui un Gentile poteva essere salvato era divenire parte della nazione di Israele, e ciò accadeva attraverso il rito della circoncisione. Ma nell’epistola Paolo fece notare che rendere la circoncisione un requisito per la salvezza era in realtà rendere l’osservanza della legge nella sua interezza un prerequisito per la salvezza: “Perché io testimonio ad ogni uomo che è circonciso che egli è debitore di compiere tutta la legge” (Galati 5:3). Il punto che Paolo trattava nel capitolo 3 è che l’errore dei giudaizzanti era un triste fraintendimento della legge stessa, perché era basato in realtà sul fraintendimento che la legge era la fondazione legale dell’antico patto dispensazionale. Questo è sbagliato. E’ questo errore che egli si propose di correggere in Galati 3. L’argomento è chiaro.

Galati 3:6-9 dice: “Come anche Abraamo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia. Sappiate quindi che quelli che sono dalla fede, gli stessi sono i figli di Abraamo. E la scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani attraverso la fede, predicò prima il vangelo ad Abraamo, dicendo: ‘In te tutte le nazioni saranno benedette.’ Così quelli che sono dalla fede sono benedetti col fedele Abraamo.”

Paolo ha qui indicato vari punti. Primo, il principio della salvezza nell’antica dispensazione era quello della fede, non quello dell’osservanza della legge. Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu imputato, accreditato come giustizia. Il proposito di Dio nell’Antico Testamento era la giustificazione per fede, che ebbe sempre Cristo come suo oggetto. Nell’Antico Testamento, quindi, l’oggetto della fede di Abraamo era la promessa di Dio di mandare Cristo. Ciò è chiaro dal riferimento che Paolo fa a Genesi 15. Abraamo, in età avanzata, aveva suggerito a Dio che, siccome non poteva avere figli, Egli potesse far sì che il figlio del suo servo fosse l’erede della Sua promessa. Dio rispose: “Costui non sarà tuo erede, ma colui che verrà fuori dalle tue viscere sarà tuo erede” (Genesi 15:4). Per enfatizzare quanto sarebbe stata grande quella discendenza Dio lo portò fuori di notte, e gli mostrò la vasta distesa dei cieli costellata di innumerevoli stelle nel firmamento terso, e gli disse: “Così sarà la tua discendenza” (v. 5).

Leggiamo inoltre in Galati: “Abraamo credette a Dio, e ciò gli fu imputato come giustizia” (Galati 3:6). Abraamo era preoccupato riguardo alla venuta della discendenza della donna, che avrebbe schiacciato il capo del serpente, e in cui sarebbe stata la salvezza di Abraamo. Egli aveva bisogno di un figlio, e suggerì a Dio il figlio di Eliezer. Dio disse: “No, tuo figlio è l’erede. Tuo figlio genererà il Cristo.” La difficoltà era che avere un figlio a quel punto della sua vita era per Abraamo umanamente impossibile. E tuttavia egli si aggrappò per fede a quella promessa, e nel fare questo, si aggrappò a Cristo Stesso. Dunque, la fede fu riconosciuta ad Abraamo come giustizia, perché la fede fu il mezzo col quale si impadronì di Cristo, e la giustizia di Cristo divenne la sua.

Il secondo punto di Paolo è che questa fede ha sempre contrassegnato i figli di Abraamo (v. 7). Anche durante l’epoca dell’Antico Testamento i figli di Abraamo erano soltanto quelli che erano “dalla fede.” Non è mai stato differente. I figli di Abraamo non sono mai stati tutta la sua discendenza naturale. I figli di Abraamo non hanno mai compreso tutti i suoi discendenti naturali o tutti quelli che appartenevano alla nazione di Israele. Dio non ha mai operato in questo modo. Il principio della fede è sempre rimasto l’unico principio della salvezza che Dio ha eternamente preparato in Cristo. La Scrittura insiste che i figli di Abraamo, sia allora che adesso, sono quelli che sono “dalla fede.”

Dio sapeva che avrebbe giustificato i pagani proprio come gli israeliti, e sapendo questo Egli predicò il vangelo ad Abraamo, dicendo: “Nella tua discendenza tutte le nazioni della terra saranno benedette” (Genesi 22:18; 26:4). Cioè, il proposito di Dio non è mai stato quello di limitare la salvezza per fede ai soli israeliti. Il proposito di Dio, realizzato nella nuova dispensazione, era invece quello di radunare la Sua chiesa da tutte le nazioni della terra. Egli disse questo ad Abraamo già quando stabilì con lui il Suo patto. Il punto è questo: in te saranno benedette tutte le nazioni della terra, cioè, in Abraamo Dio avrebbe fatto questo. Abraamo è il padre di tutti i credenti. Egli è il padre di tutti i credenti nell’antica dispensazione come nella nuova, ma è il padre soltanto di coloro e di nessun altro, nemmeno dell’israelita che discende da lui secondo la linea della discendenza naturale.

Il risultato è che la regola è valida per ogni tempo: “Così quelli che sono dalla fede sono benedetti col fedele Abraamo” (Galati 3:9). Sia che stiamo parlando della vecchia o della nuova dispensazione, una sola regola è valida: solo quelli dalla fede sono i benedetti, ed essi sono benedetti col fedele Abraamo.

Che diremo della legge, quella legge che i giudaizzanti sostenevano così fermamente essere necessaria per la salvezza? Galati 3:10-14 ci dà la risposta:

Perché quanti sono dalle opere della legge sono sotto la maledizione: perché è scritto: maledetto è ognuno che non continua in tutte le cose che sono scritte nel libro della legge per compierle. Ma che nessun uomo sia giustificato per la legge agli occhi di Dio è evidente, perché: Il giusto vivrà per fede. E la legge non è dalla fede, ma: L’uomo che compie quelle cose vivrà in esse. Cristo ci ha redenti dalla maledizione della legge, essendo reso maledizione per noi, perché è scritto: Maledetto è chiunque sia appeso ad un legno; così che la benedizione di Abraamo potesse venire sui Gentili attraverso Gesù Cristo, in modo che potessimo ricevere la promessa dello Spirito attraverso la fede.

Non è possibile qui metterci a considerare tutti i ricchi e bellissimi concetti di questo passaggio, ma la principale linea argomentativi dell’apostolo è chiara.

Vi sono, dice l’apostolo, basilarmente due modi per essere salvati: l’uno è quello proposto dai giudaizzanti, e l’altro dalla Scrittura stessa. Il primo è la legge, il secondo, la fede. Essi si escludono a vicenda, e non possono entrambi essere una via di salvezza. O l’uno o l’altro è vero, ma non entrambi. Essi si escludono a vicenda perché i loro principi fondamentali sono differenti. Il principio della legge è sempre questo: “l’uomo che le compie vivrà in esse.” Questo è stato il principio della legge fin dall’inizio dei tempi. La legge ha sempre detto: “Osservami, e vivrai.” Essa non avrebbe mai potuto dire nient’altro. La legge diceva questo ad Adamo in paradiso, e continua a dire questo durante tutte le epoche.

Tuttavia, nessuno dopo la caduta può osservare la legge. La caduta, per sua stessa natura, rese l’osservanza della legge per sempre impossibile per l’uomo. Era impossibile per Adamo dopo la caduta, era impossibile per Israele, e lo è per noi. Dunque, la legge non soltanto diceva: “Fai questo e vivi,” ma diceva anche “Maledetto è ognuno che non continua in tutte le cose che sono scritte nel libro della legge per compierle” (Galati 3:10). Dunque, chiunque rimane sotto la legge è sotto la maledizione: “Perché quanti sono dalle opere della legge sono sotto la maledizione” (v. 10). Tutto ciò che la legge può fare è maledire, questa è l’estensione della sua potenza. Paolo parla di questa stessa verità in Romani 8 quando scrive: “Perché quello che la legge non poteva fare, perché era debole attraverso la carne, Dio mandando il Suo proprio Figlio nella similitudine della carne peccaminosa, e per il peccato, condannò il peccato nella carne, così che la giustizia della legge potesse essere adempiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo Spirito” (vv. 3-4).

Il principio della fede è abbastanza differente, è un principio permanente: “Il giusto vivrà per fede” (Abacuc 2:4; Romani 1:17). Cioè, la giustizia viene soltanto per mezzo della fede. Non vi è altro modo. E la via della fede è diametricalmente opposta alla via delle opere della legge. Ciò era vero nell’Antico Testamento, ed è vero ora.

Come è possibile questo? Come è possibile che la fede è la via della salvezza quando la legge è antica quanto la creazione? Come è possibile quando il principio permanente della legge è: Fai questo e vivi, e: Sei maledetto se non continui in tutte le opere della legge per compierle? La risposta è: “Cristo ci ha redenti dalla maledizione della legge, essendo reso maledizione per noi” (Galati 3:13). Cristo venne e si assunse piena responsabilità per tutte le maledizioni della legge che giustamente ci appartengono. Cristo fu appeso al legno, e la parola di Dio su quel legno, la croce, è: “Maledetto è chiunque è appeso ad un legno” (v. 13, vedasi anche Deuteronomio 21:23). Quindi, siccome Cristo sopportò la maledizione della legge per noi, la maledizione della legge non può più giungere su noi, anche se non osserviamo la legge. Ciò non è vero soltanto in questa dispensazione, ma era vero anche nell’antica dispensazione. E’ sempre stato vero.

Dunque, la fede in Cristo era la via. “La benedizione di Abraamo [viene] sui Gentili attraverso Gesù Cristo, così che potessimo ricevere la promessa dello Spirito attraverso la fede” (Galati 3:14). Così, la benedizione di Abraamo, che egli ricevette nell’Antico Testamento (e le benedizioni che tutti i veri figli di Abraamo hanno ricevuto), vengono ora anche sui Gentili nel Nuovo Testamento.

Cosa ha a che fare tutto questo col patto? Galati 3:15-18 risponde a questa domanda:

Fratelli, io parlo secondo la maniera degli uomini; anche se esso fosse un patto umano, e tuttavia fosse confermato, nessuno lo annulla, o vi aggiunge qualcosa. Ora ad Abraamo e alla sua discendenza furono fatte le promesse. Egli non dice: E alle discendenze; come di molte, ma come di una sola: E alla tua discendenza; che è Cristo. Ed io dico questo: il patto, che fu confermato prima da Dio in Cristo, la legge, che si trova quattrocentotrent’anni dopo, non può annullarlo, così che renda la promessa senza alcun effetto. Perché se l’eredità è dalla legge, non è più dalla promessa, ma Dio la diede ad Abraamo per promessa.

Paolo sta qui parlando della relazione tra tutto quello che ha detto intorno alla legge, la fede ed il patto di grazia, che Dio ha stabilito con Abraamo. Egli fa alcune affermazioni sbalorditive riguardo a questa relazione. Egli usa la figura di un patto terreno, ed asserisce che anche un patto terreno, una volta che è stato fatto, non può essere annullato e vanificato. Quel patto, anche tra uomini, rimane. Se ciò è vero di patti tra uomini, quanto più sarà vero del patto che Dio ha stabilito con Abraamo? Niente potrà mai annullarlo e vanificarlo. Ciò significa sicuramente, tra le altre cose, che l’unico patto di Dio con Abraamo è un patto eterno, che non è mai reso inefficace da alcuna cosa che accade nel futuro.

Con chi è stato fatto questo patto? A chi furono date le promesse del patto? Ad Abraamo e alla sua discendenza (Galati 3:16). In connessione a queste ultime quattro parole l’apostolo costruisce un importante argomento. Facendo ruotare la discussione sull’uso del singolare discendenza, in Genesi 17:7, piuttosto che sul plurale discendenze, l’apostolo dice che la promessa del patto fu fatta a Cristo. “Egli non dice: E alle discendenze; come di molte, ma come di una: E alla tua discendenza; che è Cristo” (Galati 3:16). Qui la chiara implicazione è che quando Dio disse ad Abraamo: “Io stabilirò il mio patto tra me e te e la tua discendenza dopo di te” (Genesi 17:7), Dio si stava riferendo, con la parola discendenza, a Cristo. La promessa del patto fu fatta a Cristo. Dio stabilì il Suo patto con Cristo. E fece questo con Cristo come il capo del patto. Questo è il motivo per cui Cristo ha redento il Suo popolo dalla maledizione della legge, questo è il motivo per cui Cristo è il capo del patto in entrambe le dispensazioni, antica e nuova. Dio non ha mai inteso alcun’altra cosa con queste parole. Egli non ha mai inteso dire, con la parola discendenza, “la discendenza naturale di Abraamo” o “la nazione di Israele nella sua interezza.” Fu con Cristo soltanto che il patto fu stabilito: “Io stabilirò il mio patto tra me e … la tua discendenza” (Genesi 17:7).

Quel patto fu confermato in Cristo, e rimane inviolabile e infrangibile. Niente può mai annullarlo o renderlo inefficace, nemmeno la legge: “La legge, che si trova quattrocentotrent’anni dopo, non può annullarlo, così che renda la promessa senza alcun effetto” (Galati 3:17).

Qui la relazione in cui la legge si trovava rispetto al patto è definita in modo negativo. Il patto rimane, il patto che Dio ha stabilito con Abraamo continua a rimanere in effetto perché è stato stabilito principalmente con Cristo. La legge non può intaccare quel patto, esso rimane intatto. Quando Dio diede la legge ad Israele quattrocentotrent’anni dopo aver stabilito il Suo patto, non intese mai annullare il patto con la legge. Ciò non poteva accadere. Anche un patto tra uomini è inviolabile, quanto più il patto che è stato stabilito da Dio! Esso continua in eterno. Dio non intese che da quel momento in poi l’eredità dovesse venire attraverso la legge: “Perché se l’eredità fosse dalla legge, non è più dalla promessa, ma Dio la diede ad Abraamo per promessa” (Galati 3:18). Cioè, la promessa riguardo all’eredità che Dio diede ad Abraamo era un’eredità che venne per promessa, non per la legge. Si noti che Dio sta parlando qui dell’eredità che Dio promise ad Abraamo e alla sua discendenza. Ciò è chiaro da Genesi 17:7-8: “Ed io stabilirò il mio patto tra me e te e la tua discendenza dopo di te nelle loro generazioni per un patto eterno, per essere un Dio a te e alla tua discendenza dopo di te. Ed io darò a te, e alla tua discendenza dopo di te, la terra in cui tu sei straniero, tutta la terra di Canaan, per una possessione eterna, ed io sarò il loro Dio.” La terra di Canaan, allora, era l’eredità. Come la ricevono Abraamo e la sua discendenza? Per la legge? Paolo dice esattamente il contrario. Egli la ricevette per promessa. Non può essere per la legge e per promessa allo stesso tempo, perché “se l’eredità è dalla legge, non è più dalla promessa” (Galati 3:18).

Se ci si chiede come è possibile che Abraamo ricevette la terra di Canaan come sua eredità per promessa, allora si deve ricordare, come abbiamo fatto notare in precedenza, che la terra di Canaan non era nient’altro che un simbolo terreno della Canaan celeste, ed era questa Canaan celeste che Abraamo cercava: “per fede egli [Abraamo] soggiornò nella terra della promessa, come in un paese straniero, dimorando in tabernacoli con Isacco e Giacobbe, gli eredi con lui della stessa promessa, perché egli cercava una città che ha le fondazioni, il cui costruttore e fattore è Dio” (Ebrei 11:9-10). Questo passaggio viene immediatamente dopo il verso 8, che dice: “Per fede Abraamo, quando fu chiamato per andare fuori in un luogo che avrebbe poi ricevuto per eredità, obbedì, ed uscì senza sapere dove andava.” Questa dunque fu la sua eredità: la Canaan terrena come un tipo della città che ha le fondazioni, il cui costruttore e fattore è Dio, ed egli cercò la città celeste perché sapeva che quella era la sua eredità ed era quello che Dio gli aveva promesso.

La legge non aveva niente a che fare con tutto questo. Ma allora una domanda sorge naturalmente: A che pro la legge? Galati 3:19-25 ci fornisce la risposta:

A cosa serve dunque la legge? Essa fu aggiunta a causa delle trasgressioni, finchè fosse venuta la discendenza alla quale la promessa era stata fatta; ed essa fu ordinata per mezzo di angeli nella mano di un mediatore. Ora un mediatore non è un mediatore di uno, ma Dio è uno. E’ allora la legge contro le promesse di Dio? Niente affatto! Perché se fosse stata data una legge che avrebbe potuto dare vita, certamente la giustizia sarebbe stata per la legge. Ma la scrittura ha rinchiuso tutti sotto peccato, così che la promessa per la fede di Gesù Cristo potesse essere data a quelli che credono. Ma prima che venisse la fede, eravamo tenuti sotto la legge, chiusi per la fede che sarebbe stata rivelata susseguentemente. Quindi la legge era il nostro precettore per portarci a Cristo, così che potessimo essere giustificati per fede. Ma dopo che la fede è venuta, non siamo più sotto un precettore.

Ancora una volta, non possiamo entrare in tutti i dettagli di questo bellissimo e significativo passaggio, ma la linea argomentativa principale è chiara. Sembrerebbe che la legge non potesse servire a null’altro se essa non poteva annullare la promessa, e così l’apostolo si trova di fronte alla questione di quale fosse il proposito della legge. Forse che egli suggerisce in qualche modo che la legge era la “fondazione legale” del vecchio patto? Esattamente il contrario è vero. La legge fu aggiunta a causa delle trasgressioni fino a che Cristo fosse venuto. Questo era il suo proposito. Cioè, il peccato era nel mondo, e a causa d’esso la legge non poteva salvare, non aveva la potenza per farlo, e ciò perché il principio della legge è sempre: “Fai questo e vivi.” La legge serviva ad un proposito temporaneo fino a quando fosse venuta la Discendenza. In realtà, se fosse possibile che la legge fosse stata data perchè aveva la potenza di salvare il peccatore, questo è quello che sarebbe accaduto (Galati 3:21), cioè, la giustizia sarebbe stata ottenuta per mezzo della legge. Ma nessuna legge può mai fare questo.

Tuttavia, la legge non è contro le promesse, ma al contrario serviva le promesse. Questo proposito della legge è definito al verso 24: “Quindi la legge era il nostro precettore per portarci a Cristo, così che potessimo essere giustificati per fede.”

La domanda è: Cos’è un precettore? Il precettore (o pedagogo) a cui Paolo fa riferimento era uno schiavo che operava nella casa del suo padrone e che aveva la specifica responsabilità di badare che il figlio del padrone, l’erede, imparasse le sue lezioni a scuola. Egli non impartiva l’insegnamento vero e proprio, ma stava attento a che il figlio andasse a scuola in orario e facesse i suoi compiti a casa. Paolo paragona un tale pedagogo alla legge. Questo è il proposito che la legge serviva nell’Antico Testamento. La legge aveva la responsabilità di stare attenta che i credenti in Israele imparassero bene le loro lezioni. Quali lezioni? Che il giusto vivrà per fede! In che modo la legge faceva questo? La legge faceva questo dando ad Israele delle prescrizioni che controllassero rigidamente tutto quello che un israelita doveva fare: quali vestiti indossare, cosa poteva piantare nel suo campo, cosa poteva mangiare, come lavare i piatti, come offrire sacrifici, e così via. Ma il principio della legge era sempre: “Ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e tuta la tua anima, e tutta la tua forza” (Deuteronomio 6:5).

La legge diceva, perché questo era tutto quello che poteva dire: “Fai questo e vivrai, ma sei maledetto se non continui in tutte le parole della legge per compierle.” Ma l’israelita non poteva osservare quella legge. L’israelita non poteva perché era malvagio, e così la legge scagliava le sue maledizioni sul capo dell’israelita proprio come un pedagogo batte il figlio quando non impara le sue lezioni. Con queste battiture delle maledizioni della legge, gli israeliti credenti fuggivano a Cristo per trovare rifugio in Lui. Essi si aggrappavano alla promessa che un giorno Dio avrebbe mandato Cristo che avrebbe preso tutte le maledizioni della legge al posto loro in modo che essi avrebbero vissuto in Cristo e ricevuto la promessa del patto attraverso la fede. Questa è la lezione loro insegnata: Il giusto vivrà per fede. La salvezza deve essere trovata solo in Cristo. La promessa che Dio diede ad Abraamo era stata adempiuta in Cristo. L’eredità è soltanto in Lui. La legge non può mai conferirla. La legge può soltanto maledire. E così la legge insegnò queste lezioni e forzò l’Israele credente ad impararle. Essi impararono la lezione che la salvezza non può mai giungere per l’osservanza della legge, ma soltanto per la fede in Cristo.

E’ dunque la legge una “fondazione legale” per l’antico patto? Niente del genere. Questo è dispensazionalismo. La legge è un pedagogo che porta il credente a Cristo. “Ma dopo che la legge è venuta, non siamo più sotto un precettore [o pedagogo]” (Galati 3:25). Cristo è venuto, ed il bisogno di un tale pedagogo è passato.22 Così dunque, in ogni epoca, i figli di Abraamo sono quelli che sono dalla fede: “Perché voi tutti siete figli di Dio per fede in Cristo Gesù. Perchè quanti di voi sono stati battezzati in Cristo hanno rivestito Cristo. Non vi è né giudeo né greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina: perché voi siete tutti uno in Cristo Gesù. E se siete di Cristo, allora siete discendenza di Abraamo, ed eredi secondo la promessa” (vv. 26-29).

Che potente e bellissimo argomento! Quanto chiaramente Paolo espone l’intera verità della relazione tra la legge e il patto! Se Cristo è centralmente la Discendenza di Abraamo, allora è anche vero che anche tutti quelli che appartengono a Cristo sono la discendenza di Abraamo, che siano giudei o greci, che vivano nell’antica o nella nuova dispensazione. Appartenendo a Cristo, essi sono tutti eredi secondo la promessa.

Rimane una domanda: perché, allora, il patto fu stabilito con i credenti e la loro discendenza? La risposta a questa domanda ora è chiara. Siccome Abraamo ricevette la promessa del patto per se stesso e la sua discendenza, tutta la sua discendenza doveva portare il segno veterotestamentario di quel patto, il segno della circoncisione. Siccome il patto è lo stesso, le promesse sono le stesse, la via della salvezza è la stessa, ogni cosa è la stessa, anche nel nuovo patto tutti i figli dei credenti devono avere il nuovo segno dispensazionale di quel patto. Siccome i giudei e i gentili eletti sono allo stesso modo figli di Abraamo, così la promessa del patto che Dio sarà il Dio di Abraamo e la sua discendenza attraverso Cristo, è la promessa fatta ai credenti e alla loro discendenza.

Se uno obiettasse e dicesse: “Ma non tutta la discendenza dei credenti è composta di eletti e salvati,” allora rispondo: “Sì, ma nemmeno tutti i figli naturali di Abraamo furono mai tutti salvati. Ma tutti quelli nati all’interno di quella dispensazione storica del patto, sia allora che ora, devono avere quel segno.”

Se uno continuasse ad obiettare e chiedesse: “Ma perché Dio vuole che tutti i credenti e la loro discendenza portino il segno del patto?” allora la risposta è che Dio stabilisce il Suo patto organicamente. Tutti i tralci che fanno parte della vite e che sono in Cristo sono chiamati la vite ed i suoi tralci (Giovanni 15:5), anche se vi sono molti tralci che, secondo le stesse parole di Gesù, non portano frutto e sono tagliate via (v. 2). Così anche tutti quelli che sono nati all’interno delle linee del patto sono considerati, organicamente, una parte della realizzazione storica di quel patto e vanno sotto il nome di Israele nell’Antico Testamento e sotto il nome di chiesa nel Nuovo.23

Cristo era la Discendenza di Abraamo, il padre dei credenti. In questa Discendenza tutti gli eletti di Dio sono salvati, sia che si trovino nella antica o nella nuova dispensazione. Ed in entrambe le due dispensazioni, antica e nuova, la salvezza appartiene ai credenti e alla loro discendenza.

Conclusione

Siamo giunti alla conclusione dell’argomento. Chiedo a tutti quelli che cercano di sostenere che il modo di Dio di trattare con Israele era differente dal modo in cui Dio tratta col Suo popolo in questa dispensazione (perché questa è la questione basilare) di riconsiderare attentamente il chiaro ed inequivocabile insegnamento della Scrittura su questo punto. Se è il vostro desiderio quello di aderire alle verità della grazia sovrana, non dovrebbe essere difficile vedere che le dottrine della grazia sovrana sono inseparabilmente connesse alle verità concernenti il patto eterno di grazia di Dio, e che le verità bibliche gloriose del patto di Dio, in ogni epoca, includono la promessa di Dio che Lui è il nostro Dio ed il Dio della nostra discendenza. In realtà, è mia convinzione che una presa di posizione chiara e non ambigua a favore della fede Riformata e contro l’Arminianesimo, il quale ha la meglio nella chiesa dei giorni nostri, richiede fede nella teologia del patto. E’ impossibile, in ultima analisi, essere e rimanere Riformati e Calvinisti senza aderire alla verità della sovranità assoluta di Dio nello stabilire e mantenere il Suo patto di grazia. La nostra confessione è e dovrebbe sempre essere: “Ecco, i figli sono un’eredità del Signore, ed il frutto del grembo è la Sua retribuzione. Come frecce nella mano di un uomo potente, così sono i figli della gioventù. Felice è l’uomo che ne ha piena la faretra, essi non avranno vergogna, ma parleranno coi nemici alla porta” (Salmo 127:3-5).

Per altre risorse in italiano, clicca qui.


1 Giovanni Calvino, Commentary on the Epistles of Paul to the Corinthians [Commentario all’Epistola di Paolo ai Corinzi], tr. John Pringle (Grand Rapids, Mich.,: Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1948), 313-315.
2 Terza stanza del Salterio numero 360 nel Salterio con Standard Dottrinali, Ordine Ecclesiastico, con Sezione Corale Aggiunta. Edizione riveduta, trad. it. Francesco De Lucia (Grand Rapids, Mich.: Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1988). N. d. T. La parola “spe’” sta per “speme,” ovvero “speranza.” Il senso della stanza è dunque il seguente: i figli del patto che circondano la tavola (“mensa”) dei genitori sono pieni di gioia e assomigliano a degli ulivi belli e forti che promettono grandi cose e riempiono i genitori di speranza.
3 Kingdon, Children of Abraham [Figli di Abraamo], 44.
4 Cf. Giovanni Calvino, Istituzioni della Religione Cristiana, IV, XVI, 16.
5 Kingdon, Children of Abraham [Figli di Abraamo], 71.
6 Fred A. Malone, “A String of Pearls Unstrung: A Journal on Baptism,” Baptist Reformation Review (Autumn 1977):7.
7 Kingdon, Children of Abraham [Figli di Abraamo], 71.
8 C. F. Keil e F. Delitzsch, “The Pentateuch” in Biblical Commentary on the Old Testament, tr. James Martin (Grand Rapids, Mich.: Wm. B. Eerdmans Publishing Co., 1956), 149.
9 Alfred Edersheim, The Life and Times of Jesus the Messiah, vol. 1 (New York: Longmans, Green & Co., 1904), 235.
10 Kingdon, Children of Abraham [Figli di Abraamo], 35-36.
11 Giovanni Calvino, Commentary on the Harmony of the Evangelists, Matthew, Mark, and Luke [Commentario sull’Armonia degli Evangelisti, Matteo, Marco, e Luca], tr. William Pringle (Grand Rapids, Mich.: Baker Book House, 1998), vol. 1, 191.
12 N. d. T. La famosa versione King James del 1611, la più prestigiosa e fedele traduzione della Bibbia mai prodotta nella lingua inglese (benchè non infallibile).
13 Infant Baptism in the First Four Centuries [Il Battesimo degli Infanti nei Primi Quattro Secoli], tr. David Cairns (London: SCM Press Ltd., 1960).
14 Ibid., 20-21.
15 Ibid., 22.
16 Ibid., 23.
17 Ibid., 41, 74-75.
18 Ibid., 41.
19 Ibid., 63.
20 Ibid., 72-73.
21 Ibid., 91-96.
22 La legge ha un doppio proposito nella nuova dispensazione: essa è ciò che ci fa giungere alla conoscenza del peccato e del nostro bisogno di un mediatore, ed è la regola che ci prescrive il modo col quale mostriamo la nostra gratitudine a Dio per la Sua salvezza.
23 N. d. T. Anche se troviamo che questi due nomi sono usati intercambiabilmente, nel Nuovo Testamento, il primo (“Israele”) per riferirsi alla chiesa neotestamentaria: Galati 6:16, e il secondo (“chiesa,” o “assemblea,” dal gr. ekklesia) per riferirsi al popolo di Israele nell’antica dispensazione: Atti 7:38.
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